Guest post - Essere scrittori o tentare di diventarlo (seconda parte)





Oggi, dietro vostra stessa richiesta, pubblico la seconda parte del post più controverso dell’anno. Come anticipato, si parlerà di self-publishing.
Credo non sia necessario dilungarsi troppo nelle presentazioni: abbiamo già avuto modo di fare la conoscenza dell’autore. E io mi sento oppressa da tutte le parole che mi sono trovata addosso. Del resto una persona scrive il suo commento, e poi si dedica ad altro. Ma quando gli interventi sono ottanta (mettendo insieme sia la prima parte dell’articolo, sia quello scritto da me che ne è seguito), e quasi tutti di attacchi personali, l’energia all’interno del blog cambia. Solo una persona, fra tutte quelle che hanno commentato, si è presa la briga di chiedermi scusa per la gogna mediatica in cui mi sono trovata coinvolta.
Pazienza, è andata così.
Giovedì (o forse mercoledì sera) pubblicherò un post più natalizio, per ripristinare la positività perduta. Intanto, vi lascio in compagnia di Gaspare. Fate i bravi, mi raccomando!
Anche tu, Gas. Soprattutto tu!
(La prima parte dell'articolo, qui)


Quando è arrivato il self publishing, non ho visto un'occasione per venire pubblicato. Io lo uso come il modo più economico e semplice per dare queste cose che scrivo a chi vuole leggermi. Come si faceva un tempo quando si spedivano lettere. Così è molto più comodo. E neanche glielo chiedo tanto, se vogliono va bene, se no fattacci loro.
Quando ho iniziato non esisteva nemmeno il web. Ti rendi conto di cosa può significare per una persona come me? La stessa possibilità di scrivere su uno schermo, e correggere con un tasto invece di strappare la pagina e ribatterla, è un miracolo.
Per non parlare di poter archiviare l'opera sulla cloud, o addirittura farla stampare e arrivare a casa di qualcuno.

Prima, nel mio prima, quando ancora tu non esistevi, si batteva il testo a mano, si fotocopiava e si dava a qualcuno di cui si aveva fiducia affinché ci degnasse di una lettura. A quel punto si poteva scegliere SOLO di spedirlo a un editore, il quale lo avrebbe certamente cassato.

Non esistevano siti di consigli. Non potevi vedere un video di De Luca per capire cosa fare del tuo testo. Non esistevano TUTTI questi manuali, non potevi contattare beta readers e non avevi un responso diretto della gente.

Erano anni angoscianti. Gli editori non avevano siti, dovevi andare nelle biblioteche e chiedere agli addetti se per piacere ti passavano il contatto!

Ora è cambiato tutto e chi si lamenta è un bambino viziato che non ringrazia per le opportunità democratiche che gli sono offerte.

Non esisteva prima, per ragazzi in gamba come Paolo Cestarollo o Alessia Savi, il modo di propagare la loro prosa.

 Non esisteva il modo per un ragazzino vivace di far stampare quel piccolo libro che contiene le fantasie che lo sconvolgono.

Il solo modo che si aveva all'epoca è proprio quello che ora odiate e che il self publishing sta distruggendo: essere amico di qualcuno o lavorare per qualcuno dell'ambiente (o farsi la moglie di... o recitare nel tale film).

La mia editor, dopo il Teatro degli Anonimi, ha insistito fino all'ossessione affinché lo proponessi ad Adelphi.

Io credo non sia l'opera che Adelphi vorrebbe. Assai probabilmente altro che scriverò potrebbe stuzzicare il portafoglio di un editore.

La mia logica, che dovrebbe essere la tua, ma hai troppi complessi di inferiorità, è che io non devo chiedere all'editore se l'opera va bene. L'opera VA GIA' BENE. Lo so di mio, e se non va bene la riscrivo fino a che non va bene. "Nevichi stelle" avrà la sua quinta riscrittura. Sarà un'opera meravigliosa. "Aurora va via con gli alberi" è dolce e ben scritto. "Cosa non farei per te" fa morire dal ridere e i dialoghi sono perfetti. "Il salotto a ruote motrici" cambierà nome, ed è un romanzo appassionante, con meccaniche originali e una trama da urlo, quando finito lo amerò da impazzire.

Lo so di mio che è così. Come so che "Diario di viaggio di un attore cattivo" era banale, o "Fatti Sentire" pur avendo un buon lessico non si reggeva in piedi.
Quello che io chiedo a un editore non è se valgo qualcosa, o di rendermi orgoglioso, o più ricco di quanto sono. Non gli chiedo nemmeno di realizzare "un sogno", perché non ho sogni al riguardo, io sono già completo nell'atto della scrittura. E mi fa strano che ne abbia tu.
All'editore chiedo "ti piacerebbe fare soldi?". Sono io che offro lui un'occasione. Magari perché è divertente.

Nel mentre io continuo a scrivere e le mie opere vanno in self publishing perché... perché si. Non mi costa nulla.

Il self publishing nel modo indie che pratico io, e che consiglio a chiunque, non è una alternativa scarsa alla pubblicazione. E' un modo generoso di regalare e offrire storie.
Questo dovrebbe farti capire perché molta gente continua a dire che io ho un futuro (anzi, un presente) in questa cosa, mentre tu ti fai problemi e partecipi ai concorsi.
Perché io SONO GIA' uno scrittore. Lo sono dal momento in cui mi dichiaro e agisco come tale. Ovvero uno focalizzato sulla scrittura, NON sulla pubblicazione (che è il focus di un editore!).
Tu no.

Tu hai dei blocchi, delle resistenze, scrivere non ti rende felice. Ti gongoli nell'idea che un giorno sarai pubblicato, o che sarai simile ai tuoi immaginari idoli letterari.
Ti stai facendo del male. Smettila il prima che puoi. C'è bisogno di volontari e di persone buone che salvino il mondo. Impiega meglio il tuo tempo. Cerca di essere felice oggi, e non in prospettiva.

Ah, avevo detto che avrei smontato le risposte. Intendo farlo davvero.

-NO, perché un editore non ha stabilito la qualità
E se aprivi un ristorante chi doveva dirti che il menu era buono? Chef Ramsey? Non riesci a capire da solo se hai scritto qualcosa che merita?

-NO, perché ci fai pochi soldi
Guadagno più io di molti autori pubblicati.

-NO, perché le vecchie non sanno usare Amazon
Quindi perché pubblicare un software di CAD, se solo gli ingegneri sanno usarlo? Sarà mica, caro Daniele Imperi, che ogni prodotto cerca e soddisfa la sua nicchia? Se tua nonna non sa usare Amazon, lo fanno molto bene i ventenni. E io vendo ai ventenni. Non a tua nonna. E' un po' come il famoso discorso di Facebook: non è che siccome a te piace dialogare e FB non lo consente, FB fa schifo. Sei te che non sai usare il media.

 -NO, perché è svendere la propria opera
Tenerla in un cassetto invece frutta tanti interessi. Comunque se sei indie come me, e usi distributori invece di editori, la ritiri e la modifichi quando vuoi. Tanto prima che il tuo editore idolo si accorga di te fai in tempo a creare un'ennealogia. Quando sarà, premi un tasto e la versione indipendente è cancellata. Certo, è svenderla affidarsi a Nativi Digitali. Anzi, è abbastanza stupido pagare per qualcosa che puoi fare da solo nello stesso arco di tempo. Ma credo si ricolleghi a quella cosa che se non c'è nessuno che ti dice bravo, non sai che fare di quel che produci.

-No, perché il self publishing è pieno di immondizia
Questa è la cosa che mi fa ridere di più. Sarebbe come entrare nelle case, strappare i disegni a pastelli dei bambini urlando: stupidi ritardati, vi pare arte questa?
Amico mio, il self publishing è pieno di immondizia nello stesso modo col quale e nella stessa percentuale col quale ne è piena l'editoria classica. Vogliamo parlare della romance di Newton Compton? Quel che hai paura è che la tua meravigliosa opera non spicchi.
Perché diciamocelo: quello che vorresti è un mondo vuoto, così finalmente la biondina difficile si accorgerebbe di te. Peccato: non solo il tuo testo fa schifo, ma fa così schifo che sei consapevole che accanto a "My Little Pony Erotica" sfigurerebbe. Certo, se non ci fosse nessuno al mondo saresti il primo della specie umana.

Provo a riassumere?

Il self publishing è uno strumento gioioso e tranquillo che serve ai veri scrittori come parcheggio attivo delle opere. E' il nostro modo di mettere le parole ad asciugare. A volte è il miglior canale possibile per determinati contenuti. Come fece Proust con la Recherche.
Un vero scrittore non ha paura e neanche assillo della pubblicazione, che è una naturale conseguenza del suo duro lavoro quotidiano. Non del lavoro sulla singola opera, intendo, ma del lavoro continuativo.

Se hai scritto qualche manciata di racconti e un romanzetto acerbo, sei ancora alla gavetta. La media dell'interesse di un editore solido si desta dopo la settima opera. Sei alla prefazione di una carriera. E quelle opere di gavetta in qualche modo devi pure stamparle e farle esistere. Col sistema Indie non paghi per farlo, e in più qualcuno ti legge e gli piacerai.
E per un vero scrittore il premio è la possibilità di continuare a scrivere. Se qualcuno mi proponesse una pubblicazione milionaria ma il divieto di scrivere ancora, io impazzirei. Cosa farei di me stesso, a quel punto? Non sarei mai felice.

Quando farai il passo da "sarò uno scrittore se me lo dice qualcuno" a "io sono uno scrittore perché lo sto già facendo" vedrai come una magia cambiare tutto quanto.
Se non riesci a fare questo salto mentale, continuando a sentire giusto venire pubblicati da un editore come sigla del tuo valore umano, allora tu NON sei uno scrittore, non starai venti anni a perfezionarti e avrai perso tempo. Non farlo! Cambia ambizioni!
Datti al volontariato. Le donne amano chi si impegna a salvare il mondo. Magari anche Jenna Haze.

Il guest blogger.
Gaspare Burgio è uno scrittore polivalente che ha collaborato a progetti di diffusione narrativa in Creative Commons, sceneggiature per comics, progetti di living theater, fanzine e altro. È autore, fra le altre opere, dell’antologia Nuvole Prensili.
Il suo lavoro può essere seguito sul blog: http://burgiogaspare.wordpress.com

 

Commenti

  1. Credo che questa seconda parte contenga un suggerimento prezioso: il salto mentale. Per chi come me (ho 47 anni quindi non sono una nativa digitale proprio per niente) ha sempre visto l'editore come un punto importante, l'agente come un sogno, e poi le cose nonostante i diversi editori che mi hanno pubblcata, nonostante l'agente superstar che mi ha voluta, le cose sono andate diversamente, be' tocca rivalutare il self dal profondo, non come rimedio o ripiego e allora diventa un processo mentale impegnativo. Esattamente quello che ho fatto nelle ultime settimane, ora credo di essere arrivata al salto che Gaspare cita e mi ha fatto solo un gran bene. Saranno i lettori, come sono i frequentatori del ristorante (che poi va a gusti, a me hanno suggerito ristoranti che non mi sono piaciuti) a dare un giudizio sul valore. Un caro saluto Sandra
    ps. per la cronaca io e Chiara ci siamo spiegate in privato e posso esprimere con piacere la mia gioia perchè fino all'ultimo ha avuto voglia di parlare della faccenda anche se era sfinita.

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    1. Da un punto di vista umano, Chiara è imbattibile, non ho un milionesimo della sua pazienza e accortezza.

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  2. Sono contenta di aver letto la seconda perte del post.
    Come dice Sandra il salto mentale è importante. Non sono del tutto certa che Adelphi non darebbe più opportunità a Gaspare, ma è evidente che lui ha fatto le sue considerazioni e ha trovato la strada migliore per sé e pertanto, giustamente, ne spiega i vantaggi.
    Poi io ho il mio carattere e non mi va quando qualcuno mi dice cosa devo fare o cosa devo pensare, per citare una canzone "a sbagliare sono bravissima da me". Avrò i miei bravi problemi di autostima (è oggettivo, ho problemi di autostima), avrò i miei blocchi mentali in fatto di materialità (mi piace mangiare regolarmente, avere una casa calda e comoda e se possibile fare anche delle vacanze, ognuno ha le sue debolezze) e quindi, non avendo una serie di competenze non mi spiace affatto che ce le metta un editore. È chiaro che è una scelta che può essere o meno condivisa, che porta a dei compromessi e che è assai improbabile che mi faccia diventare ricca. Ma è anche chiaro che, essendo la mia scelta, sono più a mio agio quando viene rispettata (che non implica "condivisa"). Io posso pensare che Gaspare abbia fatto male a non tentare con Adelphi, perché forse avrebbe avuto più lettori, ma questo non implica un giudizio su di lui.

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  3. Il tono e l'atteggiamento di questo post sono come il precedente: tu che stabilisci che la tua opera va bene. Tu che dici che la tua sarà un'opera meravigliosa. Ok che bisogna avere autostima, ma autostima non significa superbia.
    Una trama da urlo, un romanzo appassionante: i giudizi soggettivi non fanno testo. Questi sono giudizi che dovrebbe dare il lettore, non può darseli da solo l'autore.
    Non capisco poi il riferimento a me, sinceramente.
    Riguardo all'immondizia di cui è pieno il self-publishing, il paragone che fai non regge. E l'immondizia che ho trovato nel self non l'ho trovata mai nell'editoria tradizionale. Nel self trovi testi sgrammaticati, testi indecenti sotto qualsiasi aspetto. Questo è un dato di fatto.

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    1. Il post della settimana scorsa conteneva riferimenti e attacchi personali, questo no. Te lo dico per certo, perché l'ho verificato da capo a piedi. I toni da "sborone" (come si dice da queste parti) possono dare fastidio, ma non colpiscono nessuno. L'autore secondo me - nel rispetto degli altri - ha diritto di dire ciò che pensa delle proprie opere, si tratta di autovalutazione: Gaspare ha anche espresso delle critiche nei confronti di alcuni racconti/romanzi, non ci vedo niente di male.

      Credo che ti abbia chiamato in causa perché tu citi spesso l'importanza della nicchia, sul tuo blog. Prima di pubblicarlo, ti avevo mandato questo estratto e non vi avevi visto intento malevolo (in fatti non c'è), ma se vuoi lo elimino, dimmi tu... :)

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  4. Qui infatti non ho visto attacchi personali. E penso che l'autovalutazione significhi altro, non sostenere che le proprie opere siano magnifiche.
    Non mi ha dato fastidio quel riferimento, solo che non capivo il nesso.

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    1. Quello però è soggettivo: io mi sono preoccupata che non offendesse nessuno. La presunzione può essere antipatica, ma non è dannosa né viola la netiquette, secondo me... Inoltre, come accennavo prima, Gaspare ha menzionato anche opere in cui ha "toppato".

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  5. Devo darti ragione su quasi tutti i punti, Gaspare. Da lettrice schivo i libri autopubblicati, perché comunque sono convinta che lì la percentuale di rischio-ciofeca sia più alta; il problema però si presenta anche con certa piccola editoria: lavori dilettanteschi, editing quasi inesistente, e per l'autore niente promozione e guadagni quasi inesistenti. C'è un filtro in più, ma non sempre è adeguato. Per questo valuto piuttosto i due estremi per le mie storie: i grossi editori e l'autopubblicazione. La via di mezzo mi lascia poco convinta. A parte questo, trovo la tua autostima (o autocoscienza) positiva e corroborante. Mi piace pensare che esista in giro chi vede il proprio lavoro a questo modo.

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    1. Vedi, è come la cosa che si dice a una persona sfiduciata sul proprio valore. Se non ti ami tu per primo, chi lo farà? Poi c'è la necessità di crescere, ma non c'è passione nella crescita se non hai questo genere di stimolo. Cioè una profonda fiducia del potenziale. Poi se mi ci vogliono cento anni a raggiungere un livello che piaccia al pianeta... sarà stato un bel viaggio.

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  6. Devo essere sincero: la divisione in due parti del post gli ha nuociuto parecchio. Con questa seconda parte tutto il post precedente assume più senso, oltre che stemperare tantissimo il tono forte/aggressivo del precedente.
    Anche perchè mi sento di dare ragione a Gaspare quasi sull'intera linea.
    Sono d'accordo che un autore a un certo punto sappia quanto valga la propria opera, ma solo a patto che sia onestamente obiettivo. Non tutti lo sono, purtroppo.
    Devo dire che stavo pensando da un po' alla questione self-publishing e ora quei pochi dubbi rimastimi mi hanno abbandonato. Resta solo da capire quale piattaforma sia la più conveniente.

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    1. Nemmeno io avevo pensato a una cosa del genere, perché letto nell'integrità, e ugualmente Chiara. Ma ha una linea di pubblicazione che impone questo e che (mea culpa) non ho proprio considerato in stesura.

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  7. Dopo aver letto il post sono andata a scaricare "Nuvole prensili" lo leggerò, mi hai incuriosito molto. Riguardo al selfpublishing trovo che sia una grande opportunità che oggi abbiamo rispetto al passato e ne sono davvero felice, perché ho potuto finalmente pubblicare i miei due libri. Tra l'altro il secondo è nato solo perché ho pubblicato il primo, perché ho potuto concentrarmi sulla seconda storia che mi premeva dentro da tempo e sto cominciando la terza. Circa tre anni fa ho letto un libro pubblicato da una grande casa editrice attirata da una recensione positiva, era una storia senza capo né coda e al termine della lettura ero decisamente irritata, mi sono chiesta "Ma come fanno a pubblicare queste schifezze?" È stato allora che ho cominciato a pensare al selfpublishing. Lascerò la possibilità di giudicare a chi mi leggerà, se vorrà.

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    1. Perché senza self-publishing non avresti potuto pubblicarli? O qualche editore te li ha rifiutati?

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    2. Esistono 2700 editori in Italia. Ciascuno di essi produce almeno un volume al mese, in ogni caso le opere "libro" sono ogni anno 64.000. Tutti meravigliosi capolavori. Tutti Pennac. In dieci anni abbiamo prodotto mezzo milione di opere immortali, e tutto questo grazie al magico filtro editoriale.

      Bah.

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    3. Invece il self-publishing ha pubblicato capolavori che diventeranno classici, vero?

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  8. Anch'io sono d'accordo con il pensiero di fondo, che è quello della necessità di liberarsi da sovrastrutture di tipo mentale (che poi non sono altro che i cari, vecchi pregiudizi). Per questo di solito non partecipo ai dibatiti pro o contro il self-publishing perché lasciano il tempo che trovano. Personalmente ho avuto la fortuna di sperimentare entrambe le forme di pubblicazione (editoria tradizionale e self), e non è tutto oro quel che riluce - da ambedue le parti. Il self comunque garantisce indubbiamente una grande libertà, ma anche un'altrettanto grande responsabilità rispetto ai contenuti e alla veste grafica. Però, tanto per fare un esempio che mi riguarda, il mio secondo romanzo sui crociati è in valutazione presso la casa editrice che ha pubblicato il primo volume. Se non dovesse rientrare nella sua linea editoriale, per tanti motivi, non ho dubbi: lo pubblicherò in forma self, come ho fatto in precedenza con altri lavori. Non metto nel cassetto tre anni e passa di lavoro, e ritengo che il romanzo valga la pena di essere letto... magari non sarà "da urlo" ;-) ma molto buono sì.

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    1. Perfetto. Le esigenze editoriali (lecite eh) non si coniugano sempre col valore effettivo dell'opera. Non possono di fatto pubblicare tutto quello che è anche solo un po' sopra la media...
      Prima restavano pagine morte, oggi possiamo comunque far vivere un testo. Comunque è un parcheggio attivo, ci sono casi di transizioni nei due sensi.

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  9. Sono d'accordo con chi ha detto che dividere in due questo post sia stato uno sbaglio, perché di fatto la prima parte senza questa seconda non aveva molto senso. Comunque, condivido l'importanza di fare un "salto mentale" quando si parla di self. Le discussioni e le incomprensioni in questo ambito nascono proprio dal fatto che molti di noi appartengono a una generazione o meglio a un tipo di società abituata a pensare che deve essere una casa editrice a convalidare uno scrittore. Senza questa convalida ci si sente... nulla. Avevo anche io questa idea, perché sono cresciuta con questa mentalità e come me molti altri che conosco. Pensarla diversamente non è stato facile, ma è stato un passo importante. Credo tuttavia che perché questo messaggio passi alla massa ci vorrà molto tempo e non serviranno mille post di questo tipo.
    Mi dispiace invece di sentire Chiara così avvilita per quanto è successo. Spero davvero che possa riacquistare la positività perduta, anche alla luce dei chiarimenti che mi pare ci siano stati.

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  10. La discussione sul self publishing sembra anche a me che lasci il tempo che trova... mi interessa invece il proseguimento del discorso sul fatto che uno è uno scrittore quando lo sa lui... simao tutti abituati a confrontarci con delle figure "autorevoli", scrittori o editori che siano, dimenticando che all'inizio erano dei principianti pure loro, che non sono stati facilmente "legittimati" dalla cultura ufficiale dei loro tempi, e che forse sono riusciti a emergere proprio perchè avevano qualcosa di personale da dire, con una voce loro, che probabilmente avranno cercato da sè, dato che penso nessuno abbia potuto insegnargliela... il lavoro grosso penso sia personale, magari ci si può basare sulle indicazioni di altri, ma se cerchi una frase, o una parola, o una trama, cosa fai, guardi cos'hanno fatto il tuo amico o Umberto Eco in una situazione simile? Chiedi all'editore quale soluzione vi farà guadagnare di più? Vabbè, diranno i lettori, abbiamo già visto... Penso che uno scrittore possa anche sentirsi nulla, se crede che la convalida debba venirgli da altri, ma resta uno scrittore se continua a cercare la propria unicità; se pensa di optare per la ricerca spasmodica della convalida è meglio inizi a fare delle analisi di mercato e scrivere quel che tira di più, magari ci riesce, non so però se ci si diverte...

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  11. Salve, sono uno scrittore. Non mi interessa raccontarvi la mia storia, e anzi vorrei solo dire quanto trovi patetico il narcisismo con cui tutti vi beate a parlare di quanto siate, chi più chi meno, scrittori. Apprezzo il pudore di chi lascia parlare le proprie opere e non le enumera con ingiustificata arroganza, apprezzo chi non espone la propria faccia adirata intenta a pretendere un rispetto che, forse, non si è affatto guadagnato. Niente, chiudo qui, volevo solo dire che trovo tutto quanto scritto in questa pagina patetico e inutile, comprese tutte le speculazioni che, non so con quale spirito masochistico, ho finito per leggere. Chissà poi perché sto scrivendo... ah, sì, è che in Italia si dice che ci siano più scrittori che lettori. Ecco, questo sembra essere un paradosso solo in parte. Come uno che neanche sa scrivere riesce ad ammucchiare romanzi nel cassetto, così chi sa scrivere vuole sentirsi in tutti i modi uno scrittore. Ma io mi chiedo, oltre alla sensibilità poetica per la forma e le immagini, avete anche qualcosa da dire? Cioè, qualcosa che non sia solo narrare le storie che si vedono o si vivono, ma qualcosa che possa realmente dire qualcosa a qualcuno traslandola sotto la lente dell'arte? Qualcosa che, dal contingente di una storia, sale per farsi universale? Ecco, io credo che l'autoreferenzialità e il narcisismo del mondo occidentale si palesi anche tra quelli che pretendono di essere considerati scrittori (e allo stesso tempo sostengono di rifiutare i giudizi di ogni ente esterno, perché loro sanno chi sono, altro che Socrate...). Scusate, ho generalizzato, ed è ovviamente un male, ma io vedo in quest'ardore rivoluzionario soltanto la faccia delusa di chi desidera tanto vincere, ma ha perso. Un po' come gli studenti di Valle Giulia (dell'ormai feticcio da citazioni Pasolini) che avevano le stesse espressioni dei padri borghesi, e che volevano, in cuor loro, soltanto prendere il loro posto e affermare il loro potere. Negare l'ambizione non è onesto, ma divenirne vittima è grottesco. In generale, io lavorerei sulla massima per cui "spesso si odia negli altri ciò che si sa esser parte di noi". Fate attenzione, saluti.

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    1. Buongiorno, sono la proprietaria di questa pagina. Ho letto con grande interesse il tuo post e mi trovi in parte concorde con le tue parole.

      Non so se hai avuto modo di leggere anche la presentazione del blog: ho deciso di aprire questo spazio per creare un luogo di scambio e condivisione con chi condivide con me la passione per la scrittura, ma con l'umiltà dell'esordiente che non ha ancora pubblicato nulla.
      Non mi considero una scrittrice se non per una propensione caratteriale che - fin da quand'ero bambina - mi ha portato a raccontare storie e ha strutturato uno sguardo sul mondo parzialmente diverso da quello di tutti i miei coetanei, perché più incline a scavare in profondità che non ad accettare ciò che si vede come un dato di fatto.
      Non mi considero narcisista, ma il mio bisogno di comunicare forse mi fa apparire tale. Esso è figlio di troppi silenzi imposti: nel corso della vita mi sono resa conto che le parole represse creano un tappo nell'anima, buttarle fuori è l'unico modo per non soffocare. Sono ingenua, forse, e ancora inesperta. Ma la scrittura per me si concretizza nel sapiente equilibrio fra arte e comunicazione: elogio la bellezza, e parlo con la gente. Forse venderò pochissimo, però è l'unico modo che conosco per scrivere senza avere l'impressione di svendermi.

      Pur avendo apprezzato le tue parole, non ho gradito la generalizzazione. Mi hai fatto pensare (perdonami se sbaglio) allo scrittore esperto che difende il proprio territorio dall'orda di pivelli che si accalcano lungo le coste del self-publishing come i migranti al confine francese. Non essere indispettito dalla nostra presenza: non facciamo male a nessuno.

      Mi spiace che tu non abbia gradito l'intervento del mio ospite. Le parole di Gaspare possono non essere condivisibili, ma io ritengo la loro presenza importante a prescindere dal loro livello di popolarità.

      Mi piacerebbe molto far proseguire la nostra conversazione: se vuoi, nella pagina contatti c'è il mio indirizzo email.

      P.S. Spero che il "tu" non ti abbia offeso, ma mi piace mantenere un clima informale qui sul blog.

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    2. P.S. "Spesso si odia negli altri ciò che fa parte di noi": sacrosanta verità. Chopra docet. :)

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    3. Povera Chiara... dopo il tifone scatenato dal doppio post di Gaspare, anche questo scrittore che viene a sbacchettarci tutti e a farci star zitti, che quel poco o niente che abbiamo da dire è sicuramente di valore artistico nullo...
      Mi dispiace che una persona faccia delle critiche in fin dei conti gratuite all'operato di altri, soprattutto quando si tratta di cose personali come le proprie passioni e inclinazioni... ognuno ha il diritto di viverle come crede e come riesce, beato lui che è uno scrittore ufficiale, non ho capito quando è iniziata e quando è finita la partita (o la guerra?) che certi avrebbero già perso... c'è più tempo che vita, si dice...

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    4. L'intervento di questo scrittore (che non ha voluto firmarsi) non mi ha urtato nè infastidita: io conosco il valore del mio lavoro (attualmente ancora basso) e non voglio nè sovrastimarlo né sminuirlo. Ormai sono un muro di gomma... :)

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