Le responsabilità dello scrittore.




Nel Buddhismo parliamo di karma, e molte persone non vogliono sentire nominare questo termine perché dicono di non credere nel karma. Se invece di karma lo chiamassimo semplicemente ‘causa ed effetto’, il suo significato diventerebbe molto semplice. Se io do un pugno a qualcuno, questo qualcuno, a sua volta, mi darà un pugno. Se parlo male di altre persone, questi a loro volta parleranno male di me. Tutto ciò che diciamo, pensiamo e facciamo ha delle conseguenze e questo significa che in realtà sappiamo che qualunque cosa facciamo produrrà degli effetti che noi stessi sperimenteremo.
(Dalai Lama)

Avevo in mente di scrivere questo post fin da quando ho pubblicato “Il potere delle parole – La differenza fra dovere e volere”, perché i vostri commenti mi hanno fatto tornare in mente il testo del Dalai Lama, letto molti anni fa, da cui ho tratto il brano di apertura. Tuttavia, è stato il recente articolo “L’ambizione dello scrittore” di Salvatore Anfuso (che ringrazio per avermi citato) a farmi decidere di concretizzare il mio intento.
Come evidenziavo anche nella puntata precedente, la scrittura per me rappresenta il luogo della scelta e della libertà espressiva in contrapposizione agli obblighi incatenanti, alle aspettative sociali, al rispetto dei ruoli prestabiliti. Non c’è alcun senso del dovere nel mio scrivere. Non c’è il capo che entra in ufficio di soppiatto e sbricia dietro le mie spalle per vedere se sto facendo il mio lavoro. Non c’è un cartellino da timbrare e i miei colleghi – i personaggi – non mi sono stati imposti da nessuno: creandoli, io li ho scelti. In poche parole, a muovere la mia scrittura è la decisione spontanea di raccontare storie.
Ciò nonostante è assurdo pensare di poter portare avanti un progetto scrittorio senza autodisciplinarsi: se si vuole tirare la scrittura fuori dalla sfera degli hobbies a tempo perso per trasformarla in qualcosa di più concreto, occorre agire con costanza e determinazione, darsi delle regole. Ed è qui che entra in gioco la responsabilità, che dona concretezza alla libertà individuale e la indirizza verso uno scopo.
Per comprendere meglio questo concetto, dobbiamo fare un passo indietro: cos’è la libertà?


Un adolescente si sente libero se può fare tutto ciò che desidera senza alcun limite o costrizione ma io, a trentatré anni suonati, sono ormai lontana da questa idea. Per me libertà significa poter gestire il mio tempo e i miei obiettivi in autonomia, senza tradire la mia coscienza e i miei valori. Avere la possibilità di scegliere non ci dà il diritto di diventare degli stronzi. L’arbitrio individuale ha un senso solo se indirizzato verso scelte benefiche per se stessi e per gli altri, proprio come evidenzia il Dalai Lama:

“Molte persone vogliono essere libere, ma non vogliono assumersi delle responsabilità, anche se la libertà è inseparabile dalle responsabilità! Se possiedo la libertà di pensare, è mia responsabilità pensare positivamente; se possiedo la libertà di parlare, è mia responsabilità parlare in maniera appropriata e significativa; se possiedo la libertà di agire, è mia responsabilità agire correttamente.”

Scrivendo il mio romanzo non del faccio male a nessuno, di questo sono sicura, però faccio un gran bene a me stessa: assecondo il mio desiderio di narrare e mi libero dalle catene che mi tengono inchiodata a un’afasia che non appartiene al mio carattere. Io sono libera di scrivere e sono libera di non scrivere ma - dal momento che ho deciso di farlo – mi assumo con gioia tutte le responsabilità connesse alla mia scelta. Coscienza e passione camminano a braccetto, fanno il loro sporco lavoro. E io non percepisco il peso di alcun obbligo imposto dall’esterno.

Pertanto, è mia responsabilità donare al lettore una storia bella e ben scritta perché questa persona ha deciso di dedicare ore importanti della propria vita a leggere le mie parole: si tratta di un atto di fiducia che va onorato nel modo migliore.
Inoltre, non potrei mai deludere chi ha creduto in me.
Ormai da un anno, state seguendo il cantiere aperto sul mio romanzo: come vi sentireste se un giorno vi dicessi che ho deciso di mollare tutto? Presi in giro, ovviamente. 
Sapere di essere sostenuta da tutti voi, che ogni settimana mi incoraggiate con i vostri commenti, mi dà lo stimolo non solo per proseguire la stesura, ma anche per impegnarmi a tirare fuori un buon lavoro.
Già mi sento un po’ in colpa perché non sono ancora riuscita a scrivere i racconti che vi avevo promesso: ho pochissimo tempo libero e tendo a dedicarlo al mio romanzo… Ma, nonostante questo, siete ancora qui. Ve ne sono grata. Sarete ripagati per la vostra presenza, lo giuro!

È mia responsabilità rispettare i miei limiti e le mia capacità senza sentirmi inadeguata se non riesco a raggiungere immediatamente i livelli a cui ambisco.  Molti esordienti tendono a voler strafare, ma spingere la storia al di sopra delle proprie possibilità è pericolosissimo:  

Cosa può fare un bambino con un coltello affilato? Con ogni probabilità riuscirebbe solo a fare del male a sé stesso o agli altri. Secondo me, una tale libertà non significa granché: abbiamo la possibilità di agire liberamente, da un punto di vista giuridico, ma in realtà dal punto di vista interiore non siamo liberi affatto!”

Vorrei tanto scrivere un romanzo giallo, ma non ne sarei capace. Rinunciare a tale proposito è un atto di umiltà. Magari potrei buttare giù qualche raccontino per fare esercizio, e occuparmene in futuro. Il web è pieno di opere auto-pubblicate da individui che non sarebbero in grado di redigere nemmeno la lista della spesa, e io non voglio buttarmi in questo calderone….

So di non essere perfetta e forse mai lo sarò, ma voglio diventare una professionista, non tanto nel numero delle copie vendute quanto nella qualità dei miei (parlo già al plurale!) romanzi. Quindi, è mia responsabilità anche indirizzare le mie azioni verso il risultato e ammettere i miei errori con umiltà per poterli correggere.
Un desiderio deve essere supportato da decisioni concrete, altrimenti rimarrà sempre chiuso in un cassetto. Non si può portare a termine un progetto narrativo rimanendo in panciolle sul divano ad attendere che qualche santo in paradiso si sieda al pc e scriva al posto nostro. Per raggiungere un obiettivo occorre darsi da fare, rimboccarsi le maniche ed essere pronti a dire “ho sbagliato” per poi ricominciare tutto da capo con la stessa dignità.
Ma, soprattutto, bisogna sapere accettare eventuali fallimenti senza accampare scuse:

“Nessuno può prendere tali decisioni al mio posto. Se tutti noi riuscissimo ad assumerci la responsabilità di ciò che diciamo, pensiamo e facciamo, questo pianeta sarebbe un posto migliore, ma molti tra noi non lo fanno. Preferiamo accampare delle scuse e incolpare gli altri, o le circostanze, per qualsiasi cosa accada.”

Quante persone si arrabbiano se non riescono a ottenere il successo che ritengono di meritare?
È facile accusare il sistema editoriale, gli agenti assassini e la concorrenza degli autori auto-pubblicati quando si fa una promozione grossolana al limite dello spam o si scrivono storie che non interessano a nessuno…
Io ritengo una mia responsabilità anche considerare l’eventuale futuro del mio romanzo, comprendere quale sia la forma di pubblicazione e di distribuzione più adatta, rendermi consapevole dei suoi punti di forza e delle sue debolezze.
Uno scrittore è libero di scrivere ciò che vuole per dare sfogo alle proprie necessità espressive, però deve saper accettare i pro e i contro delle proprie scelte: difficilmente un saggio sui meccanismi di riproduzione dei paguri diventerà un best-seller.
Io non mi sono ancora occupata di questi dettagli perché penso sia prematuro. So che in futuro sarà necessario ragionare in termini di mercato, anche se non punto a vendere milioni di copie, ma a trovare la mia piccola nicchia. Non sono tagliata per diventare l’idolo delle masse, non fa parte del mio carattere. Mi basterebbero pochi affezionatissimi lettori che apprezzino la qualità delle mie storie, senza essere obbligata a una bieca prostituzione intellettuale.  Dopo tutto, ho anche una grossa responsabilità nei confronti di me stessa: dire al mondo chi sono tramite la mia scrittura. Ho passato una vita nell’angolino ed è giunto il momento di uscire allo scoperto e rendere onore all’unica cosa che so fare bene.

 Il lancio della patata bollente.
Mi piacerebbe ascoltare la vostra opinione al riguardo, sapere quali fra queste responsabilità percepite e sciogliere i vostri dubbi qualora questo discorso non fosse chiaro.
Ma, soprattutto, ci sono altre responsabilità legate alla scrittura che percepite?

E con quanta gioia le portate sulle vostre spalle?

P.S. Ora, che ho il post già pronto per essere pubblicato, mi è venuta in mente un'altra responsabilità, ma ne parlerò in un altro momento! Però vi sfido a indovinare quale sia! :)

Commenti

  1. A parte il fatto che mi intriga l'accoppiamento del paguro, sottoscrivo ogni parola del post.
    Io vivo la scrittura in modo molto simile a come vivevo lo sport agonistico, in parte perché è andata a sovrapporsi, ha acquistato per me importanza via via che mi allontanavo dall'agonismo. Spesso faccio proprio il paragono con lo sport. Non ho spesso di correre solo perché non faccio più gare, ma corro secondo i miei orari e i miei ritmi, se non mi va/non ho tempo pace. Se per un periodo diluvia faccio se mai cyclette in casa, non rischio certo la polmonite! Quando facevo agonismo mi ero presa degli impegni, con il mio allenatore e con le mie compagne di squadra. Ogni giorno alle 15.45 ero puntuale al campo di atletica, anche se poi questo voleva dire avere le versioni di greco da finire quando avrei preferito dormire. Niente uscite il sabato sera, perché la domenica c'erano le gare e spesso ci si alzava all'alba. Avere male da qualche parte era la norma, perché "se non hai qualche doloruccio non ti sei impegnata a fondo". Eppure quando mi domandavano perché lo facessi, la risposta era "mi piace correre". Mi piaceva, mi piace ancora, ma nel pacchetto "agonismo" c'erano anche tante altre cose che andavano prese in toto. Non potevo dire sì, ma il sabato sera faccio le 4 del mattino... Con la scrittura è la stessa cosa. Mi piace raccontare storie. Da quando ho deciso di cercare di pubblicarle nel pacchetto "scrittura" sono entrate tante altre cose, il cercare di scrivere al meglio, il cercare degli editori, il mantenere i rapporti... Non tutto mi piace allo stesso modo, qualche doloretto ogni tanto c'è. Fa parte del gioco, però. E una volta che si è deciso di scendere in campo si può solo tentare di fare del nostro meglio!

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    1. Sono andata a verificare perché non ero sicura di ricordare bene: è stato proprio il tuo commento al post sul dovere che ha suscitato questa riflessione. Anche lì, avevi parlato della corsa e di come questa volontà abbia inevitabilmente portato a dei sacrifici, però fatti con gioia, perché finalizzati a qualcosa di importante per la persona. Quelli legati al lavoro non sono sempre sacrifici piacevoli. Spesso sono sacrifici e basta.
      Anche io ho adeguato la mia vita alla necessità di scrivere il mio romanzo. E, forse, nemmeno abbastanza, perché sono ancora molto indietro. Però non rimpiango i sabati e le domeniche passate a scrivere, né le notti in cui andavo a dormire con gli occhi a palla. Mi è passata anche la voglia di fare vacanze lunghe, perché temo possano distogliere l'attenzione dallo scrivere. Ma sono felice così. è una cosa che mi fa stare bene più di mille altre cose. :)

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    2. Io mi porto dietro il computer! Al marito non dispiace la pennichella e con un bel paesaggio davanti si scrive meglio! Certo, il fatto di non avere particolari ritualità legate alla scrittura mi aiuta a scrivere anche in viaggio ;)

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    3. Anche io di solito lo porto, ma se si tratta di andare nella casa in Piemonte o a Milano dai suoceri riesco anche a scrivere (non muovermi mai sarebbe impossibile) ma se sono da qualche altra parte più "esotica" (intesa come sconosciuta) ho poca voglia di stare al computer e preferisco vagabondare. Anche questo è essere scrittori! :-D

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  2. Non so se definirla responsabilità. O forse sì: la responsabilità di dare il mio meglio in qualcosa che sento nelle mie corde. Non credo che potrei scrivere in una situazione di mezzo, perché so bene che non dare il mio meglio significherebbe non avere possibilità di arrivare ai lettori. Anche così, non è detto che ci riesca, ma se ci provo, ci provo seriamente. :)

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    1. Io credo che fare del proprio meglio sia un'importante responsabilità, soprattutto nei confronti di se stessi. Il rischio di sbagliare è spesso in agguato e ci rende vulnerabili. Però noi andiamo avanti ugualmente, ci impegniamo al massimo e prima o poi qualche risultato arriva. Non è bellissimo? :)

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  3. Oltre alla responsabilità di scrivere al meglio, di non scrivere castronerie raffazzonate: se non conosco un argomento non ne parlo piuttosto, ché il nozionismo non lo reggo, e informarsi su Wikipedia non significa conoscere le cose, sento molto la responsabilità di rimanere me stessa. Sì, la stessa che scrisse il primo romanzo e mosse i primi passi nel mondo dell'editoria e dei blog, senza che nessuno la conoscesse ha saputo farsi credo apprezzare da molti; purtroppo di scrittrici che si sono montate la testa ne conosco più d'una, che "io vado alle presentazioni solo se mi pagano" dimenticando gli esordi faticosi, ecco NO GRAZIE, non so dove arriverò, ma se pubblicare con un big implica di rinnegare il passato, rimango dove sono volentieri. Non vorrei mai che qualcuno mi dicesse "però, come sei cambiata!" bacio Sandra

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    1. Sono pienamente d'accordo.
      Ogni storia deve essere in qualche modo connessa con il nostro modo di essere, altrimenti smette di essere arte e si trasforma in un inutile esercizio di stile.
      Mantenere l'umiltà una volta raggiunto il successo, poi, è fondamentale: senza i lettori non andremmo da nessuna parte e, con la concorrenza che c'è in giro, le relazioni sono fondamentale. Nessuno scrittore può comportarsi da star. In questo forse sono agevolata perché amo molto il contatto con le persone. :)

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  4. A me è successo, forse te l'ho già raccontato, di ricevere delle mail da persone (ragazze giovani, per lo più) che avevano letto la mia storia più impegnativa. Mi dicevano che le aveva fatte crescere, una che aveva trovato il coraggio di lasciare una persona "sbagliata". Una persona che conosco... di persona mi ha scritto che la mia storia l'aveva aiutata ad evadere in un momento molto doloroso della sua vita. Cose bellissime, mi dirai, Beh, sì. Gratificanti. Ma anche terrificanti, perché ho sentito una grandissima responsabilità e la paura di perdere il controllo degli effetti di ciò che scrivevo. Nella storia che ho finito in questi giorni c'è un personaggio maschile abusivo (in modo più psicologico che fisico) ma anche affascinante, per il quale la protagonista avverte una grande attrazione. Mi serve così, per una serie di ragioni legate al tema fondante della storia, ma mi faccio un sacco di problemi perché ho paura che se mi riesce troppo affascinante possa anche fuorviare, suscitare emozioni sbagliate. Il finale fa giustizia di tutto, ma io ho paura lo stesso. Non sono sicura di potermi liberare da questa responsabilità. Non so, forse bisognerebbe scrivere tenendo conto di questo. La legge di causa ed effetto non contempla solo effetti diretti... Ogni pensiero negativo che si diffonde può fare del male, in modi che non siamo in grado di prevedere. Poi magari non mi leggerà nessuno o quasi, questa volta, ma se non fosse così? Ecco, questo è un tipo di responsabilità che mi terrorizza abbastanza. Io ci tengo al mio karma ;-) . (Sua Santità il Dalai Lama, tra parentesi, l'ho sentito parlare più volte e ogni volta esco che cammino a un paio di metri da terra)

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    1. Io credo che tu non debba farti tutti questi problemi e abbia il diritto di raccontare la storia che ti brucia dentro. Dici che il finale rende giustizia, e questo basta. In fondo è il messaggio che si intravede fra le righe a essere importante. E il lettore è una creatura autonoma, libera di interpretare le nostre parole come meglio crede. Noi siamo responsabili di ciò che diciamo, non di ciò che loro comprendono... :)

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  5. Vivo il senso di responsabilità come una missione costante nella mia vita: sono responsabile nei confronti dei miei figli, quando assumo un comportamento che richiede coerenza, lo sono nei confronti di mio marito e della vita insieme che abbiamo scelto con il matrimonio; ho una responsabilità da amica quando do consigli a qualcuno che si fida di me, ecco, forse è questo il maggiore peso che avverto: provare a non deludere mai le aspettative di chi crede in me. Anche nella scrittura è così: ho scritto un libro che ha ricevuto il plauso di tanta gente (e che anche non è piaciuto a qualcuno, intendiamoci!), so che quelle persone da me d'ora in poi si aspettano la conferma di una bravura che mi hanno riconosciuto, ho una responsabilità nei loro confronti e dunque capisco in pieno il discorso che hai fatto tu e sono d'accordo. Però, provo a vivere tutto serenamente, senza stress: dove arrivo metto punto, dunque sì alla costanza nella scrittura e all'impegno, ma senza tempi prestabiliti. Mi basta essere a posto con la coscienza.

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    1. Sono d'accordo con il tuo atteggiamento, anche perché penso che la nostra responsabilità più grande sia nei confronti di noi stessi, del nostro benessere e della nostra stabilità psicologica. Nel momento in cui ciò che facciamo (che sia la scrittura o altro) arriva a creare dello stress, dobbiamo essere in grado di tirare i remi in barca e fare un passo indietro. :)

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  6. Non sono sicura che per me scrivere sia una responsabilità, forse perché associo la parola 'responsabilità' solo a qualcosa che è un dovere fare. Tutto ciò che faccio per mia scelta, automaticamente non è più una responsabilità.
    Il fatto è che scrivo per me, sia che lo faccia o meno nessuno ne morirà, quindi rimane una cosa personale, solo mia, in cui la responsabilità è legata al piacere che ne traggo. Mi spiego meglio: se un giorno mi sentissi frustrata perché non sono riuscita a scrivere, sicuramente il giorno dopo farei di tutto per mettermi alla tastiera, ma se all'improvviso sparisse questa mia passione per un motivo o per l'altro, di certo non mi obbligherei a farlo, perché non ho preso impegni con qualcuno, ho preso un impegno con me stessa. Mi sono detta di scrivere perché amo farlo. Se non mi desse più le stesse belle emozioni che provo ora scrivendo, probabilmente non lo farei.

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    1. Non so se hai avuto modo di leggere il post di cui parlo all'inizio, quello sul dovere. Lì evidenziavo bene la contrapposizione che percepisco fra la volontà e l'obbligo. Per questo motivo, non ho mai considerato la scrittura un dovere... Tuttavia, secondo me, la responsabilità è qualcosa di diverso. A differenza dell'imposizione, è vissuta con gioia perché è frutto di una scelta. Per esempio, mettere al mondo un figlio è una libera scelta, ma nel momento in cui decidi diventi responsabile di quella persona. Il "dovere" puro, secondo me, è vissuto con più sacrificio e ... fatica! :)

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  7. L'unica responsabilità per me sta nella qualità del libro.Riguardo ai contenuti, ognuno è libero di scrivere ciò che vuole e in cui crede, l'importante è che sappia a cosa va incontro. Mi riferisco alle scarse vendite su un saggio sui paguri :)

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    1. Sono d'accordo. Ciascuno ha diritto di scrivere la storia che meglio crede, però con tutte le conseguenze del caso. Anche questa è una forma di responsabilità. :)

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  8. La responsabilità che sento (a dire il vero: l'unica responsabilità che sento), è quella nei confronti della storia. Cerco di fare del mio meglio per non combinare un pasticcio: è come trovare un reperto archeologico, e occorre fare in modo che torni alla luce senza danni. Il lettore? Non ci penso, non sento nei suoi confronti alcuna responsabilità, ma cercando di scrivere al meglio delle mie possibilità, faccio un buon servizio a lui. Almeno spero!

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    1. Il lettore in fondo è un cliente, e la sua soddisfazione è comunque importante. Però è anche vero che è una diretta conseguenza della qualità della storia. Quindi, se lavoriamo sulla prima responsabilità, chi ci ha dato fiducia sarà contento di conseguenza.

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  9. Onestamente sento solo la responsabilità del messaggio di fondo: devo trasmettere un messaggio che condivido, anche se magari potrebbe non piacere a tutti. Ma non sarei capace di trasmettere un messaggio più "popolare" se in effetti non mi ci identifico, mi sentirei un truffatore.

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    1. è vero, il messaggio è importantissimo anche per me, sebbene non ne abbia parlato esplicitamente nel post. Non esiste storia che non trasmetta qualcosa... :)

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  10. Sento un unico dovere nei confronti dei potenziali lettori, l'onestà intellettuale che quello che scrivo è qualcosa in cui credo non un tentativo d'irretire;)

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    1. Hai detto una cosa bellissima: nemmeno io potrei scrivere una storia che tradisce i miei valori e il mio pensiero solo per vendere qualche copia in più ...

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  11. Io credo nel Karma, ma solo quando mi conviene :D
    Col mio romanzo vorrei far capire alla gente che non sono alberi, e che se non gli piace dove sono si possono spostare. Ci sono così tante vite sprecate nell'illusione di non poter far di meglio, di non avere scelta. Spero di non diventare mai così. Questa è la responsabilità che sento. Aiutare le persone a riflettere su opzioni che non sanno di avere.

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    1. Mi sembra un messaggio bellissimo. Anche nel mio romanzo il viaggio ha un valore fondamentale, così come ce l'ha il cambiamento radicale di stili di vita. Tuttavia, io evidenzio che fuggire con questioni irrisolte alle spalle non serve granché: prima o poi si dovrà tornare, per rimettere le cose a posto. Ma ciò che mi preme comunicare maggiormente al lettore è una parziale risposta alla domanda "cosa rende un individuo veramente libero?". Non ti dico la risposta, perché altrimenti ti svelo il finale del libro! :-D

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  12. Sono d'accordo.
    In un mondo pieno di gente che attribuisce la bussola della propria vita agli altri o al caso, io ho scoperto, tra la fine dell'adolescenza e l'inizio della giovinezza, che assumersi la responsabilità di sè stessi è una gioia. La scrittura è un po' un'estensione della mia identità: se scrivere è lo scopo della mia vita, allora devo avere rispetto per i miei desideri, applicarmi con la serietà che desidero, e dare credito al mio giudice interno, che mi vuole sempre più brava anche se il mondo là fuori si aspetta che io sopravviva e basta, senza dedicarmi a certe scemenze. Forse per me la libertà è scegliere liberamente i propri obblighi.

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    1. Chapeau! Condivido dalla prima all'ultima parola.
      Se una persona non ha la possibilità di esprimere se stessa come meglio crede, ci condanniamo a un'esistenza mutilata, a una squallida finzione. In questa fase della mia vita mi rendo conto che la maggior parte dei miei sforzi si concretizzano nel tentativo di resistere all'oppressione e che la scrittura è il mezzo con cui rivendico la mia autenticità. Vincerò io, lo giuro! :)

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  13. Sono d'accordo con te. Scrivere è un atto di libertà assoluta. Basti pensare già solo al fatto che puoi sempre decidere di cancellare tutto quello che hai scritto, o modificarlo, o non farlo leggere a nessuno. Inoltre l'atto creativo è un atto libero, un atto che serve a esprimersi. La responsabilità entra in gioco quando decidiamo di far leggere quelle cose a qualcun altro. Allora dobbiamo fare attenzione, avere rispetto per il lettore. Sia dandogli un prodotto di qualità, sia cercando di non turbare inutilmente la sua sensibilità. Perché uso la parola inutilmente? Perché posso anche deciderlo di turbare un mio lettore, ma questo dev'essere giustificato da una scelta: quella di far evolvere la sua coscienza.

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    1. Salvo, ti ho fatto diventare un fricchettone new-age come me! :-D
      Scherzi a parte, concordo con quanto hai scritto e sono contenta che la discussione sul dovere sia scaturita, a tempo debito, in due post che fanno quadrare il cerchio.
      L'interazione e la reciprocità che si esprimono sul blog possono portare una bellissima evoluzione per tutti quanti. :)

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    2. Fricchettone new-age no, per favore no! XD

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    3. Io sono fricchettona dentro, non fuori! Non ho la maglia del che o i rasta. Sono una fricchettona con i tacchi!

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