I miei personaggi - somiglianze e insegnamenti.
Il vero io è ciò che tu sei, non ciò che hanno fatto di te.
(Paulo Coelho)
Il romanzo che sto scrivendo è più popolato della
Cina. Ovviamente tutti i personaggi hanno un ruolo preciso. Ho lavorato sulle loro
caratteristiche affinché ogni dettaglio fosse coerente con il contesto e
funzionale alla trama. Ho cercato di renderli accattivanti, pur nella
consapevolezza che alcuni rappresentano la bassa manovalanza della storia, sono
poco più che comparse. Probabilmente non
lasceranno il segno ma hanno un compito da svolgere, ragion per cui la loro
presenza mi serve come l’aria.
Per i quattro
personaggi principali vale un principio diverso. Non li ho cercati per
sciogliere determinati nodi narrativi ma sono loro che hanno trovato me, sono
nati spontaneamente e si sono sbracciati per attirare la mia attenzione. Solo
adesso che ho preso confidenza con il loro carattere e i loro obiettivi capisco
perché: ciascuno di essi (pur nella diversità dei tratti psicologici e
biografici) è legato a un ricordo, una ferita, una paturnia mentale o una
questione irrisolta su cui ho lavorato o sto lavorando. Accompagnarli nel loro
percorso evolutivo può quindi aiutarmi a comprendere meglio me stessa. Il mio
viaggio è il loro viaggio. Ha tappe diverse, ma un risultato simile: la
crescita. E per questo motivo merita di essere raccontato.
Oggi ho deciso
di presentarvi a grandi linee i miei ragazzi. Tramite questo post, voglio
comprendere quanta “Chiara” ci sia in ciascuno di loro e cosa sto imparando dal
mio quadruplo viaggio dell’eroe.
Il protagonista.
Quando ho progettato il romanzo per la prima volta,
non era previsto che N. fosse l’unico protagonista, ma che condividesse il
palcoscenico con altre figure sullo stesso piano. Solo dopo aver constatato di
essere ancora inesperta per gestire una trama corale, ho deciso di promuoverlo:
il
“viaggio dell’eroe” principale sarà il suo. Gli altri personaggi avranno un
ruolo sì importante, ma comunque funzionale al suo percorso.
Dopo un passato pieno di protagoniste donne che
ricalcavano il mio modo di essere, avevo bisogno di cimentarmi con un soggetto che
non mi somigliasse per niente, almeno sulla carta. Questo ragazzo ha un carattere
impegnativo (non è proprio un simpaticone) e proviene da un contesto difficile
da gestire per una scrittrice che ha avuto modo di conoscerlo soltanto di
riflesso. Sapevo che occuparmi di lui non sarebbe stato facile, eppure sentivo
di dovermi mettere alla prova.
A distanza di mesi, sono molto soddisfatta della mia
scelta perché penso che N. sia un tipo decisamente interessante. Man mano che
la trama avanza mi trovo sempre più spesso a valorizzare gli aspetti positivi
del suo carattere e la sua natura di vaso di terracotta mascherato da vaso di
ferro. Inoltre mi sono resa conto che non è così diverso da me come pensavo. Anch’io
uso la rabbia per autodifesa quando mi sento con le spalle al muro. E anch’ io,
per molti anni, mi sono rinchiusa in un guscio di insensibilità che mi
proteggeva dagli attacchi esterni. Ma soprattutto ciò che mi accomuna a lui è il
bisogno viscerale di esprimere me stessa: io ho scelto la scrittura, il mio
protagonista la musica. In un mondo che ci vorrebbe tutti in fila come rigidi
soldatini, il creativo è inevitabilmente una voce fuori dal coro. L’alienazione
rispetto al contesto di appartenenza è inevitabile. E l’interrogativo “cosa
voglio davvero dalla mia vita?” rimbomba nel cervello come un mantra. N. troverà
le sue risposte, io invece ci sto ancora lavorando.
Mi fa bene
gestire un personaggio che insegue i propri obiettivi con una determinazione ai
limiti del masochismo e se ha un muro davanti prova a buttarlo giù a testate. Mi
sono sempre considerata una pappamolla, quindi mi trovo ad assorbire un po’
della sua forza. Le soluzioni che trovo per tirarlo fuori dai casini spesso
sono utili anche a me: a volte immedesimarsi nei panni di un’altra persona ci porta
a vedere soluzioni che inizialmente non avevamo contemplato!
La co-protagonista.
Sapete che sono una femminista. Un maschio alfa vale
poco senza una donna altrettanto in gamba al proprio fianco. E dal momento che
i personaggi sono come figli per l’autore che li ha creati, ho fatto in modo
che N. avesse la sua compagna ideale, L.
Attenzione però: la loro relazione è ben lontana dall’essere
perfetta. Gli uccellini che cantano e le ginocchia che tremano non fanno parte
del mio immaginario, ne avevo già parlato qui:
il partner “giusto”, sia in narrativa sia nella vita, per me è quello che riesce
a scardinare ogni certezza e, di conseguenza, innesca un’evoluzione. Credo
molto nella complementarietà dei caratteri. E credo che nessun amore possa essere
più grande di quello che spinge a cambiare.
Per questo motivo ho deciso di far innamorare un uomo
tendenzialmente egoista di una donna che porta dentro di sé un dolore
grandissimo, un trauma quasi ingestibile, e gli chiede di assumersene la responsabilità.
Cosa può fare una persona bisognosa di attenzioni con uno che non conosce
nemmeno le proprie reali esigenze? E cosa può fare un tizio testardo come un
mulo con una che ama piangersi addosso? Dal confronto reciproco, entrambi
migliorano.
Anche nel caso
di L. c’è un percorso di vita diverso dal mio (penso che se avessi vissuto
certe esperienze sarei morta) ma una sfida esistenziale che io stessa ho dovuto
affrontare: la ragazza dovrà imparare ad accettare se stessa a prescindere
dalla propria condizione esistenziale. Se qualcuno ci maltratta o ci esclude,
noi non abbiamo alcuna colpa, il problema è suo. L’incompatibilità non implica
necessariamente l’essere in difetto. E le uniche persone che amano in modo sono
quelle in grado di cavarsela anche da sole, di essere autonomamente felici: una
relazione che si basa sulla paura dell’abbandono è destinata al fallimento. Quando
invece impariamo a camminare con le nostre gambe, siamo liberi di scegliere.
Il mentore.
S. è entrata a far parte del cast per veicolare il
messaggio spirituale legato alla premessa del romanzo. Il protagonista,
specialmente nelle fasi iniziali della storia, non ha una grande consapevolezza
di se stesso ed è troppo attaccato alla dimensione materiale per rendersi conto
di ciò che sta accadendo dentro di sé. Ha bisogno di una guida, di qualcuno che
sappia portare alla sua attenzione (e soprattutto a quella del lettore) alcune
importanti dinamiche psicologiche e spirituali.
Bionda e minuta,
S. è l’unica dei quattro a non avere grossi problemi personali da risolvere a parte
uno, verso il finale. In cosa mi somiglia? Nella vicinanza alle filosofie
orientali, ovviamente. E nella sua dedizione incondizionata nei confronti del
prossimo.
Grazie a lei sto
rispolverando alcuni concetti che avevo dimenticato. Le parole con cui
istruisce gli altri personaggi sono utili anche a me: quando riesco a leggere
in modo oggettivo i dialoghi che la coinvolgono (il che significa senza l’impulso
di revisionare il brano) traggo da essi importanti spunti evolutivi. A volte è
necessario separare certi principi dal loro scopo narrativo per cogliere
appieno il loro valore e renderli di nuovo miei.
L’ombra?
Il punto interrogativo in questo caso è d’obbligo: non
so se considerare D. un’ombra sulla base di ciò che Voegler scrive a proposito
di tale archetipo. Questo personaggio non prova ostilità nei confronti di N, non
è un suo nemico. Al contrario, lo aiuta a riprendere in mano la propria vita in
un momento particolarmente buio e ha un legame fortissimo con lui: basti pensare
che il giorno in cui si conoscono i due personaggi, per mano del karma, si
salvano la vita a vicenda.
Ciò nonostante penso che D. sia il personaggio più ambiguo fra quelli che
ho per le mani. Sicuramente è il più longevo: esiste infatti da 10 anni ed era
presente anche nei miei “romanzi” precedenti, seppur con ruoli diversi. Se ogni
volta che cerco di tagliarlo fuori dalla storia torna indietro come un
boomerang è perché racchiude in sé una debolezza che ancora non sono riuscita a
vincere: il rifiuto quasi ossessivo per le situazioni che mi provocano un forte
disagio psicologico, davanti alle quali reagisco con l’isolamento o con la fuga.
Il mio inconscio mi protegge dalla paura scomode causandomi attacchi di ansia; D. invece imbraccia una macchina
fotografica e se ne va in giro per il mondo. Ma non sarebbe meglio restare e
affrontare i propri mostri? O, nel suo caso, tornare a casa dopo anni di
assenza per guardare in faccia la realtà? La paura della sofferenza può essere
debilitante. Ma affrontarla è da vincenti. D. lo è? Io lo sono? Sinceramente
non l’ho ancora capito…
Il lancio della patata bollente.
Quali caratteristiche dei vostri personaggi rispecchiano maggiormente
il vostro modo di essere? Cosa state imparando da e insieme a loro?
Il primo romanzo che ho scritto era molto autobiografico, e non è finito bene, anzi, non l'ho proprio mai finito.
RispondiEliminaAllora ho cercato di creare personaggi diversi da me, per potermi distaccare e gestirli meglio dall'esterno. Adesso però, in fase di revisione, mi trovo a pescare tra le mie esperienze e memorie per arricchire i personaggi e renderli più veri, più credibili.
In questo modo imparo come sono (sia loro sia io).
A me è successa una cosa simile. Certe somiglianze non erano volute, sono emerse spontaneamente forse perché è inevitabile che il mio modo di vedere la realtà si riversi sulle mie "creazioni". E solo guardando i miei personaggi in modo diverso mi sono resa conto quante somiglianze ci siano, e di quante cose esse possano insegnarmi. :)
EliminaDei miei due protagonisti, uno sono io stesso, sebbene in una fase della mia vita molto lontana e molto diversa da quella attuale. In realtà non sono cambiato più di tanto - continuano a piacermi gli stessi libri, la stessa musica, gli stessi film, ecc. di allora. Ciò che è veramente cambiato è solo il mio atteggiamento nei confronti del mio mondo, sia a livello interiore che esteriore.
RispondiEliminaQuando ero alle prese con i miei primi tentativi di scrittura, anch'io inserivo personaggi che mi ricalcavano in tutto e per tutto. Successivamente ho sentito l'esigenza vera e propria di un distacco, perché avevo l'impressione che certe vecchie sensazioni mi ristagnassero dentro...
EliminaQuella di scrivere soprattutto letteratura di tipo autobiografico è una mia scelta precisa, che condivido con i miei due scrittori preferiti - Proust e Henry Miller - quindi per me non si tratta di una fase da superare ma di qualcosa che ho intenzione di portare con me per tutta la mia attività di scrittore.
EliminaCerto. Gli scrittori - e gli artisti in genere - attraversano diverse fasi e con il tempo cristallizzano il proprio stile. Quando ho iniziato ero poco più che una ragazzina. L'atteggiamento nei confronti dell'autobiografia non era abbastanza oggettivo. Magari quando avrò raggiunto la mezza età avrò più esperienza per valutare le mie esperienze passate e tornerò sulla mia storia, ma al momento ho bisogno di percorrere altre strade. :)
EliminaHo imparato a non portare me stesso nei miei personaggi, cosa che agli esordi tendevo un po' a fare.
RispondiEliminaUna curiosità scaturita dal controllo delle "quote rosa" del mio romanzo in lavorazione: perché non è la femmina il protagonista?
Non capisco se la tua sia una domanda retorica riferita al tuo romanzo o una domanda diretta rivolta a me. Nel caso sarò felice di risponderti, anche se in parte è già spiegato nel post. :)
EliminaEra una domanda diretta a te :-)
EliminaMi sono posto il quesito perché nella mia storia a un certo punto mi sono reso conto che i personaggi erano tutti maschi (come in Lawrence D'Arabia :D ), probabilmente perché mi aspetto che un detective sia maschio, il gestore di un night sia maschio, un musicista jazz si maschio, un lottatotre sia maschio, una banda criminale sia composta da maschi... cosa che non è vera in quanto tale, ma quali sono le scelte guidate dagli stereotipi e quali quelle ragionate veramente?
Pensavo fosse una domanda retorica perché nel post ho già spiegato a grandi linee le mie motivazioni.
EliminaIn generale, ero un po' stufa di cimentarmi con personaggi che "mi somigliassero" troppo perché stavo scivolando verso la Mary Sue. Avevo la necessità di concentrarmi su un soggetto diverso, che sapesse stimolare meglio la mia creatività. Fra i protagonisti della storia corale che avevo in mente, N. mi sembrava quello più affascinante, per la sua storia, per il suo percorso. In fondo si tratta di raccontare una trasformazione interiore: il viaggio avrebbe potuto essere compiuto da un uomo o da una donna, con risvolti diversi. E quelli che riguardavano lui erano a mio avviso meno prevedibili. :)
Nel mio romanzo ho messo piccole parti di Marina almeno nei tre protagonisti principali: avendo io una personalità complessa, non ho affidato solo a un personaggio il compito di veicolare il mio modo di essere, ma l'ho distribuito e poi, ovviamente, ho rielaborato il tutto usando molta fantasia (il mio, senz'altro, non è un romanzo autobiografico).
RispondiEliminaPer me è stato catartico specchiarmi in queste figure che, vivendo la loro storia, mi hanno permesso di "scoprire" quella parte di me che sono in pochissimi a conoscere. È stato bello poter dire a tutti "sono così" ... senza dirlo veramente!
Stessa cosa per quel che riguarda me. C'è un pezzo della mia personalità in ciascuno dei quattro, e sorrido quando mi domandavano se N. fosse ispirato a Beppe, il mio compagno: credo non possano esistere due personalità più diverse, lui somiglia a me e basta! :-D
EliminaOra ti scrivo in mail che ti voglio chiedere una cosa.
Credo sia impossibile non portare parte di se stessi nei propri personaggi. Per esempio, il protagonista della storia che sto scrivendo ora non mi assomiglia molto, né a livello fisico né per alcuni comportamenti, ma condivide con me alcune esperienze e un carattere difficile, anche se in lui spinto un po' più avanti in quanto a "spregiudicatezza". Anche la co-protagonista ha alcune caratteristiche che mi rispecchiano, anche se in misura minore, mentre altri personaggi "comparsa" sono meno sfaccettati, e credo anche che sia normale. Mi sto accorgendo, comunque, che pian pianino sto imparando meglio a rendere i personaggi più realistici: all'inizio avevano qualche problema, ora invece mi rendo conto meglio di come renderli più umani :) .
RispondiEliminaIo penso che scrivendo il rapporto fra noi e i personaggi si rafforzi, quindi la loro umanità emerge spontaneamente senza che facciamo mille sforzi. I personaggi comparsa sono meno sfaccettati anche nel mio caso, se non altro per il loro ruolo circoscritto. Però ho ugualmente cercato di renderli particolari. :)
EliminaAnch'io ho bisogno di mettere della distanza tra me e i miei personaggi, proprio per poter inserire delle caratteristiche mie senza che la cosa sia troppo evidente. Con il mio ultimo lavoro ho cercato di rendere più sottile la barriera. A., la protagonista femminile, ha parte del mio carattere, ma viene da un contesto culturale molto diverso dal mio. R.D, il protagonista maschile, non mi assomiglia molto, ma spesso, pur partendo da presupposti diversi arriva a conclusioni in cui anch'io mi riconosco. Paradossalmente, mi trovo molto più a mio agio col protagonista maschile, mentre ho faticato di più nei capitoli in cui il punto di vista è quello di A.
RispondiEliminaIo nel punto di vista di N. mi diverto moltissimo. Posso concedermi qualche parolaccia senza turbare la mia femminilità e vedere le cose da un punto di vista diverso. Con L. é diverso. Essere nella sua testa é forse più naturale, se non altro per il linguaggio utilizzato, ma ha un' indole un po' frignona quindi ogni tanto vorrei darle una bella scossa...
EliminaPrincipalmente i miei personaggi cercano se stessi, al di fuori delle aspettative e delle convenzioni in voga nel loro contesto, e questo li porta a crescere. Credo che questa ricerca costante sia il tratto principale che ci unisce. Poi ci sono le caratteristiche sparse, un'arte marziale qui, uno scoppio d'ira là... ;)
RispondiEliminaAnche nel mio caso l'essere outsider è un elemento di congiunzione fra me e i miei personaggi. L'avevo anche scritto nel post in un paragrafo conclusivo che poi ho eliminato per problemi di lunghezza. :)
EliminaPenso che i personaggi abbiano comunque tutti qualcosa in comune con l'autore. Magari ben poco in alcuni casi, o perfino parecchio in alcuni protagonisti.
RispondiEliminaIl mentore lo avevo quasi dimenticato... però ne ho uno anche io, o almeno è l'unica figura che potrebbe farlo.
Il mentore non deve esserci per forza. Dipende se ti serve. E a me serve. :)
EliminaSpesso i personaggi ci assomigliano più di quanto crediamo. Io quando delineo la personalità di un personaggio mi rendo conto che anche senza volerlo ci metto dentro qualcosa di me, un modo di essere, un pensiero o altro. Per questo la risoluzione e la crescita del personaggio diventa anche la mia. È terapeutico e gratificante. :)
RispondiEliminaEsatto, succede proprio questo! :)
EliminaNei libri che scrivo c'è sempre un personaggio che mi assomiglia più di tutti. Non sono io, non sono autobiografici, ma l'anima è mia, le loro reazioni alle vicende le ho pescate dentro di me. Ma anche negli altri personaggi c'è qualcosa di me, il mio io, insomma, è sparso un po' in tutti...
RispondiEliminaCi sono personaggi che ci somigliano di più e altri di meno. Ma in ogni nostra parola c'è sempre qualcosa di noi. Altrimenti, non potremmo esprimerla!
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