Realismo e spiritualità: le due anime della mia scrittura.


Solo uno spirito disperato può raggiungere la serenità. 
E per essere disperati bisogna aver molto vissuto e amare ancora il mondo.
(Blaise Cendras)

La settimana scorsa, quando ho pubblicato il post Autobibliografia – i 100 libri che hanno segnato la mia vita, ho lasciato una questione in sospeso:

Comunque, il dato più interessante è… NON VE LO DICO!  Non subito, per lo meno. Questo dettaglio non definisce solo il mio essere lettrice ma anche (e soprattutto) il mio essere scrittrice: le due anime del mio romanzo sono strettamente legate alla sua presenza. Per questo motivo ho deciso di parlarne in un post separato, che pubblicherò all’inizio della prossima settimana. Nel frattempo, vediamo se qualcuno di voi è così bravo da individuarlo!

Solo Cristina ha provato a indovinare di cosa si trattasse. Facendo riferimento alla presenza dei nomi di città nei miei titoli, è andata piuttosto vicino alla verità, ma non ha individuato il nucleo del concetto.  

Avete notato che la mia lista è quasi suddivisa in due gruppi distinti?  
Mi piacciono i romanzi di Niccolò Ammaniti, Gianni Biondillo, Melania Mazzucco e altri autori contemporanei capaci di sbattere sulla pagina la realtà nuda e cruda senza però scivolare mai nell’autocompiacimento masochista. Mi esalta il loro tentativo di trovare un diamante in mezzo alla sporcizia: so che prima o poi lo schifo mostrerà il proprio fascino, e questo mi rincuora.  
Anche se la nostra epoca è piena di magagne, leggere opere del genere risveglia in me un senso di appartenenza molto forte. L’intento dell’autore è quello di destabilizzarmi, ma io mi sento al sicuro nel contatto con il buio perché la verosimiglianza dona stabilità alla storia, la rende concreta. Riconoscermi nelle vicende narrate mi fa sentire un po’ meno sola.
Tuttavia, la “rozza vita quotidiana che scorre” (cit. Paul Willis) non mi basta: ella mia lista sono presenti diversi saggi ispirati alla filosofia orientale e alcuni manuali di auto-aiuto. Grazie a questi libri ho trovato la forza per andare avanti in uno dei momenti più bui della mia vita. Sono un’incazzata pentita che ha saputo donare nuova vitalità ai propri intenti grazie a una visione del mondo basata su valori di solidarietà e rispetto. Ormai non riesco più a staccarmi dal mio nuovo modo di pensare: forse è per questo che in certi contesti dominati dalla competitività e dalle maldicenze mi sento completamente alienata…
So che questi accostamenti potrebbero farmi sembrare un po’ schizofrenica, ma dentro di me la luce dell’oriente e il grigio della società post-moderna coesistono pacificamente. I miei scritti hanno due anime, così amalgamate da non poterle distinguere. Forse è questo che si intende con personalità di un autore? Non lo so. So solo che la mia non può prescindere da tali elementi.

Attenzione alla realtà.
La mia passione per la sociologia è nata ai tempi dell’ università e mi ha coinvolto al punto che, oltre ai sei esami obbligatori, mi sono sparata anche altrettanti corsi facoltativi. Le mie due tesi di laurea (triennale e specialistica) presentavano indagini di contesto e la prima - quella breve - riguardava giustappunto la declinazione della verosimiglianza nelle fiction televisive.
Gli anni che mi hanno visto smanettare con questi concetti sono gli stessi in cui ho deciso di ambientare il mio romanzo: 2000 – 2010, con una time-line parallela e una sezione finale nel 2015. Forse questa scelta dipende dal fatto che conosco molto bene la nostra epoca. Forse ho bisogno di sviscerare gli anni zero anche per motivi personali che non voglio elencare qui. È una necessità che non riesco quasi a spiegare ma che è così forte da muovere le mani sulla tastiera a velocità supersonica.
Già in passato ho spiegato perché il mio romanzo èambientato a Milano. Fra le varie motivazioni, ce n’è una importantissima: nella città di M. (come la chiama Colaprico) le caratteristiche della post-modernità si esprimono ai massimi livelli. Il capoluogo lombardo pullula di non-luoghi, offre numerosi stimoli culturali ma tutti evanescenti, genera molti contatti e poche relazioni, amplifica il senso di impotenza che ogni tanto ci stringe la gola e consente alla nebbia di entrarci nelle ossa portando con sé tutto il proprio gelo. Ci sono differenze sociali marcate, ma c’è anche l’opportunità di trascenderle. C’è la possibilità di cambiare vita solo spostandosi da un quartiere all’altro. E ci sono risposte che il mio protagonista non può trovare altrove.
La forte contestualizzazione del romanzo in corso d’opera non sbarra però la strada ad altre possibilità. In uno dei prossimi scritti non mi dispiacerebbe parlare della mia Liguria perché anche in provincia si attivano dinamiche sociali che meritano attenzione. Inoltre, vorrei scrivere un romanzo storico: sto già lavorando su un’idea. Il realismo secondo me non si esprime soltanto al presente. Mi piace la rappresentazione del mondo così com’è, ma anche quella del mondo così com’era. Il fatto che certe situazioni siano superate non le rende meno interessanti.

Spiritualità.
Le filosofie orientali sono arrivate nella mia vita in un momento di  difficoltà, unendosi alla passione per l’esoterismo, che coltivo da quand’ero ragazzina. A diciassette anni ho letto i saggi dello psichiatra Brian Weiss sulla reincarnazione (anch’egli nel mio elenco), studio astrologia da un decennio, ho dal 2013 la qualifica di operatore reiki e credo di non poter vivere senza dedicare qualche minuto al giorno alla meditazione. Sono vicina al buddhismo, lo ammetto. E questo atteggiamento nei confronti della vita è talmente radicato in me da condizionare tutto ciò che faccio, scrittura compresa.
È inevitabile che la mia esperienza permei le vicende narrate nel romanzo in corso d’opera e orienti il messaggio legato alla sua  premessa. La chiave di lettura dell’intera storia dipende dai miei studi. Il concetto di karma pesa sulla trama come un macigno. I protagonisti sono impegnati in una ricerca spirituale non sempre consapevole e l’atmosfera cupa della metropoli post-moderna assume talvolta una connotazione  magica, quasi mistica. Il realismo mi serve a rendere certi concetti credibili anche per un lettore scettico, ma da solo non basta: esiste qualcosa sotto la materia e voglio aiutare il lettore a scoprire di cosa si tratta.

Perché queste due anime non possono fare a meno l’una dell’altra?
Il realismo è fondamentale per offrire una cornice credibile alla trama. Ciascun personaggio, oltre ad avere caratteristiche individuali ben definite, è figlio della propria cultura e del proprio tempo. Il legame con il contesto è inscindibile perché struttura gusti e tendenze, orienta i valori e definisce obiettivi che -  nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta – smettono di riguardare soltanto il singolo ma si estendono al suo rapporto con la collettività.
Milano quindi non rappresenta una semplice ambientazione: è un personaggio che dialoga con i protagonisti e dona alle loro esperienze un significato profondo.
Senza spiritualità, però, questo significato non si può comprendere. Per portare a compimento il viaggio dell’eroe sono necessarie risorse che il contesto non può offrire. Solo guardando dentro di sé, il protagonista potrà trovare le risposte che gli servono per evolvere. E siccome lui è piuttosto restio a staccarsi dal proprio ego, dovrò costringerlo rovinandogli la vita: penso che l'aforisma di apertura del post inquadri alla perfezione ciò che ho in mente per lui...

Il lancio della patata bollente.

Sinceramente questo post è così personale che non ho nessuna domanda da porvi. Se vi va, però, potete dirmi in che modo le vostre letture hanno condizionato il vostro essere scrittori. Altrimenti, scrivete pure quello che vi pare!

Commenti

  1. Sto abbozzando il mio post sull'autobiografia, ma non so cosa verrà fuori. Né saprei dire quali siano le due o più anime della mia scrittura. Devo pensarci, magari qualcosa verrà fuori :)
    Capirlo ti aiuta forse a conoscere meglio la strada che vuoi intraprendere come scrittore.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io ho fatto questa scoperta quasi casualmente vedendo la mia lista. Credo sia normale comunque che i nostri interessi intellettuali conzionino la nostra creatività spingendola quasi automaticamente in determinate direzioni. :)

      Elimina
    2. Guardando la mia lista sembra che a me piaccia scrivere tutt'altro...

      Elimina
    3. Non l'avrei mai detto! Ahahahaha! :D

      Elimina
  2. Io ho completato la mia lista e ho notato che i miei passaggi sono abbastanza regolari, molto classici: la fase adolescenziale ha lasciato spazio alle conoscenze obbligatorie dei libri "cult", ma so di avere capito ciò che sono veramente in età adulta, dai 18 anni in poi, quando le mie letture hanno determinato una visione della vita che poi ha condizionato anche il mio modo di scrivere e le sue tematiche principali.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Anche io, come ho scritto la volta scorsa, ho la maggior parte delle letture concentrate fra il 2000 e il 2010. Penso sia questa la fase della vita in cui una persona struttura gusti e tendenze con maggiori decisione. :)

      Elimina
  3. Credo che per tutti i lettori forti le letture abbiano influenzato il modo di pensare e quindi, a maggior ragione, per chi scrive, la scrittura.
    A me piace avere una trama forte e mi hanno colpito tutti quei romanzi che mi hanno dimostrato che si possono fare dei ragionamenti profondi anche con una storia dove l'interrogativo "come andrà a finire?" non passa in secondo piano.
    Mi hanno colpito inoltre dei saggi storici che mi hanno acceso delle vere lampadine nel cervello riguardo all'oggi o mi hanno fatto riconsiderare luoghi o tradizioni che avevo sotto gli occhi da sempre ma non capivo.
    La mia scrittura rispecchia tutto questo. Il romanzo che ho appena terminato (e che stai leggendo) mescola fatti storici e una trama gialla a problemi dell'oggi. Non so se ho raggiunto il giusto bilanciamento, ma lavoro perché le parti si armonizzino bene tra loro

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mettere insieme trama e riflessioni profonde è una bella sfida. Io ci sto lavorando, perché pur scrivendo un mainstream voglio comunque evitare il tranello del polpettone intellettualoide. Capisco anche la difficoltà a bilanciare i vari aspetti: anche io ho diverse tematiche per le mani, e una grande difficoltà a rispecchiare i confini della mia storia.

      Elimina
  4. Che fine ha fatto il postmodernismo?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il postmoderno per quel che mi riguarda (infatti l'ho anche scritto nel post, ma forse non mi sono fatta capire bene) rientra nell' ambito della rappresentazione del reale. Per quanto non escluda l'eventualità di un romanzo storico in futuro é la post modernità che mi interessa. :)

      Elimina
    2. Mi indichi la riga esatto in cui lo hai scritto? Così non mi ri-leggo tutto il post... XD :P

      Elimina
    3. Tutto il paragrafo "attenzione alla realtà" ne parla: io per postmoderno intendo un'epoca storica - sociologicamente definita - che porta con sé un preciso modo di raccontare il mondo. è una versione evoluta del neorealismo di Pasolini e Visconti. :)

      Elimina
  5. La tua spiritualità traspare molto dal blog cara Chiara, io l'ho ben percepita prima ancora di leggere la tua autobibliografia. La realtà e i suoi aspetti più crudi non sono poi così disgiunti dalla spiritualità, anzi è proprio la nuda realtà che può far emergere la parte più spirituale di noi. Anch'io mi sono avvicinata al buddismo in un periodo buio della mia vita e nei momenti tristi o si soccombe o si risale con nuova forza interiore (come si afferma nella filosofia buddista si può trasformare il veleno in medicina).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Trasformare il veleno in medicina è uno dei concetti del buddhismo di Nichiren, quello più diffuso in europa. Anni fa, avevo frequentato uno di questi gruppi qui a Sanremo, ma non mi sentivo per nulla in armonia con il loro modo di comportarsi: troppo fanatismo, ne avevo parlato anche nel post sugli outsider. Molte persone praticavano non per arricchirsi spiritualmente ma solo per raggiungere i propri scopi. C'era un attaccamento maniacale nei confronti degli obiettivi individuali, che diventavano un honzon. Diciamo che mi sento più affine al buddhismo tibetano e alla filosofia zen... :)

      Elimina
    2. Ho frequentato per un po' un gruppo di Nichiren ma anch'io ho smesso perché non mi sentivo in piena sintonia, diciamo che di quel periodo ho interiorizzato le cose buone che sentivo nelle mie corde ;-)

      Elimina
    3. Sì, I principi sono validi ma non si può dire altrettanto del modo in cui vengono declinati e vissuti. :)

      Elimina
  6. Da quel che ho capito al corso di scrittura dello scorso weekend, il segreto sta nell'intrecciare le due anime. Lo so che detto così non sembra nulla di eccezionale, ma quando si mette in pratica negli esercizi di scrittura è un'altra storia. Ne parlerò approfonditamente nel post della settimana prossima!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A me sembra già di intrecciare le due anime in modo piuttosto spontaneo. Poi ovviamente questa è la mia percezione soggettiva... ne saprò di più dopo aver letto il tuo post.
      Sono stata un po' assente dal web a causa dei problemi ai denti, ma conto di poter vedere presto "quella cosa" che sai. Ti scrivo appena posso.:)

      Elimina
  7. Non so se la tua è stata una scelta intenzionale, Chiara, ma la citazione di Cendrars all'inizio del post era anche una delle preferite di Henry Miller.
    Venendo alla patata bollente, è curioso che proprio stamani io abbia riflettuto sulla mia lista negli stessi termini che hai espresso nel post.
    A smuovere le acque è stata in realtà un'intervista a Roberto Calasso che ho letto ieri. Parlando della sua casa editrice, l'Adelphi, fa a un certo punto questa considerazione, rivolgendosi al suo intervistatore:
    "Lei ricorda cos'era l'Italia negli anni Sessanta, quando l'Adelphi è nata? C'erano tre fronti: marxista, cattolico e laico. Questa divisione, insieme culturale e ideologica, fin dall'inizio non ci riguardava e non ci interessava. Quasi tutto il meglio stava fuori da queste categorie".
    Ebbene, considerando stamani la mia lista ho notato che si potrebbe dire lo stesso di me. Anche le mie radici affondano negli anni '60 e '70 e mi sembra evidente che tutto quel che mi ha nutrito sta al di fuori di queste tre categorie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non conoscevo questa citazione: l'ho trovata mentre cercavo qualcosa di adatto al mio post e la trovo così allineata con il mio modo di pensare da averla già trasformata in una specie di motto.
      Io mi sento distante dagli anni 60 e 70 perché ancora non esistevo. è una sensibilità che sento lontana. Noi, figli del reflusso, siamo a metà fra l'era digitale e le grandi ideologie. Una generazione ibrida. E questa confusione culturale si riflette perfettamente nella mia scrittura.

      Elimina
  8. Credo di capire quel che dici perché, in qualità di scettico radicale, uno dei temi dei miei lavori è quello che potrei definire "indagine spirituale" (per esempio il rapporto uomo-macchina e la visione della tecnologia in sostituzione della divinità) :-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non per altro tu scrivi fantascienza, genere di cui mi disinteresso completamente. :)

      Elimina
    2. Sarebbe molto interessante capirne la ragione, tanto più che sono arciconvinto di avere almeno 3-4 titoli di cui ti innamoreresti alla follia ;-)
      Sto giusto collaborando per un post che potrebbe chiamarsi qualcosa come "La fantascienza per chi odia la fantascienza" :-)

      Elimina
    3. Non credo sia corretto dire che odio la fantascienza: siccome è un genere a cui mi disinteresso, non lo conosco per niente. Avrò letto due o tre libri del genere in tutta la vita. :)

      Elimina
    4. È una cosa abbastanza comune... però immagino che di film ne avrai visti! ;-)

      Elimina
    5. Pochissimi, a dir la verità. Giusto gli imperdibili (Matrix, Blade Runner ecc.) ma è passato così tanto tempo che nemmeno me li ricordo...

      Elimina
    6. Vuoi dire che non hai mai visto Terminator, Iron Man, Ritorno al Futuro, Mad Max, Spiderman, Ghostbusters, Transformers, Guerre Stellari (sono un cultore del cinema d'essai, si vede? :D )

      Elimina
    7. Ritorno al futuro è compreso nell'ecc. di prima: è un cult, l'ho visto 300 volte e credo di conoscere a memoria l'intera trilogia. Ghostbuster (che ho visto) secondo me è più fantasy che fantascienza. Idem Spiderman (che non ho visto). E non ho visto nemmeno Guerre stellari, Transformers e Mad Max. Terminator forse sì, da piccola. E anche The Avengers, di recente: noiosissimo. :)

      Elimina
    8. Quelli dove non esiste una linea precisa di demarcazione fra i generi sono i miei preferiti ;-)
      Concordo su The Avengers, troppo "accozzaglia" (tranne Scarlet *_* :D )

      Elimina
  9. Io credo di aver tratto esperienza dalle mie letture solo come "metodo", per così dire. Il desiderio di scrivere (o meglio: inventare storie) è congenito in me, davvero. La mia testa passa più tempo a immaginare possibilità alternative che non a esaminare gli eventi che effettivamente stanno avendo luogo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Anche il mio desiderio è congenito, esiste da quand'ero bambina. Ma indirizzarsi verso alcune letture piuttosto che altre può orientale stile e atteggiamento di uno scrittore. :)

      Elimina
  10. Grazie della menzione per il tentativo di individuare il "non ve lo dico"!

    Non solo le mie letture hanno influenzato moltissimo la maniera in cui scrivo - come hai letto anche tu dall'elenco - ma addirittura hanno messo radici stabili. Alcune hanno proliferato alla grande, altre meno... però sono là. Penso che quello che si legge nell'infanzia o nell'adolescenza continuo ad avere un suo peso non indifferente anche nell'età adulta, in cui è difficilissimo avere delle autentiche folgorazioni (almeno per me).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono assolutamente d'accordo. Per le letture, valgono gli stessi principi che animano ogni altra esperienza nella vita. Ciò che si è vissuto e appreso prima dei trent'anni, volente o nolente, ci condiziona per sempre. :)

      Elimina
  11. Di certo Raymond Carver non solo ha influenzato ma rivoluzionato (o almeno, me lo auguro) il mio sguardo e, spero, la mia scrittura. Ma è stata una scoperta recente.
    Non credo che nella mia scrittura vi sia spiritualità, poi nel futuro, chissà. Se salterà fuori una storia che la richiede, bene...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io credo che la spiritualità non sia separata dalla persona. La concezione del mondo di una persona impegnata in una ricerca profonda può emergere anche nel thriller più sanguinoso. :)

      Elimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

La volontà di essere un Jolly

Appunti a Margine cambia casa

Freedom writers - il valore della scrittura di getto

La descrizione fisica dei personaggi

Letture che ispirano - La trilogia del male di Roberto Costantini

L'arco temporale di una storia: quando passano gli anni.

Con le mani nei capelli - manuali e guest-post

Sfida di scrittura - racconto di 1000 caratteri.

Liebster Award: un'occasione per conoscerci meglio.

Parolacce, gergo e regionalismi: usare con cautela.