Il rapporto tra autore e personaggi - la sospensione del giudizio


Più si giudica, meno si ama.
(Nicolas de Chamfort)

Oggi ho deciso di insegnarvi un trucchetto per tratteggiare in profondità gli eroi delle vostre storie. A seconda del carattere di ognuno, applicarlo potrebbe essere semplicissimo, oppure molto complicato. Non vi sto infatti suggerendo una regola narrativa finalizzata all’acquisizione di competenze tecniche, né consigliando libri da leggere o esercizi da svolgere: vi sto chiedendo invece di sviluppare una qualità caratteriale fondamentale per l’attività di scrittura, la capacità di rinunciare a ogni giudizio superficiale.
Pensate di poterci riuscire?
Secondo me, sì. Occorre però ricordare che la scrittura di un individuo rispecchia il suo carattere e il suo atteggiamento generale nei confronti della vita. Un eventuale cambiamento deve quindi partire dalla realtà quotidiana, con l’adozione di modalità relazionali sempre più orientate a una comprensione profonda delle altre persone. Non appena questo atteggiamento diventerà un’abitudine consapevole, sarà spontaneo adottarlo anche nei confronti dei vostri personaggi, che guadagneranno spessore e realismo.




UN CONCETTO CON DUE VOLTI
La definizione di giudizio proposta dal dizionario è assolutamente neutra: capacità individuale di valutare o definire. Spetta all’uomo e al suo liberto arbitrio trasformare questo concetto in una risorsa o in una gabbia.
Da un lato, il giudizio è fondamentale per la nostra sopravvivenza, perché senza capacità di discernimento non potremmo prendere alcuna decisione e vivremmo in una condizione di costante pericolo.
Dall’altro, se la mente non riesce a trascendere i propri preconcetti, può creare profonde limitazioni.
Oggi io analizzerò soltanto il lato più buio di questa medaglia.
E restringerò ulteriormente il campo, soffermandomi sulle sole sentenze nei confronti delle altre persone. Come vedrete, che siano reali o immaginarie non fa alcuna differenza.

COSA SIGNIFICA GIUDICARE GLI ALTRI
La realtà offre molteplici elementi per interpretare una situazione o decifrare il comportamento di una persona, ma la mente tende a selezionare solo quelli che confermano la sua idea iniziale e a filtrare tutto sulla base di precedenti esperienze. Ciò accade perché il ragionamento richiede un’ingente quantità di energia. Noi ne consumiamo già in abbondanza nelle nostre frenetiche attività quotidiane, quindi cerchiamo di fare economia senza renderci conto di quanto questo comportamento penalizzi le nostre relazioni. È come se indossassimo delle lenti colorate che  fanno assumere al mondo un’unica tonalità.
Inoltre, per molti è difficile separare l’azione da chi la compie. Se un insegnante assegna un quattro, questo voto va al compito, non allo studente che l’ha svolto. Egli potrebbe anche non essere stupido. E potrebbe non essere uno scansafatiche. Ma si sente uno schifo, perché fin da piccolo gli hanno insegnato che il valore di un uomo si misura in base a ciò che fa. Quindi, se uno ruba è un delinquente. Se una donna assume una condotta di vita libertina è una  zoccola. Se un calciatore non segna un goal facilissimo è un brocco. Tutto ciò che si potrebbe nascondere dietro il dettaglio visibile viene ignorato.  L’osservatore giudicante potrebbe non scoprire mai che lo studente è in crisi perché i suoi genitori stanno divorziando, che il ladro non sa come nutrire la propria famiglia, che la donna soffre di carenze affettive e che il giocatore ha corso novanta minuti con uno strappo alla coscia.
Un giudizio superficiale nei confronti di qualcuno offende sia chi lo riceve sia chi lo pronuncia. Il primo soggetto viene ridotto a un cliché e quindi offeso nella propria dignità di essere umano, unico e inimitabile. Subisce una sorta di violenza, perché non gli è concesso il diritto di avere una storia, né quello di sbagliare. Il secondo, invece, ammette implicitamente di non avere le capacità mentali per trascendere ciò che vede. Quindi, oltre a sminuire l’altro, sminuisce anche se stesso.  

LA SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO NEI CONFRONTI DELLE PERSONE
Non voglio entrare nel dettaglio, ma sono cresciuta in un contesto dominato dal giudizio. I miei genitori credevano che emettendo sentenze mi aiutassero a diventare migliore (ovviamente in base ai loro parametri) e questo ha condizionato notevolmente sia la mia crescita sia la percezione che avevo delle mie capacità. Quanto alle suore, erano riuscite a convincermi che Dio mi avrebbe punita perché giocavo a calcio con i maschi, e a ogni minimo sgarro mi spedivano nella chiesetta della scuola a chiedere perdono.
Un tempo anch’io avevo la tendenza a giudicare molto me stessa e gli altri, ma procedendo nella riconquista della mia autostima ho cambiato atteggiamento. La vicinanza alle filosofie orientali mi ha insegnato che ogni persona è il frutto della sua storia personale (karma), che ogni anima è pura e che l’ego si corrompe perché soffre. Le esperienze negative vissute nel corso della vita portano molti individui a sviluppare schemi mentali distruttivi e ad accumulare rancore. Quella che noi chiamiamo cattiveria, gli errori e i comportamenti che condanniamo, spesso sono accompagnati da un dolore profondo, dalla non accettazione di sé e del proprio passato. Quindi, devono essere compresi e accettati.
Io non sono perfetta. Ho un paio di antipatie. Ogni tanto la tensione e lo stress mi fanno scappare qualche appellativo giudicante. Ho un sesto senso che mi consente di individuare intuitivamente, e quindi evitare, chi cela dentro sé invidia e malevolenza: sebbene ogni gesto o pensiero poco edificante abbia una motivazione meritevole di essere conosciuta, è  necessario schermarsi. Tuttavia, la visione che ho appena descritto mi ha aiutato a non nutrire alcun risentimento, nemmeno verso chi mi ha fatto del male. Ogni giorno cerco di assumere l’atteggiamento che Wayne Dyer definisce del: testimone compassionevole. Sono intimamente convinta che non spetti a me condannare le scelte e le azioni degli altri, tanto meno entrare nel merito delle loro emozioni. Ogni individuo è frutto della propria storia e io, poiché intendo diventare una scrittrice professionista, ho il dovere di conoscerla prima di esprimere qualunque opinione.

LA SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO NEI CONFRONTI DEI PERSONAGGI
È compito dell’autore conoscere alla perfezione i propri personaggi. Definirli e studiarli in ogni minimo dettaglio e con qualunque strumento a propria disposizione. Accudirli e coccolarli. Ma non giudicarli.
Noto frequentemente, nei romanzi che leggo, una sorta di banalizzazione dell’antagonista. Essa può dipendere in parte dalla mancanza di esperienza, ma tante volte è legata a una presa di posizione molto netta dell’autore, che definisce le caratteristiche del personaggio basandosi per lo più sulla propria concezione di bene e di male: una volta stabilito che certi tratti caratteriali e comportamenti sono deprecabili, rinuncia a scendere in profondità. C’è forse una sorta di egocentrismo che impedisce di staccarsi dal proprio vissuto. Se Pinco Pallino è stato lasciato dalla fidanzata per un palestrato con i capelli rasati a zero che ascolta Raffaella Carrà, il “cattivo” del suo romanzo sarà un palestrato con i capelli rasati a zero che ascolta Raffaella Carrà. Punto. Di lui, l’autore mostrerà dettagli superficiali senza spiegare  nemmeno a grandi linee quali esperienze l’abbiano reso così: magari a scuola tutti lo picchiavano e ha iniziato a fare sollevamento pesi per difendersi, la rasatura serve a nascondere la pelata incipiente e Raffaella Carrà gli ricorda sua nonna, alla quale era tanto affezionato...
Allo stesso modo, spesso il protagonista diventa un ricettacolo di valori e qualità apprezzati da chi scrive. Penso che questo sia abbastanza naturale, ma occorre fare attenzione a non escludere tutto ciò che sfugge alla propria immediata comprensione. Vi faccio un esempio concreto: ho sempre avuto posizioni molto nette nei confronti delle droghe, specialmente quelle pesanti, e una decina di anni fa, quando ancora confondevo la persona con le sue azioni, criticavo duramente chi ne faceva uso. Tuttavia, conoscendo l’ambiente e il vissuto del mio protagonista, ritengo coerente che un po’ d’erba ogni tanto se la fumi, soprattutto da ragazzo.  Non mi sembra di tradire me stessa facendolo agire in questo modo, e non ho paura che piaccia meno al lettore: è una caratteristica verosimile che arricchisce il personaggio e lo rende più realistico, aumentando la sua credibilità.
In poche parole, descrivere un personaggio significa trascendere se stessi: è la sua storia che stiamo raccontando, non la nostra. Di questo importantissimo dettaglio non ci dobbiamo mai dimenticare.

UTILIZZO DI TERMINI GIUDICANTI ALL’INTERNO DI UN ROMANZO
Dico sempre che la nostra società ha sdoganato l’insulto: al di là di questo estremismo, nella vita quotidiana gli epiteti giudicanti spuntano fuori come le mele sui meli e le pere sui peri. Il “lui fa” spesso si accompagna al “lui è”, con tutte le limitazioni cognitive che ne conseguono. E, quando questa abitudine mentale è molto radicata nel soggetto, si ripercuote sui suoi testi, creando una nota stridente.
Se il punto di vista è in prima persona o in terza persona limitata, ogni giudizio sui personaggi deve essere coerente con ciò che pensa colui che filtra la scena. È necessario inoltre che gli appellativi utilizzati siano giustificati e funzionali alla trama: se è importante che il lettore conosca l’opinione di Tizio su Caio, consentiamogli pure di definirlo “uno stronzo” o “un pazzo”, ma ricordiamoci di mostrare, se è il caso, che la realtà dei fatti è diversa dall’opinione individuale, magari con un’inversione di prospettiva.
Tempo fa avevo commentato un racconto pubblicato sul blog di Michele Scarparo, per la rubrica “Sostiene l’autore”, scrivendo che secondo me il termine “barbona”, riferito a una senzatetto, assumeva una connotazione troppo negativa per il tono piuttosto pacato della storia. Avevo animatamente discusso con un altro lettore (se è uno dei miei followers, lo invito a farsi avanti), il quale sosteneva che il termine andava bene, perché grammaticalmente corretto e presente sul dizionario della lingua italiana. Dopo quattro o cinque commenti, alcuni dei quali piuttosto accesi, ero rimasta convinta della mia idea: la parola non era sbagliata in sé, ma uno sguardo neutro avrebbe previsto un termine neutro. In una versione precedente del medesimo testo inviatami successivamente dall’autrice, la protagonista appariva più incazzata, e la donna in questione veniva osservata con fastidio: in questo caso, lo stesso vocabolo era utilizzato a proposito, coerentemente con la sua valenza sociale.
Un’altra volta, sempre in occasione della medesima rubrica, una persona veniva descritta, mi pare, come “dai tratti cattivi”, o qualcosa di simile. Poco dopo, l’autore evidenziava che i suoi lineamenti erano “tipicamente africani”. Gli avevo domandato se il personaggio che adottava il punto di vista fosse razzista, perché una parola non è soltanto un insieme di segni, ma assume un valore socio-contestuale di cui dobbiamo essere consapevoli, se non vogliamo trasmettere un’idea sbagliata al lettore.
Anch’io talvolta faccio errori del genere, ma secondo me uno scrittore, specialmente in fase di revisione, dovrebbe domandarsi: “chi osserva la scena in questo momento?” Se si tratta del personaggio, deve allora assicurarsi che il termine giudicante sia coerente con il suo pensiero. Se l’opinione che traspare tra le righe invece è quella dell’autore, e non dovrebbe esserci, occorre cacciare l’intruso, mettere il termine giudicante nel cassetto e, se necessario, trovare altri modi per esprimere il medesimo concetto.

Il lancio della patata bollente.
La domanda: quale rapporto avete con il giudizio? Può essere un’arma a doppio taglio, me ne rendo conto. Sperando che non arrivi la risposta che temo, ve la pongo ugualmente. Vi invito inoltre a scrivere le vostre considerazioni sull’argomento trattato e a trovare, nei vostri testi, tutte le espressioni giudicanti: quante ne usate? Quali ricorrono con maggiore frequenza? Siate onesti, mi raccomando!


Segnalo inoltre il post Intellighenzia e pregiudizi di Salvatore Anfuso, pubblicato ieri. Nessuno dei due sapeva che l’altro avrebbe trattato un argomento affine, e tutta questa sintonia mi preoccupa! :-D 

Commenti

  1. Cerco per quanto mi sia possibile di auto-costringermi a essere sempre possibilista sul perché dei comportamenti altrui che non condivido. Mi dico che non devo avere pregiudizi e che devo sempre mettermi nei panni dell' "altro" e vedere le cose dal suo punto di vista.
    Quando si tratta di personaggi però è più facile avere un atteggiamento del genere. Quando invece ho a che fare con persone in carne e ossa, certi atteggiamenti mi spingono quasi automaticamente a 'detestare' più che capire.
    Ho ancora da apprendere in questo settore, devo lavorarci sopra ;-)

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    1. Ti capisco molto bene: il modo in cui la nostra vita quotidiana è strutturata rende molto difficile essere coerenti. E i personaggi non rompono le scatole, non ci fanno del male. :)

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  2. Posso rispondere alla prima domanda dicendo che occorre una buona dose di saggezza per separare il giudizio di una persona dal giudizio del comportamento (come hai anticipato tu nel tuo post). Può sembrare una sottigliezza ma in realtà non lo è: se abbiamo antipatia per un comportamento, dovremmo non gradirlo indipendentemente dalla persona che lo persegue. Se una persona sbaglia, dovremmo quindi avere l'onestà intellettuale di riconoscerlo sempre, almeno a noi stessi.

    Invece spesso accade che se sbaglia una persona a noi cara tendiamo a sorvolare.
    Se sbaglia qualcun'altro tendiamo appunto a giudicare...

    Mi concedo una piccola "escursione" fuori tema dicendo che ciò accade anche nella lettura: quando peschiamo in libreria un libro che poi non ci sembra perfetto, tendiamo a condannarlo se si tratta di un autore semisconosciuto. Mentre invece se si tratta di un grande nome, tendiamo a far correre e magari, addirittura, lo elogiamo...

    P.S.: giocavi a calcio coi ragazzi... GRANDISSIMA !!!! :-D

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    1. Comprendo molto bene ciò che dici. Proprio la scorsa settimana ho deciso di allontanarmi da una persona, anche se la conosco da anni e le voglio bene, perché ha il vizio di mentire. Questo è un comportamento che va contro i miei valori. So che è sempre stata così, ma al di là dell'affetto penso che l'amicizia sia un'altra cosa...

      In altri casi, se le azioni negative altrui non si riversano su di me, riesco comunque a comprendere le loro motivazioni. Ad agevolarci non è tanto una "preferenza", quanto la conoscenza della storia individuale e dei principali tratti caratteriali, che rendono più facile accettare e perdonare. Stesso discorso vale per l'autore conosciuto che pubblica un obbrobrio: se so che è bravo e talentuoso, si è più disposti a lasciar correre.

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  3. Eccomi, ti ho letto, compreso e che dire...sei stata molto brava a spiegarti. Odio il giudizio. Nella mia vita sono stata sottoposta molte volte, e non sempre ne sono uscita vincitrice, ma sono una che se ne frega delle convenzioni. Io sono. punto. Come dici tu le discipline orientali aiutano a liberarsi da questo peso del giudizio, perché si resta più ad osservare che altro. Tutto è racchiuso lì. Capire che il giudizio uccide l'unica parte importante: l'anima. E lo scrittore come protettore dell'anima dei suoi personaggi non deve mai farlo.

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    1. Esattamente. Concordo con tutto ciò che scrivi. Aggiungo soltanto che uno scrittore, secondo me, non riesce a essere diverso da com'è nella vita. Più di tanto non si può fingere. è per questo che si rende necessario partire dal quotidiano, per poi portare lo stesso atteggiamento nella scrittura, spontaneamente e senza sforzo. Se leggo ciò che ho scritto 10 o 15 anni fa trovo tanti termini giudicanti involontari. Ora, invece, sono una persona completamente diversa.

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    2. E sei ancora giovane, con tanta strada davanti che stai sfruttando benissimo, quindi puoi solo che goderne sia nella vita che nell'aspetto professionale.

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  4. Sono del tutto d'accordo con il post. Anche io cerco di non dare giudizi "totali" sulla condotta dei miei personaggi, di dare semplicemente sfumature che però il lettore può interpretare anche in una maniera diversa dalla mia.

    Per esempio, al momento sto scrivendo la storia di un killer spietato, che fa fuori una persona dietro l'altra. Ovviamente non ho un giudizio positivo verso l'omicidio, ma di sicuro non mostro il mio personaggio come un antagonista stereotipato, che ammazza la gente solo per cattiveria. Ho cercato anzi di mostrarlo complesso, e di rendere ogni sua azione coerente con il suo scopo, per quanto esso sia malato e lontano dalla "morale comune". E soprattutto ho cercato di far sì che sia il lettore a scegliere se è il killer l'antagonista o se è il protagonista, mentre i cattivi sono proprio le vittime e i poliziotti che cercano di fermarlo.

    In generale, i miei protagonisti tendono a essere sempre "cattivi ragazzi". Quindi non mi posso permettere di giudicarli male: cerco semplicemente di illustrare le loro ragioni, le loro debolezze, le loro scelte, giuste o sbagliate che siano. E spesso quando fanno qualche sbaglio grave - come per esempio uccidere una persona - li faccio pentire, di sicuro non li presento come i mostri che presentano i telegiornali (ovviamente questo non vale per il killer di cui sopra). Non so se ci riesco sempre, ma posso dire almeno di provare a tenere giudizi e pregiudizi fuori dalle mie storie.

    Sono d'accordo anche sul fatto del linguaggio. In effetti anche io ho beneficiato della rubrica di Michele; mi ha aiutato a capire che anche il linguaggio è importante. Non solo per quanto riguarda i giudizi e simili, ma anche per il realismo della storia. Penso per esempio che se si scrive la parola "negro" in un racconto ambientato nel sud degli Stati Uniti all'inizio dell'ottocento, non è di sicuro indice che il personaggio - né tanto meno l'autore - siano razzisti. "Afroamericano" stonerebbe sicuramente di più, visto quello che è il periodo.

    Certo, a volte il giudizio è anche negli occhi di chi legge, invece che di chi scrive. Per esempio, mi sa che anche io ho scritto in un mio testo che un personaggio ha - o meglio non ha, nonostante la pelle nera - "lineamenti africani" (mica ero io, quello di cui parli O_O ? Però i "tratti cattivi" non sono miei :D ). Ma ovviamente l'ho fatto senza malizia: sono semplicemente partito dalla considerazione che gli africani hanno forme del viso diverse da quelle degli europei, il che non è un'opinione ma un dato di fatto privo di qualsiasi implicazione razzista. Penso quindi che il tuo possa essere un fraintendimento, anche se ammetto tranquillamente che io avrei potuto limare meglio il linguaggio e magari evitare il malinteso. Quindi sì, sono perfettamente d'accordo che il linguaggio usato sia molto importante.

    Comunque forse - e dico forse - nel post ho notato un piccolo pregiudizio. Ma non so se posso dirtelo :P .

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    1. Sì, il racconto era tuo. Come ho scritto nel post, non ricordo perfettamente la frase perché è passato molto tempo, ma come scrivevo nell'articolo mi sembra che avessi scritto "lineamenti cattivi", o comunque qualche altra nota negativa affine, accompagnato da "tratti africani", e io avevo disquisito sul punto di vista adottato. Se vuoi riportarmi la frase esatta, posso correggere il testo. All'inizio c'era una parentesi in cui mi rivolgevo direttamente a te, chiedendoti questa piccola precisazione, poi l'ho cancellata perché appesantiva troppo il testo.

      Di pregiudizi sono sicura non ce ne sono, perché ho lavorato al testo diverse ore, occupandomi di togliere tutti quei concetti e quelle parole che avrebbero potuto indurre il lettore a pensare che stessi giudicando qualcuno. Purtroppo essere fraintesi è molto facile. E dopo tutto io sono un essere umano. Per sospendere completamente il giudizio dovrei vivere su una montagna in Tibet: non è facile superare schemi mentali che si sono accumulati in più di trent'anni. Ciò nonostante, cerco di andare in profondità anche quando qualcuno non mi è simpatico, e soprattutto di "migliorare" giorno per giorno, avvicinandomi progressivamente al mio ideale di "testimone compassionevole".

      Se ti riferisci alla faccenda delle droghe, comunque, ho spiegato che la posizione dura nei confronti di chi ne fa uso l'avevo diversi anni fa. Ora critico il gesto, ma riesco a separarlo dalla persona. Oltre al protagonista che si fa le canne, ho anche per le mani un altro personaggio, con una tossicodipendenza molto più grave, ma cerco di tratteggiarlo senza giudizio. Ciò che mi preoccupava, in questa scelta, era l'eventualità che fosse il lettore a giudicare male il personaggio, come è successo con un beta. Tuttavia, penso di essere riuscita a presentarlo abbastanza bene. Avrà tutte le carte in regola per generare empatia. :)

      Ora rileggo il post... a caccia di quell'eventuale "forse". Perché ripeto, sono sicura che non ci sia. :-D

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    2. Sono andato a rileggere la frase incriminata - nemmeno io me la ricordavo alla perfezione :D . In effetti la frase completa è: "molto alta, la pelle scurissima, aveva dei lineamenti dolci, diversi da quelli tipicamente africani". Quel che volevo dire scrivendo questo è che di solito le persone provenienti dall'Africa hanno lineamenti più duri, almeno rispetto agli europei. Ma rileggendola a distanza di tanto tempo, capisco che si poteva anche interpretare come se il personaggio pensasse che gli africani di solito sono brutti - il che poteva essere un indizio di razzismo ;) .

      Per questo, pur essendo convinto che spesso il giudizio è negli occhi di chi legge invece che in chi scrive, mi sa che stavolta avevi ragione tu - mea culpa. E' un passaggio scritto senza malizia, ma che può essere frainteso :) .

      Comunque il piccolo giudizio che mi ha fatto un po' strano leggendo il post è quello di associare una donna libertina alle carenze affettive. Mi ha fatto pensare a un post che ho letto prima del tuo post su Facebook, di una ragazza che ha fatto sesso con un uomo giusto per il piacere di farlo, e argomentava che in questo non c'è niente di sbagliato. Ecco quindi che ho pensato: sì, una donna libertina può avere carenze affettive, ma può anche non averne, può concedersi solo perché le va. E anche così, penso che sia liberissima di farlo, non deve giustificarsi in alcun modo: se poi la chiamano zoccola è la società a essere schifosamente bigotta, non certo lei a sbagliare.

      Almeno, io la penso così. Mi è sembrato di capire che il tuo pensiero invece è un po' diverso, che consideri negativo l'essere libertina ma che almeno le carenze affettive sono una giustificazione. Ma come ho già detto spesso il giudizio è più negli occhi di chi legge che in chi scrive. Quindi magari sono io a fraintendere, invece che tu a giudicare :D .

      Sì, insomma, il tuo post mi ha dato parecchio da arrovellarmi: per usare un aggettivo preso dalla lingua inglese, è decisamente"mindblowing" :D . Il che non è mica negativo, anzi. Con così tanti spunti di riflessione, mi ha fatto molto piacere leggere - come anche lo scambio di commenti, del resto :) .

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    3. Sì esatto! Era proprio così la frase! Come ho specificato nel post, il mio ricordo era piuttosto vago. :)

      Per quel che riguarda invece il tuo "forse", credevo fosse chiaro che quelli riportati sono solo degli esempi, che non necessariamente il mio pensiero. Anzi: io un pensiero del genere non posso averlo, altrimenti sarebbe un giudizio. Se scrivessi che tutte le donne dalla una condotta libertina soffrono di carenze affettive, contraddirei la tesi di base del post, ovvero che ogni persona ha una storia individuale, che può creare motivazioni diverse per lo stesso gesto. La persona che giudica trae subito le proprie conclusioni, ma dietro il dato immediato potrebbero esserci mille spideazioni. Io mi sono limitata ad elencarne alcune possibili. Potrebbero essercene altre. Oppure il soggetto giudicante potrebbe avere ragione: la tipa è troia, lo studente scansafatiche e il giocatore uno scarsone. Se non approfondisce, però, non lo sapra' mai. Questo era il senso del mio discorso, che forse non è stato ben compreso. :)

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  5. Mi fa piacere che le mie rubriche siano un buon posto per ragionare sulla scrittura. :)
    Uno degli ultimi esercizi (scrivere senza aggettivi) risponde in parte anche ai tuoi ragionamenti: è infatti attraverso l'aggettivazione che spesso raccontiamo e giudichiamo personaggi e situazioni.
    È sintomo di una buona padronanza la capacità di astrarsi abbastanza da comprendere quando stiamo producendo una scrittura giudicante; il che, ovvio, non significa che la scrittura giudicante sia il male o sbagliata ma, come tutte le cose, va applicata se e solo se sia utile e funzionale alla storia che stiamo raccontando.
    Complimenti per il post e grazie ancora per la citazione. :)

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    1. Ultimamente non riesco a frequentare la blogosfera quanto vorrei, quindi non ho ancora visto la nuova rubrica. Passero' volentieri a dare un'occhiata. :)
      Sono contenta che il post ti sia piaciuto. È un'idea su cui ragionavo già da qualche mese, ma è diventata concreta solo dopo l'ultima storia in 6 parole: sul tronista, noi due siamo stati gli unici (o tra i pochi) a elaborare una storiella non giudicante...quindi, come vedi, in qualche modo c'entri sempre. :-D

      P.s. stavolta il link è corretto. ;)

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    2. Beh, ma i tronisti si espongono a un giudizio già per via del nome che li identifica! :)
      In questo caso il giudizio viene naturale se nasce dal confronto con un mondo non condiviso. In fondo, chi vuole farsi un'idea sulle cose non può prescindere da un giudizio sulle stesse, da non confondere con il pregiudizio, però, che è cosa diversa.

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    3. I tronisti sono esseri umani come gli altri. Per quanto possano non piacere (nemmeno io condivido i disvalori di quella trasmissione) possono esserci mille motivi per i quali sono finiti lì. "Insultarli" solo per il ruolo che ricoprono non mi sembra giusto. Come non è giusto insultare chi segue le loro gesta, perché chissà cosa cercano in quell'ora di trasmissione: intrattenimento puro, un sogno in cui rifugiarsi ecc. Chi li considera VIP solo perché appaiono in TV, però, sbaglia. Le persone molto importanti sono per me quelle che salvano vite umane, non che mostrano i muscoli o le chiappe...

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    4. Hai ragione, Chiara, infatti penso che il giudizio non sia per forza una condanna: giudicare trash una trasmissione non significa disprezzare le persone che vi partecipano, significa solo confrontare quel tipo di programma con un certo modo di vedere o intendere le cose e trovare che non si è in sintonia con esso.

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    5. Come ho scritto nel post, io non condanno il giudizio a prescindere nei confronti di situazioni, gesti, libri, trasmissioni, film... altrimenti, non esisterebbero nemmeno i gusti personali. Se guardassi "Uomini e donne", non sarei io, perché quel genere di trasmissione non mi rispecchia. Al di là dei contenuti discutibili, si discute di cose inutili, e lo si fa con volgarità, urla, parolacce ecc. Quand'ero all'università, la mia coinquilina lo guardava, e io mi chiudevo dentro camera mia. :-D

      P.S. La prossima volta che ci sentiamo su what's app, comunque, ricordami di raccontarti un aneddoto su un tronista che un po' c'entra con il mio romanzo...

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  6. Il giudizio verso le persone cerco di non esprimerlo mai. Certo che per muoverti in qualsiasi ambiente (famiglia, lavoro, amici) devi capire con chi stai interloquendo e ovviamente maggiori sono le informazioni a tua disposizione, maggiori saranno le basi su cui costruire qualsiasi tipo di rapporto. E' capitato che per la mia mancanza di pre-giudizio o eccessiva buona fede le persone si siano comportate malissimo in passato. Poi analizzando i loro comportamenti come analizzo un pezzo di codice, ne ho capito i motivi: invidia, orgoglio, problemi coniugali, depressione che hanno sfogato sulla sottoscritta e poi anche su altri (comportamento ciclico all'amico/a in turno). Ora, anche capendo cosa c'è dietro, non è che posso stare lì a buscarmele, no? Diciamo che nonostante questo continuo a fare amicizie nuove, il che dovrebbe dimostrare mancanza di pregiudizio.
    Sulla scrittura è diverso: non credo al bianco e nero, sono piuttosto per le...50 sfumature di grigio (ahahahahhaha...me la rido da sola!). Quando ho scritto "Il diavolo in città" ho inserito vari pre-giudizi del protagonista verso altri personaggi (il manager tagliatore di teste e il ballerino sciupafemmine fedifrago) per poi lasciare verso la fine una "risonanza": lui "avrebbe sistemato i casini in azienda" (tagliando altre teste?) e "la segretaria del quinto piano. Gli mancava terribilmente ed era stanco di farsi scrupoli (avrà divorziato per questo?). E poche righe sopra l'ho scritto chiaro:"Ma chi, dopotutto, non aveva qualche scheletro nell’armadio? Chi poteva permettersi di scagliare la prima pietra senza peccato?"
    A volte la vittima è il carnefice.

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    1. è successa la stessa cosa anche a me, molte volte, in passato. Chi è in buona fede tende a vedere la buona fede negli altri, e a prendere grandi cantonate. Però è vero anche il contrario: di chi non si fida, non c'è da fidarsi (vecchio detto: chi ha il sospetto, ha il difetto) e questo aiuta a proteggersi. Inoltre, con il tempo, ho maturato un certo sesto senso, che mi porta a percepire le negatività degli altri e a tenermi a distanza, magari sentendomi in colpa perché la persona in questione non mi ha fatto nulla di male... ma il nodo viene al pettine ... sempre... è successo di recente con il marito di una mia amica, che ho smesso di frequentare (lei, intendo) perché non avevo voglia di vedere lui, per poi scoprire che se da un lato si comportava con gentilezza alle spalle me ne diceva peste e corna, ovviamente senza conoscermi ...

      Per quel che riguarda il giudizio dei personaggi su altri personaggi, penso che ci voglia coerenza. Siccome il mio protagonista (che ha il pdv in buona parte delle scene) non è un monaco zen, ritengo verosimile che parli di altri personaggi con appellativi giudicanti. L'importante, secondo me, è che noi non li giudichiamo, indipendentemente dai loro peccati. :)

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  7. Per quanto mi riguarda, mi astengo sempre dal giudicare gli altri, non giudico nemmeno chi mi ha fatto del male.
    I miei antagonisti non vengono mai giudicati, anzi, per me è molto importante mostrare anche il loro vissuto. Ho un personaggio che sta dalla parte dei "buoni" ma che è condannabile per la sua condotta in base a ogni principio etico della nostra società attuale (e anche della sua). Non giudico quel personaggio e, pur essendo sgradevole per definizione, è uno dei più apprezzati.
    Diverso è il rapporto con me stessa e con la mia protagonista.
    A causa dei giudizi che ho ricevuto in passato (dovevano essere allo scopo di spronarmi, credo...), sono diventata la peggior giudice di me stessa. Qualunque cosa io faccia o dica non va bene a priori. È sempre sbagliata.
    Questa critica spietata tendo a riversarla anche sulla mia protagonista, quasi le stessi dicendo "sappi che qualsiasi cosa farai, avresti potuto farla meglio. Sappi che chiunque incontrerai, sarà meglio di te."
    Credo di essere un raro caso di autore che massacra la protagonista a prescindere per poi ritrovarsi a fare un editing invasivo per epurare il testo da ogni malignità nei suoi confronti.
    Insomma, ho un rapporto estremamente complesso con l'autocritica e uno molto semplice e lineare con i giudizi nei confronti degli altri.

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    1. Purtroppo chi subisce giudizi da parte degli altri tende a giudicarsi molto, è successo anche a me. Poi sono giunta a un punto della mia vita in cui mi sono stufata, sono riuscita a vedere le cose con un'ottica diversa e, proprio consapevole dei danni causati dal giudizio alla mia autostima, ho deciso di distaccarmi da un atteggiamento così superficiale, diventando una persona diversa. Quando ho smesso di giudicare me stessa, sono diventata più comprensiva anche nei confronti degli altri. E anche nei confronti dei personaggi. Succederà anche a te, vedrai. E sarà un evento che segnerà il passaggio verso l'età adulta. :)

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  8. I miei personaggi cerco sempre di non giudicarli, mostro quello che fanno, i loro errori, le loro paure e le loro cadute e quello che magari, a un certo momento della loro vita, arrivano a comprendere nel bene e nel male. Spesso però sono i lettori che giudicano o hanno dei pregiudizi nei confronti del personaggio (se non addirittura dello scrittore!) ma lì non possiamo farci granchè. Nella realtà evito di giudicare gli altri, non mi interessa, soprattutto oggi dove tutti diventano giudici inflessibili e irritanti, tutti sono perfetti e farebbero meglio degli altri e, spesso, senza avere nessuna conoscenza del lavoro o della situazione di colui che stanno giudicando e massacrando a parole. Io credo molto nella parabola di Gesù della pagliuzza e della trave nell'occhio, credo sia il ritratto dei nostri tempi.

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    1. Esatto! Il messaggio di Gesù è stato molto chiaro. E penso vada seguito, indipendentemente dalle nostre scelte in materia di fede. Qui non si tratta tanto di religione, quanto di etica. :)

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  9. Riuscire ad essere obiettivi nei confronti dei propri personaggi è sempre difficile, una parte di noi si fa sempre coinvolgere.
    Un espediente che ho trovato utile nel far vivere i miei personaggi ed essere obiettivo è capovolgere i ruoli, nel senso che io cerco di far parte di loro. Mi metto nei loro panni e cerco semplicemente di agire, senza troppi pensieri, come farebbero loro: cosa fa uno in una situzione, come reagisce l'altro a cosa è successo, e così via.
    Giudicare dall'esterno è facile, ma quando ti trovi al posto di chi deve agire, beh agisci senza giudicarti, al massimo fai un esame di coscienza, se il personaggio lo farebbe. Forse per questo motivo non credo di aver mai usato espressioni giudicanti nei confronti dei miei personaggi, loro invece quando aprono bocca si lasciano sfuggire qualche commento, ma non voglio certo imbavagliarli, anzi.

    Ciao,
    Renato

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    1. Lo stratagemma che tu suggerisci può essere molto utile, se si riesce ad arginare il rischio di far agire i personaggi come agiremmo noi, e non come agirebbero loro stessi, coerentemente con il carattere che abbiamo dato loro. :)

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  10. Io giudico, sì, ma il mio giudizio è il traguardo di un percorso che parte dallo studio e dalla conoscenza dell'oggetto/soggetto giudicato, altrimenti se non ci fosse questa attenzione mi muoverei nell'ambito del pregiudizio che, come dicevo. è cosa diversa.

    Penso che non dare giudizi per paura di entrare in meriti che non ci competono non sia del tutto giusto. Altrimenti saremmo portati a giustificare tutto e così entreremmo nel campo del relativismo: quel cristiano ha fatto una strage. È un delinquente! No, però andiamo a vedere da dove nasce questa istanza di violenza, magari è stato oggetto a sua volta di violenze in famiglia, ecc. ecc. È tutto relativo. E invece puoi avere tutti i motivi che vuoi: se uccidi resti un assassino e io ti giudico in quanto tale.

    La questione della "barbona" la ricordo molto bene, ovviamente! :P
    Sono d'accordo che il giudizio dell'autore debba rimanere sospeso quando racconta i suoi personaggi ed è spesso una cosa difficile da fare, però penso anche che a volte dipenda da come ci poniamo noi di fronte a quel dato concetto. Mi spiego: "barbona" per me non ha un'accezione negativa, io non la vivo così, anche se capisco cosa abbia voluto dire tu allora. Il fatto che al termine venga attribuito un senso dispregiativo può dipendere anche dalla percezione soggettiva di chi legge. In quel caso, secondo me, l'autore che fa uso di un certo termine non sta esprimendo un giudizio se, ovviamente, dal contesto, non si evince che abbia voluto farlo.

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    1. Chi uccide è un assassino, come chi ruba è un ladro, chi scrive è uno scrittore e chi guarisce i malati è un dottore. Qui si tratta di definizioni oggettive, che vanno oltre il giudizio personale. Tuttavia, conoscere le storie delle persone ti aiuta a trascendere le affermazioni superficiali e, cosa ancora più importante, a sviluppare una qualità fondamentale, secondo me, per il vivere civile: la compassione. Essa, purtroppo, manca in molti luoghi. Ma aiuta a stare meglio, davvero. Perché il risentimento corrode innanzi tutto chi lo prova.
      Qualche giorno fa, parlando di una persona in un mio messaggio vocale su what's app, ricordo di aver usato la frase "è un pazzo", riferito a una persona. Anche questo è un giudizio, mi è scappato perché ero arrabbiatissima, e ho subito tante angherie. Ciò nonostante, dopo tante informazioni raccolte in giro, attraverso i racconti di persone che conoscono il soggetto da più tempo di me, e in parte direttamente da lui. Questo mi ha aiutato a capire con chi ho a che fare, e a non nutrire alcun risentimento. A provare, appunto, compassione, perché questa persona, oltre a far soffrire me, soffre anche lui. Quindi, nonostante la situazione che sto vivendo, non cercherei mai di difendermi attaccando a mia volta: farei del male gratuito a una persona che ne ha passate tante, e che non lo merita.
      Ecco, la compassione, per me, è questa qui. Anche se si tratta della qualità cristiana per eccellenza, ritengo sia alla base di qualunque sana forma di spiritualità individuale, a prescindere dalla propria confessione religiosa. Chi nutre compassione, infatti, vede l'anima dell'altro, e riconosce la sua dignità di essere umano a prescindere dai suoi gesti e dalle sue azioni.
      Non sono (più) cattolica praticante mi sento molto, molto vicina alle parole di Gesù, che chiedeva di vedere un fratello in ogni essere umano.
      Proprio frequentando ambienti cattolici e ascoltando le storie altrui, mi sono resa conto che chi crede fortemente in un dio giudicante è tendenzialmente più propenso non solo ad accettare il giudizio altrui, ma anche a giudicare a sua volta, perché crede di essere automaticamente dalla parte del bene. Questo alimenta un grande distacco tra gli esseri umani.

      Per quel che riguarda invece la "barbona", io penso che si debba fare molta attenzione alla valenza sociale delle parole che si usano. Negli ultimi anni questo termine ha assunto una valenza negativa che in passato non aveva. Anche di recente, a Sanremo, si è creata una polemica al riguardo: la storica senzatetto della città, è stata finalmente convinta ad andare nel ricovero della Caritas. Dico convinta perché così è accaduto. Questa signora stava in giro da trent'anni, è sulla sessantina, non possono costringerla perché non crea disagi né ha problemi di salute gravi (sarebbe sequestro di persona) però vista l'età e alcuni disagi da lei subiti a causa di alcuni "colleghi", gli operatori le sono stati dietro per un po'. Quando finalmente ha deciso di andare alla Caritas, la cosa ha assunto tale rilevanza da finire sui siti di cronaca locale. Un giornalista ha usato il termine "barbona", e alcuni cittadini si sono offesi perché "la Teresina" non aveva mai creato alcun disturbo, era una senzatetto che faceva le commissioni per i negozianti del centro e con questo si comprava il cibo, non una barbona... Ecco: noi siamo scrittori, sappiamo che si tratta di sinonimi, ma la percezione della gente è diversa. Spero di essermi spiegata bene. :)

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    2. Non so, il termine "barbona" è quasi implicitamente associato all'accattonaggio, e ad altre forme di disagio sociale. Mentre "senzatetto" è più neutro. Riconosco comunque la tua buona fede, e sono contenta che la cosa sia chiarita. :)

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  11. Anch'io sono nato e cresciuto in una famiglia connotata dall'abitudine di dare giudizi anche senza conoscere bene le situazioni. Mio padre, che è un uomo incredibilmente buono, è convinto di possedere un sesto senso acutissimo nel giudicare gli altri. Molte volte questo è vero e riesce a inquadrare con esattezza le persone (caratteristica che credo di aver ereditato), ma ciò gli ha dato l'abitudine a non approfondire, anche solo per constare se la sua intuizione è corretta, e a limitarsi all'aspetto più superficiale della conoscenza. Ecco, io non credo di essere così. Certo che giudico anch'io, tutti noi lo facciamo e continuamente persino. Farsi un'idea del mondo e delle altre persone è una dote non un delitto. Però poi non mi limito a scrollare le spalle, indago. Cerco di conoscere meglio, di capire. Alcune volte aveva ragione il mio intuito, altre no.

    Grazie per la citazione. :)

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    1. Sono d'accordo con tutto. Anch'io sono intuitiva, ma cerco di andare oltre, a volte anche troppo: se avessi ascoltato il mio sesto senso un po' di più, in passato, avrei avuto molti meno problemi...

      Forse più del giudizio in sé (che può anche rientrare nel novero di un'opinione personale) a essere dannosa è la carica emotiva legata al giudizio, nonché l'arbitraria distinzione tra bene e male che spesso porta con sé. io posso considerare l'aborto sbagliato, ma non giudicare "male" chi lo fa, perché rispetto la libertà individuale e comprendo che ogni scelta ha la propria motivazione. La questione, in fondo, è tutta qui. :-)

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  12. Secondo me la questione va vista anche sotto un'altra ottica. Per fare un esempio, un tempo i disabili si chiamavano handicappati e non era un termine offensivo. Ora bisogna dire "diversamente abili", che a me pare ridicolo. Barbone si è sempre detto, ma solo ultimamente si chiama senzatetto.
    L'accattone non è per forza un senza casa.
    Quindi bisogna considerare quando ambienti la tua storia. Se è degli anni '80, allora devi usare certi termini, altrimenti saresti anacronistica.
    Riguardo ai giudizi sulle persone, tutti giudicano. In base a un'idea politica o sociale puoi essere etichettato in vari modi. Anche quelli sono giudizi.
    Scrivere "aveva tratti cattivi" è brutta scrittura e anche intromissione del narratore nella storia.

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    1. Sì, sono d'accordo. Il contesto storico di ambientazione è fondamentale per la scelta dei termini utilizzati. Il termine "negro", per esempio, avrebbe una valenza completamente diversa, se la storia fosse ambientata ai tempi del fascismo.

      Ci tengo a precisare, come ho scritto nei post, che io non ricordavo con esattezza la frase sui lineamenti degli africani. L'autore l'ha riportata correttamente nel suo commento. :-)

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  13. L'abitudine ad avere un'opinione su qualcosa è qualcosa di connaturato con la società d'oggi, e dunque anche giudicare. Andare oltre un giudizio sommario non è una cosa facile per nessuno. Su questo argomento ci sarebbero da dire tantissime cose, che forse esulano dal tuo post. Mi è piaciuto comunque il tuo invito a non giudicare i personaggi che creiamo, in modo particolare quelli cattivi. Un giudizio sommario ci impedisce di andare a fondo, creare delle sfumature e anche quelle contraddizioni di cui siamo fatti noi esseri umani. Non è facile neanche questo, anche perché è ovvio partire da un'opinione sul personaggio, sarebbe grave il contrario. La sfida è andare oltre.
    Inoltre, il giudizio di chi narra dovrebbe essere invisibile in una storia ma è piuttosto normale che un po' trapeli, soprattutto nell'uso dei termini, che secondo me non riflettono necessariamente il personaggio nel caso della terza persona. Lo sai che su questo argomento non siamo sulla stessa linea :)

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    1. Non esistono il "torto" e la "ragione", sulla questione del punto di vista in terza persona limitata, perché si tratta di due diversi livelli di "immersione". Quella leggera è più vicina all'onnisciente, quella profonda invece è molto simile a una prima persona, quindi chiede termini e parole che il personaggio effettivamente utilizzerebbe. Io, salvo qualche deroga, ho scelto di utilizzare questa, perché la trovo più adatta al tipo di storia che sto raccontando. Pertanto inevitabilmente devo adeguarmi. :-)

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  14. Io mi illudo, quando scrivo racconti e non conosco mai il finale (lo scopro mentre lo scrivo), che questo sia la prova che non giudico. Ma il giudizio c'è eccome, è impossibile che non ci sia. E non è solo nella scelta di raccontare "questa" storia; ma anche nel modo. Nello sguardo che si usa. Poi si cerca di fare in modo che il nostro giudizio non "inquini" quello che scriviamo. Mica facile, per fortuna; se lo fosse, dove sarebbe il divertimento?

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    1. L'opinione e il giudizio, sempre parlando dell'accezione sociale che queste parole assumono, hanno secondo me una sfumatura diversa. La prima è innocua e flessibile, il secondo spesso duro, prematuro e insindacabile. La prima è giusto averla e veicolarla. Il secondo, invece, sarebbe meglio se rimanesse da parte. :)

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  15. Un proverbio in uso presso i nativi americani (ma ne esiste uno molto simile anche in Cina) dice: "Non giudicare un uomo prima di aver percorso un miglio nei suoi mocassini".
    Un ottimo esempio di sospensione del giudizio è Lolita di Nabokov. Io credo non sia sempre necessario sospendere il giudizio sui personaggi. Si può, ma non è che si debba per forza. Dipende dalla finalità dell'opera, credo.
    Per quanto riguarda l'ultima patata bollente, tu hai il mio racconto "Per la gloria del Quarto Reich", che credo sia un buon esempio del discorso fatto nel post.

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    1. In quel racconto sei stato bravissimo a interpretare il punto di vista del personaggio più atroce della storia, senza finire nella cattiveria grottesca. E, probabilmente, l'hai fatto sospendendo il giudizio nei suoi confronti. Quel racconto è stato l'esempio lampante di quanto sostenuto nel mio post: se me ne fossi ricordata al momento della stesura, l'avrei citato. Bravissimo! :)

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  16. Da un punto di vista umano ti do ragione su tutta la linea, su quello narrativo non so. Un narratore non giudicante è una scelta, ma non necessariamente una scelta giusta per ogni narrazione. Il narratore, anche quando è quasi invisibile è altro rispetto all'autore. Non è detto che debba essere non giudicante. Come sempre è questione di consapevolezza. Ricordo vagamente il racconto con la parola "barbona", se ricordo bene, la parola secondo me ci stava, perché rispecchiava lo sguardo (giudicante) dell'uomo comune e in quel contesto ci poteva stare (ho mezzo neurone acceso, quindi non so quanto sia il caso di fidarsi della mia memoria).
    Quanto ai propri personaggi, non solo non giudicarli, ma amarli, tutti e regalare a tutti, anche al più becero dei cattivi, una parte di noi stessi. Questa poi è la cosa bella e terribile della scrittura, trovare il buio dentro di sé, accettarlo e, almeno un po', amarlo, in quanto parte di noi.

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    1. Scusami se ti rispondo ora, ma il tuo commento e quello di Celeste non mi erano stati notificati, li ho visi solo ora. Anche io nel post ho scritto che il narratore può essere giudicante, specialmente se il punto di vista è in terza persona limitata. Il mio protagonista, per esempio, usa spesso appellativi giudicanti. Però, come ho evidenziato, spetta poi all'autore mostrare la verità. :-)

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  17. Mi viene in mente una frase del Grande Gatsby: il beneficio del dubbio presuppone una speranza infinita.
    Nato anch'io in una famiglia che a suon di giudizi annichiliva il libero arbitrio, sono stato come loro finché ho acquisito la lucidità per capire che nessuno può essere se stesso in un mondo governato da quelle leggi. Così sto impegnando la mia acredine nella difesa della tolleranza, e comincio a ringhiare appena qualcuno inizia a sparare giudizi definitivi. Quello che devo re-imparare, è che troppa speranza è pericolosa per se stessi e crudele per chi non cambierà mai.
    Amo i miei personaggi, ma in modo onesto. Non mi piace molto la questione del bene e del male, mi sembra troppo spesso una scusa per comportarsi in modo crudele con persone considerate "di serie B". Amo i miei personaggi per quello che sono, e i loro squallori mi inteneriscono, e li stimo perché nonostante i propri limiti riescono a sognare di essere anche qualcosa di più. Non mi interessa un tipo di scrittura che sia empatica in modo selettivo con i personaggi, lui sì lui no. Mi annoierebbe, sia come lettore che come scrittore.
    "[...] quando ancora confondevo la persona con le sue azioni [...] è una frase molto bella :)

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    Risposte
    1. Il tuo commento rispecchia completamente il mio pensiero: benvenuto, fratello! :-)
      Contenta che la frase ti sia piaciuta. è stata molto spontanea.

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  18. Il post è ben ragionato e i commenti pure, non ho molto da aggiungere.
    Di certo sarebbe bello essere sempre in grado di ricordarsi di non giudicare. Sinceramente, penso che capiti a tutti di cadere nella trappola del (pre)giudizio. L'importante è non irrigidirsi, essere in grado di cambiare opinione se si scopre di essere nel torto. Anche, se possibile, prendere in conto il giudizio degli altri, solo quando è giusto e ci può migliorare come persone.

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    1. Si, sono d'accordo. Il problema è che non tutti sono in grado di mettere in discussione le proprie convinzioni, né di accettare le critiche costruttive.

      P.S. ti chiedo scusa per il ritardo, ma non tutti i commenti mi sono notificati tempestivamente. Non so come mai. :)

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