Guest post di Marco Lazzara - Arcani Tour #13 - La Giustizia.
Poiché nutro da anni interesse per le
discipline esoteriche, non potevo esimermi dall’ospitare una tappa dell’Arcani Tour, il viaggio di blog in blog,
giunto oggi al tredicesimo appuntamento, che sta compiendo lo scrittore Marco
Lazzara per far conoscere il proprio libro di racconti.
L’iniziativa prevede che il padrone di casa
scelga una carta dei Tarocchi, e l’autore scriva un post traendone ispirazione.
Siccome la mia beta-reader Marina mi ha “rubato” l’ Imperatrice sotto il naso (scherzo, ovviamente!),
ho optato per la carta della Giustizia, che secondo Jodorowsky rispecchia l’archetipo
di cui il mio segno zodiacale incarna le energie: non è un caso che la signora
sul trono abbia in mano una bilancina…
Ora passo la parola a Marco: il post di oggi si
intitola “Il punto di vista - la persona” e
analizza tecnicamente le diverse persone grammaticali utilizzabili dal
narratore. Leggete, mi raccomando, leggete!
L’Arcani
Tour è un giro promozionale del mio
secondo libro, Arcani, per i blog che
decidono di ospitare l’iniziativa. Il blogger che partecipa deve scegliere una
carta dei Tarocchi, ognuna delle quali nel mio libro è rappresentata da un
racconto, e riceve in cambio da me un guest-post correlato. Chiara Solerio (che ringrazio dell’adesione) ha scelto la
carta de La Giustizia.
La
Carta: “La Giustizia, severa,
implacabile, ma sempre imparziale, è colei che fa in modo che ogni individuo
sperimenti le conseguenze delle proprie azioni, e che da esse tragga il giusto
insegnamento.”
Il
racconto nel mio libro: Si
tratta di Per la Gloria del Quarto Reich, ambientato
nella Berlino del 30 aprile 1945, dove avverrà un incontro che potrebbe
cambiare il corso del futuro…
IL PUNTO DI VISTA - LA PERSONA |
La Giustizia. Il significato di questo Arcano è
l’osservanza delle regole, ma ha anche un’accezione formativa, ovvero che ognuno
impari dalle proprie azioni, dalle scelte che compie quotidianamente. Pensate adesso
al mondo della scrittura, che è disseminato di regole. Spesso ci si sente dire in
corsi o in manuali di scrittura oppure da scrittori navigati che “quella cosa
non va bene”, perché si andrebbe contro delle regole che sono state stabilite
da tempo. Siamo tutti d’accordo che le regole siano fondamentali, ma allora dov’è
lo spazio per sperimentare, per la creatività? Sarebbe invece meglio,
probabilmente, provare a vedere se “quella cosa funziona o meno”, senza
pregiudizi.
A questo proposito, una delle prime decisioni
da prendere nella stesura di un romanzo o di un racconto è definire il punto di
vista del narratore, che in poche parole sarebbe “l’angolatura” da cui egli
osserva lo svolgersi degli eventi. La teoria letteraria parla di narratore soggettivo,
oggettivo oppure onnisciente. Ma prima ancora bisogna deciderne la persona
grammaticale, che influenza l’intero testo, compresa la scelta del più adatto punto
di vista. Le possibilità che ci vengono offerte sono di norma la prima o la terza
persona singolare; è però possibile utilizzarne delle altre e allora proveremo
a vedere se funzionano o meno, ovvero se in questi casi va bene “rompere le
regole”.
Molti testi narrativi sono in questa forma.
Essa permette di dare un senso di immediatezza, nonché di avere una maggiore
intimità col personaggio, creando così un legame empatico col lettore, a cui vengono
trasferite sensazioni, emozioni, pensieri, in maniera molto subitanea e
diretta, facendo assumere una connotazione quasi autobiografica.
Antropologicamente è probabile che la narrativa nasca proprio in questa forma, per
far rivivere col racconto orale le esperienze vissute.
Esempio: “Una delle poche cose, anzi forse la sola
ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne
approfittavo.” (da Il Fu Mattia
Pascal, di Luigi Pirandello)
È raro l’uso di questa forma. Può servire per
rivolgersi direttamente al personaggio, in modo da instaurare con esso un
rapporto privilegiato, senza assurgere a narratore onnisciente, ma con un
ritorno diretto con cui ne vengono avvertiti emozioni e pensieri. Può anche
venire utilizzata per creare una sorta di dialogo virtuale col lettore, come se
la storia venisse raccontata direttamente a chi legge, oppure ancora come se gli
venissero forniti dei consigli, tipo un manuale di istruzioni. È comunque una
forma dal carattere sperimentale, a cui si è in genere poco abituati, per cui
può anche straniare. Per questa ragione dev’essere usata in modo sapiente,
altrimenti il rischio è di creare confusione nel lettore, facendogli perdere il
filo della narrazione.
Esempio: “Stai per cominciare a leggere il nuovo
romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro
pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell'indistinto. La porta è
meglio chiuderla; di là c'è sempre la televisione accesa.” (da Se una Notte d’Inverno un Viaggiatore,
di Italo Calvino)
È la forma narrativa di elezione, quella più
utilizzata: la maggior parte dei testi letterari sono in terza persona singolare.
Antropologicamente è probabile rappresenti la naturale evoluzione del raccontare,
nel passaggio avutosi dalla tradizione orale a quella scritta.
Esempio:
“Era bagnato fradicio e
coperto di fango e aveva fame freddo ed era lontano 50mila anni‐luce da casa. Un sole straniero dava una
gelida luce azzurra e la gravità doppia di quella cui era abituato, faceva
d'ogni movimento un'agonia di fatica.” (da Sentinella, di Fredric Brown)
È una forma poco utilizzata, sfruttata in alcuni
romanzi abbastanza particolari. Un esempio è Trilogia della Città di K. di Ágota Kristóf, che ha per
protagonisti due gemelli; in realtà in questo caso si tratta semplicemente di una
prima persona singolare declinata al plurale, dato che sono due gemelli che
condividono le stesse vicende. In alternativa può venire meglio utilizzata per
dare al testo un senso di coralità, un po’ come se la vicenda trascendesse il
narratore che fa da portavoce collettivo di un gruppo, per assumere una
connotazione di più ampio respiro. Bisogna però saperla utilizzare bene,
altrimenti si rischia di passare inconsciamente alla prima singolare,
perdendone la peculiarità. Antropologicamente è probabile abbia una derivazione
dal coro della tragedia classica.
Esempio: ”Nella nostra mente conserviamo l'immagine
della signora Lisbon che si gira verso la strada e mostra il suo viso come non
aveva mai fatto, a quelli di noi inginocchiati dietro le finestre delle sale da
pranzo, a quelli che sbirciavano attraverso le tende di mussola, a quelli che
sudavano nella soffitta di Pitzenberger, e agli altri che la guardavano.”
(da Le Vergini Suicide di Jeffrey
Eugenides).
Anche questa forma è rara. In effetti spesso è
un plurale “fittizio”, in quanto o si tratta della forma antiquata per dare del
“lei”, (ovvero corrisponde al colloquiale “tu”) oppure è dovuta alla traduzione
dall’inglese, dove per la seconda persona non esiste differenza tra singolare e
plurale (e le forme di cortesia sono date dal non usare il nome proprio): quindi
in entrambi i casi si tratta in realtà di seconda persona singolare. Una forma
non fittizia la si trova in Racconti di
Sebastopoli di Tolstoj, dove il suo uso ha un intento quasi “turistico”,
come se i lettori fossero dei viaggiatori giunti in visita a quelle zone e lo
scrittore gliele stesse mostrando.
Esempio:
“Voi scegliete quella che vi è
più vicina, camminate scavalcando il cadavere semiputrefatto di un cavallo
baio, che giace lì nel fango, vicino alla scialuppa, e attraversate
l'imbarcazione fino a raggiungere il timone. Siete salpati dalla riva.” (da Sebastapoli nel Mese di Dicembre, di Lev
Tolstoj).
6 - Terza persona plurale
La finalità del suo utilizzo è la stessa della
forma singolare, ma la sensazione che se ne ricava è più sfumata, impersonale,
quasi distaccata, venendo ad assumere un carattere universale, senza perciò riguardare
un personaggio specifico, ma piuttosto un gruppo di essi o l’umanità in
generale.
Per quanto ci abbia pensato, non mi sono venuti
in mente esempi di questa forma. Quindi, in via del tutto eccezionale, sono
costretto a ricorrere a un estratto di un racconto che apparirà nel mio
prossimo libro (Guerra e Pace sul Retro di una Cartolina):
“E fu
durante i fuochi d’artificio che avvenne, quando tutti si erano dati
appuntamento lì, in così tanti, coi nasi rivolti all’insù ad ammirare quelle
belle luci scoppiettanti... le scintille, i fiori e le girandole... a
sobbalzare per i rumori festosi, i volti atteggiati a una gioiosa estasi, con
le bocche aperte in un’espressione di meraviglia, mentre le luci si
riflettevano una dopo l’altra nei loro occhi sognanti. I bambini ridevano o si
coprivano per gioco le orecchie con le mani, ma senza mai smettere di ridere,
felici di quei momenti di divertimento.” (da Un Momento per il Destino).
Il
lancio della patata bollente
Ora la parola a voi, lettori di Appunti a Margine. Trovate che le regole della scrittura vi stiano strette? E cosa ne
pensate dell’utilizzo di persone narrative meno convenzionali? Le avete mai
usate o vi piacerebbe sperimentarle? Vi viene magari in mente qualche esempio
per la terza plurale?
Per
seguire gli altri post dell’iniziativa, vedi: http://tinyurl.com/hap3fs3
Link
al mio libro: http://tinyurl.com/zwtwq9j
Eheh, potevamo accordarci: io ho scelto l'Imperatrice fra altre tre possibili! Ma la giustizia è una bella carta e il racconto che la rappresenta è davvero un bello scherzo del destino! ;)
RispondiEliminaPer quanto riguarda le persone narranti, la terza plurale mi suona del tutto estranea, cioè la confondo con una sorta di terza onnisciente, non saprei come usarla o la userei ma non la chiamerei narrazione in terza persona plurale.
Invece, ho letto un libro che usava la prima plurale accanto alla terza:
"Accidenti quant’eravamo orgogliosi di avere un uomo tanto famoso come Finnur Ásgrímsson in paese"
"Comunque indossammo il vestito buono il giorno che Finnur arrivò in paese."
Cit. da "Luce d'estate ed è subito notte" di Jon Kalman Stefansson
Devo confessarvi una cosa: in realtà i vostri due post sono scambiati. Inizialmente avevo pensato a questo per il tuo blog, Marina, e quello della settimana scorsa per te Chiara. Li ho poi invertiti in ragione delle carte che avete scelto. :)
EliminaCondivido quanto dici della terza plurale, ha un che di antica reminescenza, assolutamente impersonale, come quando si legge nella Bibbia, che "gli israeliti" facevano questo, divenivano quello, ecc...
Quando ho finito di litigare con le interlinee scrivo qualcosa anch'io... ;)
EliminaPer ora ho sperimentato solo prima e terza... e alla terza ci sono arrivato solo di recente e perfino con un certo sforzo, visto che per un quarto di secolo ho scribacchiato, in un dialogo tra me e me esclusivamente in prima persona.
RispondiEliminaA naso direi che il tuo approccio alla scrittura potrebbe essere prevalentemente cinestesico.
EliminaInfatti è la categoria in cui mi ero inserito in occasione del tuo post da Marina.
EliminaAnch'io ho sperimentato solo la prima e la terza persona singolare. Come dici tu, altre forme risultano un po' desuete, però credo che in un romanzo ambientato nel 1700-1800 potrebbero dare un bell'effetto "anticato" come il filtro ocra di una pellicola. Tutto sta nel non esagerare e scrivere interi capitoli in questo modo: potrebbe risultare molto pesante oltre che straniante.
RispondiEliminaAggiungerei solo una considerazione all'uso delle persone e del punto di vista, e cioè che l'effetto cambia ancora a seconda del tempo verbale. Se io scelgo una prima persona singolare con un presente indicativo, l'impatto è differente rispetto alla scelta di un imperfetto.
Va usato saggiamente infatti. Ti consiglierei a questo proposito di leggere i racconti di Lorrie Moore (in particolare Tutto da sola), autrice molto al femminile, che ha fatto della seconda persona il suo cavallo di battaglia.
EliminaPer quanto riguarda la seconda parte del commento, sono d'accordo, anche il tempo influenza il punto di vista. Potrebbe benissimo essere il tema di un post, il tempo verbale e le sue influenze sul soggetto narrativo.
Volevo quasi proportelo! ;-) Sarebbe molto interessante. Ad esempio nel mio romanzo storico La Colomba e i Leoni, ho inserito parti in prima persona con due voci alternate, con tempo all'indicativo presente per dare l'idea di contemporaneità rispetto al lettore. Nonostante si parli di XI secolo.
EliminaOrmai ho scritto di un'altra cosa, ma credo che ti piacerà, dato che si parla di una particolare credenza degli irochesi. :)
EliminaWOW. Non vedo l'ora di leggerlo. :-)
EliminaRicordo un romanzo, "Valigie smarrite" di Jordi Punti, scritto in prima persona plurale, perché raccontava di quattro fratellastri alla ricerca del padre naturale. Solo in alcuni punti si passava alla prima singolare, ovvero quando ciascuno raccontava le proprie esperienze.
RispondiEliminaAnche Fabio Genovesi usa spesso la seconda persona singolare, sia in "Esche vive" sia in "Chi manda le onde", seppur non per tutta la durata del romanzo...
Punti ha usato più o meno la stessa idea di Kristof. Per la seconda singolare io consiglio Lorrie Moore. Credo che potrebbe anche piacerti per il suo stile e le tematiche, in particolare il primo libro.
EliminaI quattro fratelli del libro di punti si chiamano Kristoff, Christopher, Christophe e Cristofol: l'ispirazione sembra voluta! :-D
EliminaDirei proprio di sì! :)
EliminaP.s. non c'è stato verso di sistemare l'interlinea; scusami!
RispondiEliminaVa bene così, non ti preoccupare. :)
EliminaNon so molto di tarocchi, ma vedo molto Chiara nelle vesti della Giustizia!
RispondiEliminaPer quanto riguarda le persone della narrativa, per il momento prima e terza singolare hanno servito allo scopo, ma non escludo di utilizzarne altre per creare effetti particolari (in effetti in gran parte del racconto che sto scrivendo ora uso la seconda singolare, dato che il narratore interno si rivolge a un unico uditore...)
... infatti uno dei miei alter-ego è qualcosa di molto simile. :)
EliminaBisogna saperne calibrare bene l'uso, ma poi gli effetti sono di certo interessanti.
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