Il tappo e la bolla - Quando le parole sono di ghiaccio.


E l'unico pericolo che sento veramente
è quello di non riuscire più a sentire niente.
(Lorenzo Cherubini - Jovanotti)

Sono qui davanti alla tastiera del pc e non so ancora quale sarà l’argomento di questo post.  Parlerò di scrittura, questo è sicuro, lo faccio sempre, ma ho un bisogno quasi viscerale di lasciare che le parole escano da sole, come tante piccole gocce d’acqua che, a forza di picchiare sempre nello stesso punto, riescono a scavare nella roccia. Ho bisogno di mollare la presa e consentire al mio pensiero di scorrere libero, senza seguire i soliti e castranti binari prestabiliti, perché nelle ultime settimane ho fatto troppi sforzi per reprimere me stessa, e ho attivato i due grossi nemici della mia scrittura: il tappo e la bolla.

Ne ho preso coscienza proprio oggi. Anzi, a dir la verità è stato ieri: alle ore 13:28 di mercoledì 6 maggio 2015 ho ricevuto un sms che riportava una brutta notizia, una notizia terribile. Poche ore prima ero scoppiata in un mare di lacrime per una cazzata sul lavoro. Poi è arrivata questa mazzata nei denti e… piattume. Piattume assoluto. Il mio master reiki dice che è stato un effetto dello shock. Sono rimasta a guardare il telefono con espressione ebete, senza riuscire a dire beh, a versare una lacrima, a muovere un solo passo se non per chiudermi in sala fumatori. E  tutto questo non è da me, perché io sono la regina degli emotivi, piango anche guardando The Voice, quindi perché mi sono lasciata inchiodare ad un’inutile apatia senza trovare dentro di me la forza per esprimere tutto il turbamento e la rabbia che sentivo?


Me lo sono chiesto fino alla nausea. Ho provato a dare tante risposte. Me l’aspettavo, era prevedibile, è una sua decisione e va rispettata: razionalizzazione pura di un processo interiore che non può essere circoscritto, ma soltanto vissuto.  
Dopo ventiquattro ore, sono ancora qui, chiusa dentro il mio blocco di ghiaccio. L’unica differenza rispetto a prima è che, reduce da una notte in bianco, ho due occhi rossi come due biglie, una faccia che sembro strafatta di crack e ho quasi vomitato in ufficio. Sono tornata a casa con un’emicrania terribile, mi sono buttata sul letto con ancora la giacca e le scarpe addosso, mi sono alzata solo perché Beppe aveva fatto la pasta al pesto e desso vegeto in giro per la casa con un sonno della madonna, senza riuscire a dire né ah né b, senza voglia di pensare a niente, senza alcun bisogno di schemi e di scalette, solo con la voglia di scrivere a caso, così come viene. Per una cazzo di volta voglio mollare le redini di questi cavalli imbizzarriti che mi trascinano da una parte all’altra, lasciarli liberi di correre nei prati, e che si fottano.  Io non sono più un grado di tenerli tutti insieme contemporaneamente, perché mi trascinano, mi sbatacchiano di qua e di là.  Ho bisogno di sentirmi leggera, di andarmene per i cavoli miei. Ma soprattutto ho bisogno di  togliere il tappo e di rompere la bolla, sti rompicoglioni.

Il tappo non è sempre attivo, e quando c’è si muove continuamente, slitta fra il petto e la gola a seconda del nemico da combattere.
A volte ci sono parole che vorrei dire ma mi muoiono dentro. Le soffoco per paura che mi travolgano, che distruggano tutto: so che sono delle bombe, so come possono fare terra bruciata.
 Altre volte, invece, si tratta di semplici emozioni che mantengo a una temperatura tiepida, per impedire loro di bruciarmi. È successo troppe volte, in passato, e sono piena di cicatrici.
Il tappo è attivo, adesso? No. C’è un coperchio, e mi sta praticamente schiacciando contro un muro. Tutto ciò che ho dentro rimane lì e continua a bollire, molesto.

La bolla invece mi avvolge, mi circonda, mi protegge. È la mia armatura. Il mio guscio. La mia giustificazione, il mio alibi, la mia scusa: perdonami, ma adesso non ho proprio voglia di parlare.
La bolla agisce di concerto con il suo amichetto di cui sopra. Lui impedisce a parole ed emozioni di uscire; lei ne blocca l’ingresso, le tiene lontane da me.
La bolla mi crea attorno una nube di ghiaccio, paralizza ogni mio movimento, mi rende immune da ciò che potrebbe farmi del male. E va bene, va bene così.

Ecco le mie due vie di fuga, i due nemici che mi impediscono di scrivere come vorrei. Quando sono particolarmente stressata, lavorano come muli. So che è colpa loro se tutte le scene a cui ho lavorato negli ultimi giorni mi sembrano una schifezza immonda. Magari non lo sono sotto il profilo tecnico, ma sul piano energetico sì: se non riesco a permettere alla verità di uscire da me, le parole sono sterili.
Uno scrittore non può avere paura di se stesso. Anzi, stavolta uso il verbo che odio più di tutti: non deve.
Le storie che scriviamo sono figlie del nostro inconscio, ci appartengono. Fin da quando iniziamo a progettarle, possono risvegliare fantasmi e mostri, traumi che non abbiamo ancora elaborato nel modo giusto. Solo se li guardiamo in faccia a testa alta possiamo liberarcene.
I miei testi mi aiutano a comprendere meglio me stessa. Le storie che racconto sono catartiche, contribuiscono a guarire il mio passato.  La trama del mio romanzo è bella. Se non lo pensassi, se non affrontasse tematiche importanti per me, non sentirei l’esigenza di parlarne. Però è anche intensa, piena di sofferenza. Alcuni argomenti toccano i miei nervi scoperti, le mie corde più sensibili; non sempre riesco a immergermici come vorrei. A volte mi mantengo a debita distanza, mi comporto come se fossi un osservatore, un testimone esterno e neutrale. Quando mi lascio fagocitare dalla mia paura del dolore, quando attivo il tappo e mi chiudo nella bolla, quasi odio ciò che scrivo. Vorrei essere sempre in grado di abbattere il muro, di buttarmi nella trama come se fossi io al posto del protagonista, vorrei farlo soffrire fino allo stremo senza sentirmi in colpa, essere consapevole del fatto che ne ha bisogno lui e ne ho bisogno anche io, per terminare la sessione di scrittura con l’anima sudata, per sentirmi leggera e libera.
La stesura del romanzo mi consente di intraprendere un percorso evolutivo, di riemergere dalle mie ceneri come una fenice agguerrita, incazzata nera. La vera sfida, se voglio scrivere un romanzo di qualità, non è  tanto apprendere la tecnica, perché quella migliora con l’esercizio. La vera sfida consiste nel distruggere la mia rigidità e abbandonarmi all’emozione, immedesimarmi completamente. È necessario smettere di viaggiare con il freno a mano tirato e di essere terrorizzata dal giudizio altrui. So che è un retaggio della mia educazione e del mio passato. Tante persone (non le nomino: se mi leggono, sanno che parlo di loro) hanno demonizzato le mie emozioni, al punto da farmi desiderare di non averne più. Ma io, porca miseria, ho diritto a essere così come sono. E la mia scrittura ha il diritto di nutrirsi della mia autenticità, solo così può appartenermi davvero. Non ho alcun bisogno di fingere, né di essere politically correct. Ho solo bisogno di essere chiara, e di essere Chiara. Ho bisogno di dire le cose come stanno senza più alcuna paura di soffrire. Quindi, un sonoro vaffanculo sia al tappo sia alla bolla.

Il lancio della patata bollente.
Quale effetto hanno su di voi il tappo e la bolla? 
Vi capita mai di scrivere di getto? Vi fa bene?

Io devo ammettere che oggi mi ha fatto molto bene. I due bastardi sono moribondi, adesso. E forse, prima di stasera, troverò il coraggio per esprimere il mio bisogno di serenità, di amore, di riposo. Riuscirò a concentrarmi sulle cose belle senza farmi fagocitare da quella routine che si mangia tutto.

Commenti

  1. Un abbraccio forte forte forte!
    Non ho altre armi, per starti vicina, che parlare di scrittura.
    Il tappo e la bolla. La bolla è la mia timidezza, il mio richiudermi in me stessa quando le cose vanno male, cercare di essere invisibile, un geco mimetico appeso alla parete.
    La scrittura è la mia valvola di sfogo. È il mio modo di esplorare me stessa per buttarlo nelle storie, regalare le mie emozioni ai personaggi e renderli viva. Non credo che ci sia nulla del mio vissuto emozionale che non sia finito su carta. E quella domanda strana, che a volte aiuta a vivere. Cosa pensi davvero? Cosa provi? Cristallizzalo in una frase. È strano come sia emerso in momenti in cui avrei dovuto pensare a tutt'altro eppure... Quest'inverno è morto all'improvviso un ragazzo che conoscevo. Ho scritto qualche riga sul blog. Ho scritto qualche riga su un file. Avevo bisogno di farlo, di cristallizzare quello che provavo, dargli una forma. Mi ha aiutato? Non nel senso più ovvio. Il dolore rimane dolore comunque. Ma adesso conosco il mio dolore e i pensieri profondi che ci stavano dietro.Non rimarranno nascosti per trasformarsi in un mostro dell'inconscio, spero.
    La scrittura, d'altro canto è anche una boa di sicurezza. Ho scritto spesso che amo le storie di Sherlock Holmes perché può succedere di tutto ma, nel suo complesso, la storia di Holmes è una storia a lieto fine. A volte ho bisogno del lieto fine. Di crederci non come pia illusione, ma come promessa di una serenità possibile, che non nega uno sguardo lucido sul mondo. Quando sono triste, quando sono preoccupata, quando qualcuno dei miei cari è in ospedale, scrivo di Holmes, perché se ce l'ha fatta lui, nonostante la cocaina, le tendenze autodistruttive e tutto quanto, non vedo perché non possa farcela io. La scrittura per me serve anche a questo.

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    1. Per me un tempo era molto più facile scrivere per sfogo e calarmi così tanto nella storia da rimanerne scossa. Poi ho maturato una sorta di istinto autoprotettivo, che mi ha portato a dover lavorare di cesello e scalpello, per superare i miei blocchi. è come se a un certo punto della vita avessi deciso di isolarmi, di mettere un muro fra me e il mondo. Proprio per questo avevo smesso di scrivere. La nostra arte ci rende vulnerabili, da lì non si può scappare. se abbiamo paura di noi stessi, meglio se ci dedichiamo al bricolage.
      Ricordo anche io il tuo post dopo la scomparsa di quel ragazzo. Si intitolava "a cosa serve scrivere" o qualcosa del genere. E credimi, ieri anche io stavo per scriverne uno uguale. Perché in fondo le nostre parole sono davvero in grado di aiutare gli altri? Io a volte ho i miei dubbi.

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    2. P.S. Probabilmente è solo una fase, passerà presto.

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  2. Ti abbraccio anch'io. Ho ritrovato alcune mie caratteristiche in questo post: quando sono agitata vomito e l'ufficio è fonte di forte stress. E poi tremo, tremo in maniera inarrestabile a volte, in situazioni molto brutte. Io alla mia scrittura il tappo l'ho tolto da un pezzo, parlo di ciò che mi preme e se qualcuno ha da ridire perché spesso porto in scena i miei drammi personali resi narrativa, be' non è manco facile farlo, non è mania di protagonismo, e bisogno come dici tu di essere me stessa e di scavare. La scrittura mi ha aiutata molto a tirare fuori e mettere via e trovare pace. Un bacione Sandra ps. non ti ho ancora ringraziata per avermi votata al campionato di incipit, lo faccio ora, davvero felice che il mio incipit abbia meritato il tuo voto.

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    1. Io parto dal presupposto tale per cui ogni idea nasca dentro di noi, anche quelle che ci sembrano più distanti. Tutte le nostre storie, volenti o nolenti, ci appartengono. Quindi è impossibile rimanere freddi, e i blocchi sono sempre dietro l'angolo.

      P.S. Sono contenta di sapere che l'incipit da me votato fosse tuo. Poi non abbiamo più parlato dell'intervista che volevo farti, perché sono stata risucchiata da mille faccende. Però ne voglio riparlare, dopo aver letto almeno uno o due dei tuoi romanzi. :)

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    2. Quando vuoi. bacione Sandra

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  3. la bolla. Io vivo nella bolla. Da quando ho incontrato il cancro , per ora risolto, sono rimasta al "sicuro" nella mia bolla. Tutto il resto mi scivolava accanto... ora paradossalmente ho un freno a mano tirato che mi impedisce di uscire dalla bolla e riprendermi la Vita, poichè mi hanno dato questa seconda chance. Io ci sto bene nella mia bolla con la mia storia di cancro. E' forte scrivere questo, ma è così che mi sento invischiata ancora nelle grinfie del cancro. Così ho sentito il bisogno di aprire un blog, per scrivere, scrivere di quello che miè successo perchè scrivere mi aiuta a vedermi distaccata dal cancro mi aiuta a non vedere Annamaria= cancro, ma Annamaria e il cancro e più avanti riuscirò anche a dire Annamaria che ha avuto il cancro...col tempo , sono una bradipo-lumaca

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    1. Le tue parole confermano un'impressione avuta leggendo i tuoi commenti: capita molto spesso che tu parli del cancro (anche quando l'argomento è diverso e lontano) come se ancora oggi ti identificassi con questa malattia, come se non volessi o riuscissi lasciarla andare. Questa malattia ha rappresentato molto per te, ti ha fatto soffrire, ma ora forse è giunto il momento di ricominciare a vivere. Non significa rinnegare il proprio passato, ma farlo brillare e impedirgli di provocare nuova sofferenza. Un grande abbraccio.

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    2. hai perfettamente ragione, Chiara, lo so . Ma la riconquista della Vita non è un qualcosa di automatico o almeno non lo è per me. Ma ci sto lavorando, duramente e costantemente e riuscirò ad uscirne. Grazie per le tue parole

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    3. Anche io sto lavorando su di me, e non è facile. In bocca al lupo! :)

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  4. Ci sono dolori o situazioni che paralizzano. La tua metafora del cubetto di ghiaccio rende alla perfezione ciò che volevi dire. In certi casi rinchiudersi nella bolla è l'unica cosa che si può fare, non farti sensi di colpa per come hai reagito. Non parlo di scrittura, perché ho la netta sensazione che non è di quella che volevi parlare... Un abbraccio, qualsiasi cosa sia successa.

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    1. A me fa piacere parlare di scrittura, sempre. E ti ringrazio per le tue parole. Quello che è successo forse è intuibile, dal mio post: un mio amico ha deciso di non voler vivere più.Il suo gesto era nell'aria già da un po'. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma la cosa mi ha lasciata ugualmente sconvolta, penso soprattutto ai genitori. Magari possiamo parlarne poi in privato...

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  5. No, non credo di aver mai scritto di getto. Diciamo che per me il tappo e la bolla restano esclusivamente un problema nella vita reale e quotidiana, ma non hanno conseguenze sulla mia scrittura. Anche quando mi accade qualcosa che poi diventa materia o motivo di scrittura, riesco sempre a filtrarla attraverso la freddezza della rielaborazione.
    Un consiglio che posso darti è di assumere, quando è necessario, un atteggiamento del tipo: "Ma chissene". Sul lavoro, nella vita quotidiana, le rogne possono succedere, meglio chiuderle in un compartimento stagno affinché non invadano tutto il resto della giornata ;-)

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    1. Siamo proprio diversi: pur decidendo a priori di cosa tratterà una determinata scena, per me la prima stesura non può che avvenire di getto. Poi la rileggo e razionalizzo, ma se non seguo il mio impulso creativo mi blocco.
      Ottima la filosofia del chissene. Mi avevano anche regalato un libro al riguardo: Licenza di chissene, guida pratica per onesti egoisti. Forse è il caso di leggerlo. ;)

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  6. Il tappo e la bolla sono due esempi perfetti, rendono molto bene l'idea! Io soffoco tutto sotto un tappone e mi chiudo dentro una bollona che mi evita il contatto con il mondo intero. Io comprimo, schiaccio, ingoio e sorrido perché nessuno si accorga di nulla: non voglio mostrare niente di ciò che elaboro, non voglio che qualcuno si accorga della mia sofferenza quando c'è, perché non voglio rispondere a nessuna domanda. Sono a chiusura ermetica e i miei unici amici sinceri diventano musica e scrittura: la musica mi serve a rimuovere il tappo, la scrittura a far scoppiare la bolla.
    Se ho capito bene quello che è accaduto, anch'io ho vissuto un'esperienza analoga: pagine e pagine di diario hanno raccontato tutto il mio muto dolore e la mia compartecipazione ad un evento tragico che ha segnato le vite di molte persone. Certe cose passano, ma non si superano mai e per un periodo infarcivo i miei racconti solo di versioni trasposte sempre dello stesso episodio ed è vero che per liberarsi di certe ossessioni basta scriverle! Lo sai bene anche tu!

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    1. Già, è vero. E in questa fase della mia vita ho proprio bisogno di ritrovare il contatto con me stessa e con le mie emozioni. Credo che anche la mia scrittura ne trarrà giovamento. Eppure lo stress a volte ci costringe a separarci da noi stessi, a mettere un muro. Sto proprio lavorando per questa riconquista dell'autenticità, che negli ultimi mesi è stata un po' soffocata dall'infinita lista del to do...

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  7. Cara, so bene cosa intendi. Anch'io devo riuscire a far uscire le emozioni; il mio bisogno di controllo spesso ha impedito di esetrnarle in modo completo. La scrittura mi aiuta molto, quando mi lascio andare e non uso la razionalità. Ti sono vicina.

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    1. La mania del controllo è micidiale, è acerrima nemica della creatività.
      Tempo fa, avevo anche scritto un post al riguardo, nella categoria "scrivere zen", se ti va cercalo pure. :)

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  8. Ciao Chiara, mi dispiace tanto per il dolore che hai provato e che ti accompagnerà ancora. Ci sono situazioni terribili che solo chi vive riesce (forse) a ccomprendere.
    Per usare i tuoi "eufemismi" però, mi sembra una Donna Con Le Palle. E questo è un gran bene.
    Sfogati! Vomita urla scrivi... fai quello che ti sembra adatto al momento ma fallo. E' un tocccasana, Sarai stanca dopo ma ti aiuterà a convivere con questo dolore.
    Già il tuo post è un grandissimo sfogo e hai fatto benissimo a mandare affancculonia il tappo e la bolla. Mandaci tutti quelli che devi..fregatene! Sei tu che sai cosa ti fa star meglio e degli altri... e chissenè...

    Parlando di scrittura io scrivo d'impeto. D'istinto, D'impulso. Non ci penso mai sopra troppo. Forse nemmeno poco... ma mi va bene così. Mi è utile così per togliere tappo e bolla.
    Quel tappo e quella bolla nella quale anch'io ho vissuto come Azzurrocielo per lo stesso problema. Che ha fatica ho eliminato anche se a volte tornano a fare i prepotenti. Peccato che io sia più prepotente di loro,
    Un bacione grandissimo e forza!!!! Sei forte! Ciao!
    Patri

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    1. Anche io sono prepotente nei confronti dei miei blocchi. Cerco di comprendere da dove arrivino, e di lavorarci il più possibile. Mi dispiace per il linguaggio scurrile di questo post, ma a volte è necessario per liberarsi. Non si può assolutamente essere sempre politically correct. La corsa verso la libertà, comprende anche la capacità di prendere a calci nel sedere tutto quel sistema di convinzioni e convenzioni che ci impediscono di essere noi stessi, liberamente, come vorremmo.
      Ricambio il bacione grandissimo!
      A presto!

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    2. Ciao Chiara, a parte il fatto che vedo adesso uno svarone micidiale!!!! Ha fatica.... no!!!! Che scema sono! Lo so che non ci vuole l'acca... :))))))
      Io sono dell'idea che se servono per sfogarsi, quando servono le parolacce si devono dire. Infatti non ho normalmente un linguaggio molto casto!
      Anche quello è un momento di lotta contro il tappo e la bolla. Contro quel perbenismo che ci può e vuole bloccare.
      Non mi scandalizzo di certo!
      Lavorarci sopra è molto faticoso ma credo si possa fare. Soprattutto ci dobbiamo sempre provare. E' questa riuscita che ci rende libere!
      Ciao bella e buona domenica

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  9. In genere sono abbastanza diretto, ma tutti usano il filtro (o tappo, come lo chiami tu) nelle relazioni con gli altri; per almeno due buoni motivi: non sempre quello che abbiamo da dire di getto, a caldo, è sensato o valido, spesso anzi è solo uno sfogo temporaneo; le relazioni con il "mondo", fatto di persone, è una arte della politica, se andassimo in giro a dire tutto quello che pensiamo a un certo punto ci troveremmo soli (... o morti).

    Stessa cosa vale per la bolla. Io la chiamo armatura e, man mano che passa il tempo e gli anni si accumulano, diventa sempre più spessa. Più che una corazza, la definirei: crosta. È fatta di ferite rimarginate e di pelle incallita dall’usura. La vita segna, non c’è che dire.

    Fossi in te, mi farei meno paranoie; è l’unico modo per essere davvero leggeri. Adesso che ci penso – mi è venuto in mente dopo aver scritto questa cosa –, la mia ex mi ha sempre accusato (con invidia) di essere una persona che si lascia scivolare le cose a dosso… Non cambierei per nulla al mondo.

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    1. Se devo essere sincera, io non penso di farmi paranoie. Sono una persona molto introspettiva, questo sì, ma è una cosa necessaria per conoscermi ed evolvere. Senza questo tipo di lavoro su di me, avrei fatto la fine del mio povero amico: la disperazione nasce nel momento in cui si accetta passivamente tutto ciò che capita, senza trovare la voglia e la forza per migliorare se stessi. Questo è ciò che, secondo me, alla lunga schiaccia.

      Se non ricordo male (scusami se dovessi sbagliarmi, perché la conversazione risale a molti mesi fa) tu una volta mi hai detto che il tuo limite è il non conoscere abbastanza te stesso, o forse che sei bravo a comprendere gli altri, e hai più difficoltà a usare la stessa cura verso di te. Ecco: forse io mi conosco troppo, forse mi puoi passare un po' di menefreghismo, e io in cambio ti aiuto a essere consapevole. Forse possiamo farci un gran bene a vicenda. :)

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  10. Ho letto con trasporto il tuo post. Ammetto che scrollavo con lentezza, perchè non volevo scoprire, in fondo, se fosse un esercizio di scrittura emotiva o se fosse uno sfogo reale. Purtroppo, alla fine, ho scoperto che le tue emozioni erano vere, reali, le toccavi con mano e con il cuore. E di questo mi dispiace, perchè per scrivere un post così energico, intenso e bello, si dovrebbe avere la fortuna di riuscirci senza dover provare nulla sulla propria pelle.
    Per quello che ho avvertito io leggendo, il tappo ha fatto un bel volo... Spero che questa energia possa presto ritornare ad essere positiva.

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    1. Ti ringrazio per il bellissimo augurio.
      Le cose stanno già andando meglio, per fortuna.
      Qui sul blog è tutto vero. Non ci sono esercizi di scrittura. Non c'è eccesso di tecnica. Mi è sempre piaciuto definire questo spazio "il mio luogo di libertà": tu sei ancora nuovo da queste parti, ma presto scoprirai quanto mi piaccia sbrodolare parole, senza alcun filtro. :)
      Sono comunque contenta che il post ti sia piaciuto.

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  11. Mi dispiace tanto, innanzitutto, anche se mi rendo conto di quanto le parole siano insufficienti in questi casi. Ci sono notizia che ci attraversano e ci scuotono come una corrente elettrica, e ci lasciano inebetiti. Quindi, come prima cosa, un abbraccio davvero grandissimo, e purtroppo solo virtuale.

    Come seconda cosa, il tappo e la bolla. Il tappo mi è stato compagno per lunghi anni, quando avevo smesso di scrivere. Non avevo più nessuna forma di sfogo creativo, e non avevo tempo per fare niente che veramente mi piacesse. Vivevo tutto come un peso.

    Poi, per fortuna, ho preso la decisione migliore della mia vita, e il tappo se ne è andato. La scrittura ha ripreso a fluire liberamente, e con essa le mie emozioni. Ora scrivo con grande facilità (non sto parlando di qualità, ma di facilità, che sono due cose differenti). Di pari passo, anche la bolla protettiva si è assottigliata.

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    1. Anche il mio tappo si è creato nel periodo in cui avevo smesso di scrivere e a volte mi accorgo, con un po' di rammarico, che non sono riuscita ancora a toglierlo del tutto: ci sono parole e paure che a volte mi bloccano, ma ho fatto enormi passi avanti, quindi continuo imperterrita su questa strada, verso la gioia e verso la libertà. :)

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  12. Non sono originale, ma ti mando anche il mio, di abbraccio. Mi hai fatta partecipare ai tuoi sentimenti, perciò ho sentito il tuo dolore e la tua rabbia e il resto. La bolla l'ho avuta per tanto tempo, non per esigenze di autodifesa, ma perché non riuscivo a sentire gli altri come collegati a me, se non nei rapporti più stretti. E' stata una liberazione vederla scoppiare. Il mio tappo, invece, è la mania di controllo. Per fortuna s'impara... :)

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    1. Le tue parole mi sembrano quasi strane perché contrastano l'idea che mi sono fatta di te, in questo anno di conoscenza virtuale: una persona empatica, aperta, disponibile e per nulla misantropa. :)
      Ricambio l'abbraccio

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  13. Ho letto questo post giorni fa sul telefono, ho pensato "quanto stiamo male noi donne"... siamo tutte uguali. Mi sono venuti in mente i ragazzi con cui lavoravo a Londra, i tossicodipendenti che non ce l'hanno fatta, il senso d'impotenza e la frustrazione per questi talenti sprecati, ricordo un signore che suonava la tromba divinamente, l'hanno consegnata a noi quando è morto, non sapevamo cosa farne.
    Comunque il tappo e la bolla sono parti importanti di noi, non vanno eliminati, ci proteggono e servono anche a proteggere chi ci sta intorno (pensa a quel che diremmo se non avessimo filtri...). L'importante è trovare il giusto equilibrio così che servano ai nostri scopi anziché impedirli.

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    2. Parole sante. Mi dispiace per il tuo amico. La depressione è un brutto male, e l'ischemia è ancora peggio. Chissà che le due non fossero correlate a livello cerebrale.
      Per quanto riguarda le persone commosse al funerale, purtroppo si è più bravi a capire, compatire o perdonare i morti, che i vivi (parlo in generale, non è una critica a questa situazione ovviamente...)

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