#imieiprimipensieri - Proud to be choosy
L'unico modo per fare un gran bel lavoro è amare quello che fate.
(Steve Jobs)
I miei primi
pensieri. Tempo previsto: tutto quello che mi serve per esaurire una riflessione
che, come tutti i post della serie, pubblicherò senza riletture o revisioni.
Oggi è il primo
maggio ma per me non ci sono grigliate e cortei, solo sinusite, mal di gola, antibiotici e orari dell’INPS
da rispettare. Meglio così: non mi sono mai piaciuti i contentini che il
sistema cerca di darci per chiuderci la bocca. In fondo, cosa si festeggia
oggi? Il lavoro, oppure la schiavitù? L’autonomia di chi vuol tracciare da solo
il proprio percorso o il silenzio di chi continua a ingurgitare bocconi amari
senza reagire?
Ho il dente
avvelenato, lo ammetto: chi mi conosce sa perché. Sebbene si parli tanto di
libertà e di diritti, ho l’impressione che questa giornata voglia celebrare non
chi lavora, ma chi obbedisce in silenzio. Da nessuna parte ho visto lodare chi
ha il coraggio di rinunciare alla sicurezza per guadagnarsi da vivere in modo
alternativo: questa non è la festa dei ribelli e dei disobbedenti. Non si parla
di appagamento e di soddisfazione, solo di salari e di stipendi. La dignità umana
resta in un cantuccio. E chi smette di accettare una realtà che lo fa soffrire,
chi si butta nel vuoto per seguire il proprio ideale di vita è considerato un
pazzo. Oppure un ingrato. Un viziato. Uno schizzinoso incapace di scendere a
patti con il sistema.
Choosy, direbbe
Elsa Fornero.
Io sono choosy,
e non mi sento in colpa.
Non riesco ad
abbassare lo sguardo davanti a chi mi giudica meno di niente solo perché donna
e sotto i quarant’anni, davanti a chi si pulisce le scarpe con il mio titolo di
studi illudendo il proprio ego che valga meno del suo. Non vedo per quale
motivo una persona che ha sputato il sangue per laurearsi e per acquisire delle
competenze debba essere contenta di farsi dettare un’email di una riga da un
dirigente che ha messo la lingua italiana sotto una teca e non ne conosce le
sfumature. E non vedo come, chi è cresciuto in un contesto di libertà e di
iniziativa professionale, possa accettare un iper-controllo da scuola media
senza dare di matto. Per molti sono una borghesuccia del cazzo. E quindi? Dov’è
il problema? I miei genitori sono entrambi liberi professionisti. I miei zii,
anche. E pure i cugini di primo, secondo e terzo grado. Fin da quand’ero
bambina sono stata lusingata dalle prospettive di una folgorante carriera. Ho lavorato
duro per ottenerla. Ma il mondo di oggi prima ti promette un futuro luminoso,
poi te lo porta via senza chiedere scusa. Ti rinchiude in un contesto obsoleto
dove chi comanda vuole solo mantenere lo status quo. Le persone autonome e creative
sono considerate un peso perché sfuggono a ogni tentativo di manipolazione.
Vengono considerate choosy, appunto. Dei rompicoglioni. Ma ripeto: l’ambizione (in fondo si tratta
solo di questo) non è una colpa. Al contrario, è un diritto. E in un sistema
che funziona questa qualità verrebbe valorizzata, non punita. Invece qui si
premiamo gli schiavi e i leccaculo. Il laureato che non vuole lavorare in
cantiere o servire ai tavoli per tutta la vita è tacciato di snobismo: nessuno pensa al tempo che ha passato sui libri mentre i suoi coetanei andavano in discoteca, ai soldi spesi, ai sacrifici, ai sogni e ai progetti che il suo paese ha distrutto. Ci si indigna, quando scappa all'estero. Ma se è questo ciò che
passa il convento, forse è meglio cambiare aria, farsi servire da altri frati,
da altre suore. Oppure, servirsi da sé.
Sono choosy, e
sono anche folle.
Dopo aver visto
la mia identità polverizzarsi sotto il peso di un’etichetta che non sentivo mia
e aver subito una serie di umiliazioni più o meno velate, ho richiesto il part-time
all’azienda per cui lavoro. Hanno accettato: se tutto andrà bene inizierò il
primo giugno. E se andrà male troverò soluzioni alternative per ottenere ciò
che desidero. Questa decisione sarebbe arrivata molto tempo fa, se non mi fossi
fatta condizionare da chi mi riteneva – e tuttora mi ritiene – una persona
resa fortunata ogni ventisette. Ma loro non possono capire ciò che ho passato. Mi
sono sparata due anni di psicoterapia perché, a forza di scontrarmi con ideali
completamente diversi dai miei, la mia identità si era polverizzata. Mi ero
illusa che l’unico modo per sopravvivere fosse adeguarmi e rinunciare a me
stessa. E ho finito per ammalarmi. Non si può fingere per tutta la vita di
essere ciò che non si è. E non si può far volare un pesce.
Io sono choosy e
sono anche un pesce.
Ho fatto violenza
a me stessa per anni, poi ho detto basta. Una busta paga non vale nulla se lo
specchio non ci rimanda indietro un’immagine soddisfacente della nostra
persona: io lì dentro non vedevo il riflesso di un essere umano ma quello di
uno spettro. Ero diventata il fantasma della ragazza fantasiosa, capace ed
energica che sono sempre stata, ero un ammasso di paturnie e domande, il prodotto
di una realtà malata che ha finito per contagiarmi fino al midollo. Gli ultimi
cinque anni sono stati i più frustranti della mia vita e ora sono stufa di
soffrire, voglio tornare a essere padrona del mio tempo e avere una vita
dignitosa, senza attacchi di panico e senza auto-flagellazioni. D’ora in poi, lo giuro sulla mia vita,
nessuno mi domanderà più: “ma come fai ad accettare una situazioni del genere?”.
D’ora in poi sarò viva. Punto.
Ho tanti
progetti in cantiere per far rientrare da un’altra fonte ciò a cui ho temporaneamente
deciso di rinunciare. Siccome alcuni di essi probabilmente passeranno
attraverso il blog (o forse ne aprirò un secondo, chissà) vi prometto che a tempo
debito ne sarete informati. Per ora mi godo la mia decisione: nonostante
qualche piccolo timore legato all’incertezza per il mio futuro, so che è quella
giusta. Siamo giunti su questa terra con uno scopo. Portarlo avanti a testa
alta non è solo un diritto, ma anche un dovere verso noi stessi. Se c’è un lato
positivo in tutto quello che ho passato è l’aver compreso, per contrasto, quale
sia il mio ideale di vita, nonché cosa posso donare agli altri. In questo sì,
che sono fortunata. Choosy, ma molto fortunata. Libera di fare un salto nel
futuro, e di farlo con gioia. Buon primo maggio a me, quindi. E a tutti i
choosy. A tutti i folli. A tutti i matti. A tutti i Jolly, stufi di farsi del
male.
Tempo impiegato: 32 minuti.
P.S. Se avete trovato un collegamento con un post anonimo comparso altrove, qualche settimana fa, fate finta di nulla. ;)
La dignità dovrebbe essere al primo posto ma al giorno d'oggi è passata all'ultimo. Idem per la soddisfazione personale.
RispondiEliminaDue scelte. Buttarsi, stringere i denti e rischiare o abbassare la testa, stringere i denti e subire. Ulcera compresa.
Auguri di pronta guarigione,
Ps se ho un momento di calma da ora in avanti,partecipo questa volta, ciao!
Purtroppo è vero. La crisi economica ha portato chi ha la fortuna di lavorare ad accontentarsi di ciò che ha, e chi comanda ad approfittarsene. Non conosco un solo dipendente che sia soddisfatto di ciò che fa...
EliminaGrazie per gli auguri.
A presto :)
Anche chi non è dipendente, te lo assicuro. O magari lo è anche ma ha problemi diversi.
EliminaNon parliamo poi di chi un lavoro non ce l'ha proprio in nessuna forma.
Nessuno però vende la disoccupazione o il lavoro indipendente come la ricetta della felicità assoluta...
EliminaDici? Qualche ministro (non ricordo se proprio quel fenomeno da circo di Poletti) disse qualcosa tipo che "il lavoro uno deve inventarselo". Tutti poi a ricordare Steve Jobs che si è costruito con l'amico il computer nel garage e a citare il caso felice di quelli che han fatto i miliardi uscendo dal sistema e lavorando in proprio.
EliminaSulla disoccupazione OK, ma mi sa che tra un po'...
Quando un ministro dice cose del genere viene spesso attaccato da chi pensa che, con le sue parole, voglia colmare le mancanze del sistema. In questo paese molti sono ancora legati a una logica del cartellino, e non hanno questo tipo di lungimiranza. Basti pensare quanto si indigno' la folla quando un politico (non ricordo nemmeno chi) disse che il posto fisso è noioso...
EliminaEra Monti. Tutti quelli che fanno questi discorsi sono quelli che hanno stabilità sociale ed economica.
EliminaAnzitutto, auguri di pronta guarigione!
RispondiEliminaSono d'accordo sul tuo pensiero relativo al Primo Maggio, nel senso che come tutte le feste celebrate in Italia finisce solo per essere un rituale, spesso vuoto. E' anche vero - come mi ha fatto notare una nostra collega blogger, Pia - che il rituale del Primo Maggio ha un valore: ricordare il passato, per celebrare gli sforzi fatti, le conquiste e gli obiettivi raggiunti da chi ci ha preceduto, perché indubbiamente le cose un tempo andavano peggio.
Non sono pienamene d'accordo sul fatto che si voglia celebrare solo lo schiavo, o il leccaculo. Forse perché il mio pensiero odierno è stato invece riconoscere e celebrare il valore del singolo lavoratore, di ogni lavoratore. In una riflessione sul mio blog, ho volutamente inserire, tra i lavoratori da celebrare, anche chi presta la propria opera intellettuale, perché spesso quando si parla di lavoratore da celebrare, si pensa solamente all'operaio in fabbrica, al muratore...Ma viva il jolly, viva chi esprime la propria creatività, crea cose meritevoli che arricchiscono la nostra vita, altrimenti grigia, monotona.
Quindi buon Primo Maggio anche a te, Chiara, che ti senti Choosy: che tu riesca a realizzare i tuoi progetti.
Scindo da quanto detto sopra un paio di considerazioni, relativa a questa tua affermazione: "Il laureato che non vuole lavorare in cantiere o servire ai tavoli per tutta la vita è tacciato di snobismo: nessuno pensa al tempo che ha passato sui libri mentre i suoi coetanei andavano in discoteca, ai soldi spesi, ai sacrifici, ai sogni e ai progetti che il suo paese ha distrutto".
Quasi quasi me la stampo, ci faccio una cornice e la metto in camera. Novantadue minuti di applausi :).
E' curioso che, quando ero piccolo io, era in vigore questa dicotomia: i bambini-ragazzi che studiavano, destinati ad attività intellettuali, e quelli che non studiavano, destinati ad attività manuali. Oggi invece, la stessa società rinnega quanto detto, rimproverandoci se, dopo aver studiato, rifiutiamo di andare a lavorare al McDonald. Non abbiamo la manualità per farlo, non vi pare?
Seconda considerazione: una volta un amico che ha iniziato a lavorare a 19 anni, racimolando un bel gruzzoletto, esprimeva il rammarico per non aver potuto studiare. Ok, si tratta di un rammarico di facciata, a giustificare l'assenza di un titolo di studio (la cui assenza, sia chiaro, non è affatto nota di demerito; ci sono tante persone non laureate che valgono più dei laureati); ma curioso che nella sua visione, lui era quello che si è spezzato la schiena, mentre io (e gli altri studenti) eravamo quelli che hanno fatto la bella vita. Ora, ci sono esempi di miei amici che hanno conciliato perfettamente studio e una magnifica vita sociale; ma il mio amico distratto non teneva in considerazione che, alle 18 di venerdì, per lui iniziava il relax e che nei due giorni successivi poteva dedicarsi al cazzeggio totale; al contrario noi studenti spesso eravamo impossibilitati a prenderci due giorni di pieno relax.
ps posso dire che mi piace molto quando scrivi a getto? Non ti censuri :D.
Ciao Riccardo,
Eliminaci tengo a precisare (la rubrica #imieiprimipensieri non prevede revisioni, quindi non ho occasione di aggiustare il tiro per evitare fraintendimenti) che la lode dello schiavo e del leccaculo è valida se si analizza la questione dal punto di vista del potente. Ovvio, infatti, che i sindacati e i singoli lavoratori celebrino altri valori, nonché i diritti conquistati in passato. Io stessa, molto sensibile all'argomento, ho partecipato un paio volte alla manifestazione che si tiene a Milano, ma ho smesso quando mi sono accorta che molte persone - specialmente giovani - vivevano questa occasione senza alcuna consapevolezza: erano lì soltanto per lisciarsi il pelo e fumare le canne. Purtroppo in Italia c'è poca partecipazione, e questo riguarda qualunque tematica.
Sono altresì d'accordo sul fatto che tante persone non laureate abbiano più competenze e capacità di tanti laureati. Questo fenomeno si è accentuato negli ultimi anni, quando l'accesso all'università si è diffuso a macchia d'olio, mentre prima era appannaggio di qualche elite. Ciò nonostante, si è creato un miscuglio di lavori che non mi piace. Una qualunque ragazzina uscita da un istituto professionale sarebbe perfettamente in grado di fare ciò che faccio io, il che fa dire a molti: "sei fortunata, perché fai un lavoro facile, senza responsabilità". Io, invece, per questa cosa sono finita in depressione, perché mi sentivo inutile. E, sinceramente, non so nemmeno quanto c'entri la laurea, in tutto ciò: forse la mia insoddisfazione dipende dai sogni che avevo da ragazzina, e dalle mie caratteristiche individuali. Per svolgere certi lavori meccanici devo quasi farmi violenza...
P.S. Tendenzialmente non mi censuro mai. Qui, però, non ci sono nemmeno affinamenti stilistici. :)
e mi piace pensare che il part time sia contagioso. Enjoy!
RispondiEliminaSì. Io spero che molti colleghi si convertano, visto che in questo periodo l'azienda lo concede con facilità. Purtroppo, però, mi hanno dato l'orizzontale (credo per dare il contentino al mio capo, che è incazzato come una biscia per la mia decisione...)
EliminaPotrei aver scritto io questo post. A parte, però, la conclusione ottimista: purtroppo la mia situazione non credo si risolverà mai per il meglio. Ma mi fa piacere che invece tu sia carica e ottimista :) .
RispondiEliminaBisogna credere per vedere, non il contrario. :-)
EliminaIl pensiero crea la realtà molto più di quanto pensiamo...
Vorrei fare una foto alle facce che fanno i miei interlocutori quando dico loro "Sto studiando doppiaggio", "Voglio fare l'attrice" e cose del genere. Penso quasi che alcuni sarebbero meno sconvolti se gli dicessi che ho ucciso qualcuno! XD
RispondiEliminaÈ difficile andare controcorrente, ma spero che seguire quello che veramente vogliamo alla fine paghi. Ti auguro tutto il meglio per il tuo lavoro!
Grazie per gli auguri. :-)
EliminaSecondo me, non è questione di andare controcorrente o meno: io non voglio fare l'eremita in cima a un monte o estraniarmi completamente dalla società. Né voglio fare la guerra. Semplicemente voglio avere una vita che mi soddisfi, perché la ritengo una cosa molto importante: non credo che la capacità di soffrire sia un merito.
Infatti, io non sto dicendo che andiamo controcorrente perché vogliamo fare le alternative o le "Bastian contrarie". Per come la intendo io, la corrente è il percorso preimpostato che tutti si aspettano: scuola, università, lavoro stabile, pensione, morte. Che per alcuni può andare benissimo, ma è normale che ci siano anche altri che vogliono qualcosa di diverso.
EliminaPerò mi sembra che, appena uno si azzarda a fare una scelta un po' diversa, venga subito guardato come quello strano (se non addirittura matto).
Il problema è che molti non capiscono quanto la realtà sociale sia cambiata rispetto ai tempi in cui una persona riusciva ad accontentarsi di una vita monotona senza sentirsi sacrificato. Ora c'è molta più consapevolezza. E molta meglio voglia di accettare compromessi. Sebbene molti ci considerino viziati (choosy, appunto) questo secondo me è un bene.
EliminaE sia buona festa e buona vita a tutti i choosy e a tutti i folli.
RispondiEliminaE' un salto di qualità che ammiro in chi lo fa: rinunciare a una parte della propria busta paga per
essere qualcuno che ti assomigli. Complimenti!!!
Eppure continuo a vivere in un ambiente frustrante, più ancora che per la banalità dell'operatività ,
perché con c'è alcun tipo di riconoscimento e di onestà. Come tu sostieni, uno che ne sa molto più di loro deve sottostare a un capo saccente che ti detta le righe, le stampe da fare e tutte le robe inutili.
L'abbarbicarsi alla sicurezza frega e intanto penso a ritagliarmi i miei angoli di pace e di creatività
fuori dal lavoro ( i pochi momenti veri); forse in futuro riuscirò ad avere quell'energia giusta con la quantità giusta per potere spiccare un salto più significativo.
Io ho sentito l'esigenza di provare a costruire una carriera diversa, perché sono troppo giovane per non fare un tentativo e troppo vecchia per mollare tutto (cosa che avrei fatto volentieri). Ammetto che qualche timore c'è, ma per me è davvero importante credere che ogni cosa si risolverà nel modo migliore. Se continuassi su questa china, prima o poi rimarrei secca...
Elimina...come i movimenti orogenetici la tua persona cerebrale doveva - forse e purtroppo - essere la candidata naturale pronta a subire, vivere, fronteggiare e convertire in occasioni profonde e buone, le pressioni delle placche continentali di talune epoche sociali addosso, contro.
RispondiEliminaSiamo anche in un contesto così solare e fortunato - territorialmente parlando - a tal punto che il destino, pare, abbia voluto collocare (sebbene allora regolarmente tramite il Centro dell'Impiego e...della Massima Occupazione ahahahah) ancora troppe zone cupe ed al buio tra noi.
Questa (mi permetto) sei tu.
Come si soffre, così si risorge. Anche alla mia età: in discesa, ma sempre in alto e con i piedi ben a terra, nel quotidiano. In volo solo nelle condizioni di vacanza in senso stretto, fuori da Sanremo ed ovunque, fosse anche solo Taggia.
Nel "mazzo" la Matta ha sempre un valore, incutendo voyeristica curiosità per quella faccia...
Un abbraccio per tutto, e, permanente.
Mi fai sembrare una cosa molto brutta! :-)
EliminaCredo che il part time per te sia un'ottima scelta.
RispondiEliminaIo impazzirei all'idea di un lavoro noioso. L'insegnamento non era la mia prima scelta (infatti ricordo ancora con un poco di rammarico i mesi trascorsi in un ufficio che organizzava eventi culturali), ma alla fine è un buon compromesso tra la mia esigenza di stimoli intellettuali e la vil pecunia (che comunque, purtroppo serve). A volte esco da scuola sentendo di odiare tutta l'umanità (pare capiti più o meno a tutti gli insegnanti), ma a volte ho l'impressione di fare il lavoro più bello del mondo e questo non ha prezzo.
Io ho insegnato per un intero anno scolastico e in diverse scuole. Curavo dei seminari in compresenza finanziati dalla regione, però ho amato quel lavoro e, se fosse possibile, ricomincerei a farlo. Pensa che, a proposito del part-time, mi sono anche detta: piuttosto mi rimetto a dar ripetizioni ai ragazzini come facevo all'università.
EliminaHo anche lavorato come organizzatrice di eventi culturali (in particolare legati alla moda), giornalista e redattrice web: nonostante il cartellino da timbrare, stavo benissimo. L'ambiente era ristretto, ma giovane e amichevole. Il che dimostra che il mio problema non è il lavoro d'ufficio in senso stretto, ma il modo in cui viene gestito nell'azienda in cui mi trovo ora che, oltre a trovarsi a 30 kg da casa, non mi dà alcuno stimolo intellettuale né alcuna prospettiva di crescita. Poi, oltre a questo, ci sono tutti i problemi che già sai...
Sei fortunata a esserne uscita e aver rimesso insieme i pezzi, fortunata di aver trovato la forza e tirato fuori il meglio. Ci vuole coraggio e anche molta determinazione, ma poi quando ci si guarda allo specchio facendo i conti con se stessi si è molto più soddisfatti, molto di più del soppesare la busta paga. Quindi, guarisci presto e continua dritta per la tua strada.
RispondiEliminaIo sono una fifona. Avrei dovuto prendere questa decisione anni fa. Però sono felice. E spero che sia il presupposto di tanti cambiamenti. :)
RispondiEliminaLo sarà, lo sarà, ne sono certa.
EliminaHai fatto bene a chiedermi il part time, fare un lavoro che non piace a tempo pieno è avvilente e logora giorno dopo giorno, è un giusto compromesso, sono convinta che ti farà molto bene. E auguri di pronta guarigione!
RispondiEliminaGrazie, Giulia. In realtà il compromesso è a breve termine, perché sul lungo periodo ho altri scopi. Lo considero un punto di partenza. 😊
EliminaSono molto felice di vedere che qualcuno prende il sentiero meno battuto. Questa è una scelta che in passato ho già preso un paio di volte, e non me ne sono mai pentito.
RispondiEliminaNemmeno io lo sono, né lo sarò: devo solo ripulirmi il cuore da ogni insicurezza.
EliminaLa festa del lavoro non esiste più. Al suo posto c'è una giornata di vacanza fatta di concerti e cortei. Il giorno dopo molti tornano a farsi comandare, chi non lo fa viene etichettato male.
RispondiEliminaComplimenti per la giusta decisione presa.
Ciao Antonio, benvenuto. Anche i cortei spesso sono fasulli. Ho partecipato un paio di volte: molti sono lì solo per fumare canne e ascoltare musica. In Italia purtroppo c'è poca consapevolezza. È per questo che siamo un popolo di schiavi...
EliminaTi racconto una cosa: dopo la laurea, nel corso della pratica legale ho realizzato con terrore che MI FACEVA SCHIFO ma non volevo comunque mollare perché..non avevo mai pensato ad alternative, ero convinta di non saper fare nient'altro! E quando quella che consideravo l'unica via di fuga mi è apparsa come impossibile (superare il concorso in magistratura) sono andata in pezzi e sono andata da uno psicologo per qualche mese. Ci sono voluti 9 anni dalla laurea, 9 anni di questa vita di rotture di balle, lo studio smembrato, varie delusioni, fino alla decisione di rivolgermi ad una business coach per avere finalmente un sogno che fosse mio e non rispecchiasse i desideri dei miei genitori, degli amici, dei conoscenti e della società tutta. E oggi ce l'ho. Ho ancora vergogna quando dico che farò la danzaterapista, un po' di paura quando mi viene detto che in Italia esiste solo una persona che riesce a vivere esclusivamente di questo ma sai che c'è? Che ho di nuovo quella grinta e fiducia in me stessa che avevo quando studiavo ed ero sicura di poter superare brillantemente ogni esame e sono certa che ce la farò perché questo lavoro riflette la parte più vera di me. Non avevo preso in considerazione il "dopo la laurea", davo per scontato mi sarebbe piaciuta l'avvocatura perché fin da bambina credevo di avere le idee chiare ma, piccolo particolare, non mi ascoltavo da moooolti anni e non mi ero resa conto del mio cambiamento. Quindi bravissima, sii fiera di te per la decisione presa e guarda al futuro con fiducia!!
RispondiEliminaSì, mi avevi già raccontato la tua storia. :)
RispondiEliminaNessuno deve mai e poi mai vergognarsi di ciò che è, perché nei decenni passati le aspettative sociali hanno causato tanti disturbi, tanti problemi. Non a caso la nostra è considerata la generazione dei depressi, come se la mancanza di adattamento a un sistema malato fosse una colpa. Anche tu hai fatto bene a trovare la tua strada: il gioco non vale la candela, e l'infelicita' è un prezzo troppo alto per essere accettati.
Un abbraccio
Oh scusami Chiara non mi ricordavo!!È un argomento sul quale abbiamo pensieri simili e mi ritrovo nei tuoi post 😊
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