Cento giorni di felicità: quando il viaggio dell'eroe conta più della meta


Questa è la storia di come ho vissuto gli ultimi cento giorni sul pianeta terra in compagnia dell'amico Fritz. E di come, contro ogni previsione e ogni logica, siano stati i più felici della mia vita.
(Cento Giorni di felicità - Fausto Brizzi)


Recentemente, mi è capitato di leggere un romanzo molto piacevole che si intitola “Cento giorni di felicità”. L’autore, Fausto Brizzi, è un noto regista di commedie. “Ex” e “Maschi contro femmine” sono molto divertenti, ma non si distinguono certo per spessore e profondità. Proprio per questo motivo, all’inizio avevo qualche perplessità all’idea di acquistare il romanzo, in quanto inconsciamente lo associavo alla carriera cinematografica dell’autore.
A convincermi sono state, come spesso accade, le recensioni contrastanti trovare in rete. Alcuni lettori ammiravano la delicatezza con cui veniva affrontato un argomento scomodo quale il lento deterioramento del corpo in seguito alla scoperta di un tumore, mentre altri ritenevano che il tema fosse gestito con superficialità ed una punta di buonismo.
In linea generale, a me il romanzo è piaciuto. Non sarà un capolavoro di alta letteratura, ma l’ho trovato al contempo commovente ed allegro, triste e scanzonato. Di solito, se piango il romanzo è promosso.
Ma vi dirò di più: come già successo nel caso di “Un piccolo gesto crudele”, ho deciso di usarlo come spunto per riflettere su alcune questioni tecniche. Ai tempi dell’articolo di cui sopra, avevo parlato della motivazione, che deve essere coerente con le azioni del personaggio. Oggi vorrei soffermarmi su un altro punto: la gestione della trama.

Da quando scrivo, il mio approccio alla lettura è cambiato. L’occhio si è fatto più critico e va in cerca di spunti che possano aiutarmi a migliorare. Pertanto, mi piacerebbe inaugurare la prima rubrica di Appunti a Margine: di recensioni ne è pieno il web, ma analizzare i punti chiave di un romanzo per comprendere meglio determinate dinamiche narrative potrebbe essere utile a tutti. Cosa ne pensate? Appena decido nome ed eventuali scadenze di questo appuntamento, il gioco è fatto.
Ma ora veniamo al dunque.

Di cosa parla “Cento giorni di felicità”?
La storia racconta di Lucio. Quarantenne, allenatore di pallanuoto e personal trainer, padre di due bambini e con un matrimonio in crisi in seguito ad una scappatella scoperta dalla moglie Paola.
Quando apprende di avere un tumore è ormai troppo tardi: per un anno aveva ignorato i segnali che il suo corpo gli mandava, rinunciando a farsi visitare. Di conseguenza non gli rimane molto tempo: poco più di tre mesi, dice il dottore. Poi il suo male sarà ad uno stato così avanzato da rendergli impossibile condurre una vita normale. Il suo organismo sarà destinato ad un progressivo deterioramento, fino alla morte.
Lucio ci riflette a lungo, non privo di dubbi e di smarrimento, poi prende una decisione: dal momento che non vuole che i suoi cari lo vedano ridotto ad un’ameba, sceglie di procedere con il suicidio assistito in una clinica svizzera. Inizia quindi un vero e proprio count-down, registrato su un quadernetto che diventa il diario di bordo del suo ultimo viaggio.
L’obiettivo principale è scritto a caratteri cubitali nella prima pagina: riconquistare Paola. Altri scopi minori sono definiti strada facendo: ritrovare l’anziana guida turistica di cui il suocero si è invaghito, aiutare i suoi migliori amici ad essere sereni, fare in modo che la squadra da lui allenata smetta di essere il fanalino di coda della classifica… traguardi grandi e piccoli, dunque, per non lasciare nulla in sospeso e vivere appieno gli ultimi istanti che gli rimangono.

Cosa mi ha colpito maggiormente di questo romanzo?
Quando ho iniziato a leggerlo, sapevo già come sarebbe andata a finire. Non si trattata vi una pura supposizione in quanto il protagonista, in diretta dall’aldilà, esordisce mettendoci al corrente della data di nascita e di quella di morte.
Una bella bufala, vero? Dopo tutto, una delle motivazioni per cui il lettore rimane incollato alla pagina è la classica curiosità su come si concluderà la storia.
Eppure, nonostante la meta fosse nota, il viaggio è stato descritto con tanta minuzia da avere la meglio sulla destinazione. Il finale era secondario: ciò che interessava era comprendere cosa sarebbe accaduto strada facendo, accompagnare Lucio lungo il suo tragitto e fare il tifo per lui nel perseguimento dei suoi obiettivi.

La lotta dello scrittore contro la prevedibilità.
Esistono molti casi in cui il lettore può prevedere con sostanziale facilità la possibile evoluzione della trama. La promessa narrativa, spesso, è insita nel genere stesso a cui il romanzo appartiene. Se leggo un romanzo giallo, ad esempio, mi aspetto di venire a sapere chi sarà l’assassino. L’investigatore può anche non scoprirlo, ma allora che un bel narratore onnisciente lo dica a me, altrimenti mi arrabbio. Che faccia come Orson Welles in Quarto Potere: il giornalista non scopre chi è “Rosebud” ed abbandona la sua ricerca, ma l’occhio sapiente della telecamera mostra la verità allo spettatore. “Guarda ‘sto cretino che non ce l’ha fatta” sembra voler dire. “Ora te lo spiego io.”
Chi si approccia alla lettura vuole vedere soddisfatte le proprie aspettative. Tuttavia, una trama troppo scontata rischia di far addormentare il lettore con la bocca spalancata, la testa appoggiata al bracciolo. La parola chiave è sempre la stessa: equilibrio. L’autore deve mantenere la promessa fatta al lettore ma, nello stesso tempo, saperlo sorprendere. Deve essere rassicurante ma avvincente. Fedele al proprio genere ma originale.

Come generare sorpresa e mantenere la tensione, senza risultare banali?

Alimentare l’attesa.
Mi è capitato recentemente di leggere “Il baco da seta”, nuovo romanzo di Robert Garbaraith (ovvero la Rowling sotto copertura), secondo della serie dedicata al detective Cormoran Strike. Sapete quando è stato trovato il cadavere? A pagina 180 circa, su un totale di 400. Io scalpitavo sulla sedia, mentre l’investigatore cercava di capire se la scomparsa dello scrittore Owen Quine fosse legata ad un allontanamento volontario. Chiaro che non fosse così, no?
Lei&Lui di Andrea De Carlo è un romanzo sentimentale, lo dice il titolo stesso. Eppure il primo bacio fra i protagonisti è qualcosa che ci dobbiamo guadagnare, assistendo a pagine e pagine di moti interiori, controversie, dubbi individuali, crisi esistenziali, litigi e malintesi. È indubbio che l’autore – a prescindere dal gusto personale – sia un gran professionista. Riesce quindi a mantenere accesa la tensione facendo succedere di tutto.
Che il lettore si aspetti romanticismo, oppure morti ammazzati, questo avrà. Però deve sudarseli seguendo un percorso articolato, architettato ad hoc per far sì che, una volta accaduto ciò che desidera, possa fare un bel sospiro di sollievo e dire “oh, finalmente”.

Attirare l’interesse sul cammino.
A tal proposito, mi viene in mente una scena molto bella, di un film che si intitola Paceaful Warrior (in italiano “La forza del campione”) e che racconta dell’amicizia fra un adolescente superficiale ed un anziano benzinaio soprannominato Socrate.
I due protagonisti si stanno arrampicando per raggiungere la cima di una montagna. Lì, a detta del vecchio, mostrerà a Dan qualcosa di meraviglioso. Non entra nel dettaglio: potrà scoprire di cosa si tratta solo una volta arrivato alla meta.
La passeggiata è molto divertente: ridono, scherzano, canticchiano. Si raccontano, con drammi e paure. Condividono un momento di grande amicizia. Sono felici.
Alla fine del percorso, Dan è deluso: tutto ciò che Socrate voleva mostrargli è un sasso. Una semplice pietra, nuda e cruda.
Il ragazzo si infuria, si sente preso in giro dal proprio mentore, ma Socrate lo guarda con sorriso pacato. “Ti sei divertito durante il viaggio?” chiede. A volte, più del risultato, conta il tragitto.
Nel suo romanzo, Brizzi sviluppa alla perfezione questo concetto: da rilievo al cammino più che alla meta. E lo fa così bene da rendere assolutamente irrilevante il fatto di conoscere già il finale. Anzi: sapere che Lucio morirà ci fa prendere ancora più a cuore i suoi obiettivi, perché sappiamo già che saranno gli ultimi e che non avrà possibilità di riscatto. L’eventualità che non possa raggiungerli ci spaventa. Per questo motivo, siamo disposti a condividere con lui i suoi ultimi cento giorni di felicità e le ciambelle fritte di cui è ghiotto. Facciamo il tifo, fino alla fine. Una fine che non concederà la possibilità di un sequel.

Per concludere.
Non vorrei che quanto scritto sopra alimentasse fraintendimenti, pertanto ci tengo a chiarire che il finale di un romanzo è importantissimo. Non voglio certo minimizzare il suo ruolo. Una chiusura deludente, infatti, può compromettere l’intera percezione dell’opera. Tuttavia, un colpo di scena last-minute non potrà mai bilanciare una trama scarna ed insignificante o la presenza di un protagonista amorfo per il quale è impossibile provare empatia.
La complessità di un’opera comprende diversi elementi. Solo grazie all’equilibrio fra le varie parti può nascere un tutto armonico. Pertanto, fra una partenza in quarta ed un arrivo con il botto deve esserci un percorso coinvolgente.
Il viaggio dell’eroe è anche metaforico: si accompagna ad un percorso di evoluzione di crescita, sancisce una trasformazione interiore ed esteriore.
È proprio su questa trasformazione che dobbiamo porre l’accento, facendo in modo che il lettore se ne senta partecipe. Solo in questo modo potrà tendere la mano al nostro protagonista e camminare al suo fianco. Insieme, rideranno e piangeranno come Dan e Socrate nel film di cui sopra. Ma, se il treno rimarrà bloccato in galleria, arriveranno alla meta annoiati e stravolti. È questo che vogliamo? Certo che no. Quindi, rimbocchiamoci le maniche e facciamo in modo che il tragitto sia indimenticabile.

Qualcuno di voi ha avuto modo di leggere questo romanzo? Cosa ne pensate della mia interpretazione? Vi vengono in mente altre opere in cui il viaggio conta più della meta? E in che modo cercate di renderlo entusiasmante?

Commenti

  1. Non so se questo sia il libro che fa per me, ma il discorso generale che fai mi trova totalmente d'accordo. Il viaggio conta sempre di più, sopratutto nelle storie.

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  2. Il libro è stato un buon punto di partenza per una riflessione interessante. è un periodo in cui mi sento decisamente onnivora e continuo a spaziare da un genere all'altro. Questo non è un romanzo "alto", però si legge abbastanza in fretta. Mi ha fatto compagnia durante l'influenza :)

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  3. Vale anche per me: quando leggo lo faccio sempre (purtroppo) con occhio critico, pronto a cogliere le sfumature e le sottigliezze tecniche che l'autore utilizza per produrre un risultato. Mi capita perfino con i film ormai (che sono pur sempre delle storie, anche se raccontate con un mezzo diverso).

    «Che faccia come Orson Welles in Quarto Potere: il giornalista non scopre chi è “Rosebud” ed abbandona la sua ricerca, ma l’occhio sapiente della telecamera mostra la verità allo spettatore. “Guarda ‘sto cretino che non ce l’ha fatta” sembra voler dire. “Ora te lo spiego io.”» - come sempre sai cogliere il senso delle cose, esprimendolo in modo sintetico e chiaro. Molto brava. Infatti, non è il “cosa succederà?” che deve chiedersi il lettore, ma il “come suddecerà?”.

    Non so rispondere alle tue domande, non senza fermarmi a ragionare per più tempo di quanto abbia a disposizione. Però il tuo post è valido e spero che diventi una rubrica, come hai promesso. ;)

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    1. Il come conta moltissimo, soprattutto quando alcuni sviluppi sono intuibili.
      Il mio romanzo non è un sentimentale, però mi rendo conto che, dopo aver conosciuto i protagonisti, per il lettore possa essere spontaneo "metterli insieme", almeno all'inizio. Pertanto occorre gestire molto sapientemente gli sviluppi, fare in modo di creare suspense pur mantenendo il rispetto per le convenzioni. Questo è macchinoso, ma molto divertente. :)

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  4. Il percorso, la crescita è uno dei perni per me fondamentali, forse troppo.
    Mi piace scavare e mostrare il perchè quel dato personaggio sia diventato così. Perciò quando trovo die libri che mi mostrano le vite, flaskback o anche solo la crescita dei personaggi vado in brodo di giuggiole. La chiusura è importante, ma il percorso di più è quello che fa affezionare il lettore, che lo tiene incatenato al libro fino all'ultima pagina. Un libro noioso, difficilmente verrà letto.

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  5. Sì però è anche vero che un finale "moscio" può compromettere il giudizio finale sul libro. Uno scrittore sapiente sa dosare alla perfezione tutti gli elementi.

    Anche io do grande rilievo alle tematiche psicologiche :)

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  6. Ehm... io il "baco da seta" me lo volevo leggere... ma qualcuno mi ha appena detto cosa succede a pagina 180
    X=(

    Mi vendicherò quando meno te lo aspetti :P

    Paura, eh?

    A me piace la tecnica della bomba a tempo, per cui a pagina uno so già che nelle prossime duecento pagine ci sarà la storia di come si è arrivati da A a B in TOT tempo. Mi incuriosisce la scommessa, vedere se riesco a indovinare come e perché è successo. Anche sapere chi è l'assassino mi incuriosisce, perché voglio indovinare come sarà mai possibile che quella timida e insicura ragazzetta abbia fatto un gesto simile.

    La rubrica mi sembra un'ottima idea, potresti mettere un disclaimer fisso a inizio pagina che spiega di cosa si tratta così chi incappa nel post pensando sia una recensione veda lo spoiler alert.

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    1. Beh dai, in questo caso non era proprio spoiler: che il cadavere si trova è scritto anche nella quarta di copertina. Il numero di pagina è approssimativo, in quanto non sono riuscita a rintracciare il punto preciso. Non accade nell'immediato, questo è vero. Però succedono tante cose, che non ti dirò mai! XD
      Il romanzo è bello, anche se a me è piaciuto di più "il richiamo del cuculo", sempre di Garbaraith, Ma lo commenteremo quando avrai letto! :)
      Rifletto un po' sul fatto di fare una rubrica, perché questo genere di post sono poco commentati, inoltre non leggo così tanti libri da poter mantenere una scadenza fissa. Ci rifletto un attimo...
      Post del genere, anche se non "scadenzati", probabilmente continueranno ad esserci. E sicuramente ci sarà anche l'avviso di spoiler! :)

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  7. Sono d'accordo: molto spesso, più del risultato, conta il tragitto. Non ho letto il libro, ma mi viene in mente l'Odissea, giusto per andare alle origini.

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    1. Certo, la storia della letteratura conta numerosi romanzi in cui il tragitto vale più della meta. Tu hai citato un esempio principe! :)

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