Raccontare il tempo presente - la realtà dei "millennials".
Maggiore tecnologia vuol dire maggiore facilità di comunicare.
Ma anche maggiore falsità e minor privacy.
(Joel Shumacher)
Ritorna, dopo
qualche settimana, un articolo dedicato alla post-modernità. Ho infatti deciso
di parlare della mia generazione e di darvi qualche suggerimento per rappresentarla
senza incappare in anacronismi e contraddizioni.
Anche i
protagonisti del romanzo che sto scrivendo sono millennials. Inizialmente, il
mio intento era proprio quello di raccontare una storia corale e generazionale
ma, mentre procedevo con la stesura la situazione è cambiata. Quasi
involontariamente, mi sono ritrovata ad attribuire maggior attenzione ai
singoli personaggi e ai loro conflitti. La trama ha acquisito maggior vigore,
perdendo la patina leggermente didascalica che fino a quel momento l’aveva
contraddistinta. Ora mi piace molto di più, perché è focalizzata sugli eventi e
sulle emozioni. Ciò nonostante, ho bisogno di essere fedele al contesto per
garantire realismo e coerenza.
Qualche mese fa,
ho letto un romanzo in cui il protagonista, poco più che trentenne, era
amministratore delegato di una grande azienda. Niente di strano, vero? Aggiungo
qualche dettaglio: a Roma, nel 2012, senza un titolo di studio. Il signorino
aveva anche una casa di proprietà comprata con il proprio stipendio e senza
fare mutui. Ma quando mai? Ora come ora,
mi sembrerebbe strano anche leggere di un tizio che, subito dopo il diploma,
trova un contratto a tempo indeterminato senza passare per il famigerato stage
e senza aver bisogno di raccomandazioni. Nell’Italia della crisi, un caso del
genere sarebbe atipico. Dovrei giustificarne l’esistenza con motivazioni forti,
perché in narrativa un colpo di fortuna non è sufficiente. La verosimiglianza è
fondamentale, soprattutto quando si toccano temi vicini alla sensibilità del
lettore.
Io sono
sicuramente avvantaggiata, perché pressappoco coetanea dei miei protagonisti.
Se ci sono state delle letture sociologiche sui millennials, mi sono servite
soltanto a prendere consapevolezza di situazioni che già conoscevo e che vivo
quotidianamente. Pertanto, nella descrizione seguente, la documentazione avrà
lo stesso peso della mia esperienza diretta.
Partiamo
dall’ABC: chi
sono i millennials?
Questo termine identifica i nati fra l’inizio degli anni 80 e la prima metà degli anni 90. In poche parole, coloro che sono diventati maggiorenni a cavallo del cambio di millennio. C'è anche chi estende la categoria fino al 2001 e al crollo delle torri gemelle, ma si tratta di una ristretta cerchia di sociologi.
Questo termine identifica i nati fra l’inizio degli anni 80 e la prima metà degli anni 90. In poche parole, coloro che sono diventati maggiorenni a cavallo del cambio di millennio. C'è anche chi estende la categoria fino al 2001 e al crollo delle torri gemelle, ma si tratta di una ristretta cerchia di sociologi.
Tali individui,
oltre a presentare le caratteristiche comunemente associate agli individui
post-moderni (per un ripassino, guardate qui)
si differenziano dalle generazioni precedenti soprattutto per:
- L’uso quasi quotidiano
delle nuove tecnologie.
Difficile
trovare un trentenne senza un computer in casa. È quasi più probabile che non
ci sia la televisione. Ciascuno ha le proprie abitudini e i propri rituali: c’è
chi gioca a Meetin, chi scarica musica, chi frequenta i social network e chi
sedimenta su youtube o sul suo gemello a luci rosse. Sono consumi fortemente personalizzati, certo.
Ma sono anche consumi a cui nessuno di noi, volente o nolente, riesce a
sottrarsi, tant’è che uno degli altri appellativi affibbiatici dai sociologi è
quello di net-generation.
Anche i “miei
ragazzi” utilizzano la rete, ma cerco di evitare l’infodump di rendere ogni
dettaglio funzionale alla narrazione. Tutto ciò che decido di mostrare ha un
suo perché e mi aiuta a comunicare al lettore qualcosa in più sul personaggio.
Presentare il protagonista mentre scarica da emule il concerto che i Pink Floyd
hanno fatto a Berlino nel 1990 per la caduta del muro è diverso che mostrarlo
alle prese con i soldati di Call of Duty. Eppure sono entrambe pratiche facilmente comprensibili
al lettore: se usate bene, possono dire molto, offrire una panoramica completa.
-Un sostanziale
ritardo per i “passi importanti della vita”.
Questa cosa è
stata detta, ridetta, stradetta. È da anni che sentiamo parlare dei
“bamboccioni” e della sindrome di Peter Pan. Consiglio a tutti la visione di
Tanguy, divertentissimo film francese, in cui due genitori cercano in ogni modo
di buttare fuori casa il figlio ultratrentenne.
I miei coetanei
non si sposano, fanno figli intorno ai trentacinque anni, ritardano l’ingresso
nel mondo del lavoro. C’è chi ritiene che la causa sia una sostanziale pigrizia
perché rifiuta di guardare in faccia la realtà: viviamo in un mondo che ci ha
chiuso la porta in faccia e ci regoliamo di conseguenza.
Su questo punto,
il mio romanzo è un po’ in controtendenza: alcuni personaggi anticipano un po’
i tempi rispetto alla media; altri no, ma questo non è rilevante. Ogni scelta
ha una sua motivazione.
Qualche giorno
fa, mi sono imbattuta nel termine boomerang-generation, che mi ha consentito di
sciogliere un nodo narrativo su cui ero in dubbio: cosa farà tizio dopo che…?
È stato infatti
notato che diversi millennials vanno via di casa per un periodo di tempo che
può durare anche anni – ad esempio per studiare fuori sede – ma, una volta
terminata questa fase, tendono a tornare dai genitori. Abitudine e comodità
hanno la meglio sul bisogno di dipendenza. Si sceglie il risparmio. E la
compagnia. Tendenzialmente, molti miei coetanei temono la solitudine in quanto
cercano negli altri la stessa sicurezza che non trovano a livello sociale.
-Ricerca dell’equilibrio
fra libertà e sicurezza.
Negli anni ’80 alcune
indagini sociologiche spiegarono il grande successo della televisione: grazie a
questo medium, le persone avevano la
possibilità di conoscere nuovi mondi senza muovere un passo dal proprio
salotto. Potevano assistere alle più
grandi tragedie (pensiamo al caso di Vermicino, le cui riprese ebbero lo stesso
numero di spettatori della semifinale ai mondiali dell’82) ma non ne erano
colpite. Bastava premere un pulsante per allontanare l’immagine scomoda dalla
propria mente, andare a fare shopping o a bere una birra con gli amici. Si
concedevano la libertà di sottoporsi a qualunque stimolo, perché sapevano che
non ne sarebbero state turbate più di tanto. In questo modo, evadevano dalla
propria quotidianità ma, nello stesso tempo, rimanevano al sicuro.
Al giorno d’oggi,
con l’avvento di internet, la possibilità di armonizzare il bisogno di
sicurezza con quello di libertà si è amplificato. Prendiamo ad esempio le
amicizie virtuali. Perché nascono e durano mesi, a volte anni, senza che i due
interlocutori si incontrano? Semplice: la mancanza di contatto faccia a faccia
porta l’individuo ad esprimersi liberamente, ma lo schermo protegge dai rischi
a cui il contatto umano solitamente espone. Si chiacchiera di cose profonde, ma
non ci si mette in gioco. Non si muovono quelle energie che solitamente animano
l’amicizia nel mondo reale.
Sia chiaro: io sono
felicissima di conoscervi e ho una vita sociale intensa anche al di fuori dal
web, ma esistono miei coetanei che vivono in una realtà surrogata e si
trincerano dietro la propria incapacità di relazionarsi in modo sano con le
altre persone. Questo, a mio avviso, è molto triste.
-Atteggiamento
ambiguo nei confronti del “posto fisso”.
I millennials si
dividono in due categorie: i precari che vorrebbero un’occupazione stabile e i
dipendenti che se ne libererebbero volentieri per vivere di sogni.
Se i media
aiutano a mantenere l’equilibrio di cui sopra, la vita quotidiana lo impedisce.
Il mondo diventa o bianco o nero, senza esclusione di colpi. O si è liberi – e quindi
creativi, autonomi, privi di legami – oppure ci si sente schiavi di un sistema
che impone regole soffocanti e limitanti. Anche una relazione d’amore animata
da sentimenti autentici e positivi rischia di diventare una gabbia, se il
singolo rinuncia alla propria individualità per omologarsi al partner.
C’è chi, con un
atto di coraggio, riesce a rompere le proprie catene, ma c’è anche chi continua
a sognare qualcosa che non avrà mai, a percepire una profonda scissione fra l’essere
e il fare, fra ciò che vorrebbe e ciò che effettivamente ha. Il risultato è un’incontentabilità
generalizzata. Desideriamo più amore, più tempo libero, più denaro, ma non
abbiamo il coraggio di lottare per ottenerlo. Siamo viziati? Sì. Ma siamo anche
apatici e scoraggiati.
- Molteplicità degli stimoli culturali e sociali.
In rete troviamo tutto e il contrario di tutto, e questo impedisce al millennial medio di prendere posizioni nette. Secondo l'ISTAT, il 40% dei trentenni si interessa poco di politica ed è tendenzialmente agnostico. Un 20%, invece, ha posizioni estreme in almeno
uno di questi due settori.
La situazione è
la stessa anche se ci si stacca dai grandi temi. Molti miei coetanei, ad
esempio, non hanno un genere musicale preferito. Ascoltano un po’ tutto, a
seconda dell’umore del momento. Allo stesso modo, non esistono più le
subculture: ricordate i punk, i mod, gli hippy? Ecco: dimenticatevene.
La mia posizione
sull’argomento è un po’ particolare. Credo infatti che, nella macro-categoria
degli indecisi, esistano due gruppi distinti. Da un lato ci sono i qualunquisti,
vili camaleonti che assumono le sembianze del ramo su cui si appoggiano. Sull’altro
versante, invece, passeggiano quegli individui che autonomamente decidono di trasformare la
molteplicità degli stimoli in una fonte di ricchezza interiore. La curiosità e
l’apertura mentale possono portare il singolo a documentarsi, a informarsi, a
frequentare luoghi e culture diverse senza chiudersi in un’ottusità mediocre,
in un microcosmo provinciale nel quale possono entrare solo i propri simili.
Io sono così, e la
cosa non mi dispiace affatto. Se ho le idee molto chiare in ambito politico e religioso, la mia vita quotidiana è sfaccettata e varia. Posso cenare indistintamente nell’osteria “er
buco” e nel ristorante di lusso, senza mai sentirmi a disagio. Ho amici di
tutti i tipi e di tutte le età. Indosso indifferentemente tacchi a spillo e
felpe con il cappuccio. Sono me stessa e mi diverto un sacco. Fra i miei
personaggi, c’è chi mi somiglia e chi no. Il mio cast è variegato come la mia
anima!
Per concludere.
Avrei voluto
scrivere molte più cose sulla mia generazione e non escludo di tornare
prossimamente su questo argomento. Intanto chiedo ai miei coetanei (Tenar, Seme
Nero ecc.) se
si vedono in questa descrizione e agli amici più grandi come vivono tali
differenze. Cosa mi dite, invece, dei vostri personaggi? Avete mai
parlato dei millennials, nelle vostre storie?
Come mi è stato detto più volte "sono vecchia dentro" e quindi mi riconosco solo in parte in questa tua descrizione.
RispondiElimina– Uno quotidiano delle tecnologie, ok. Vecchia dentro sì, anacoreta però no.
– Ritardo per gli impegni importanti no. Appena tornata dall'università ho capito che l'indipendenza economica era indispensabile per uscire da casa dei miei, che è comoda, spaziosa, affettuosa e tutto quanto, ma, dopo l'università e il master fuori sede, non era più "mia". Ho conosciuto il mio attuale marito quando lui si stava sistemando l'appartamento e, appena questo è stato abitabile, ci siamo andati a vivere, con ancora le porte da montare. Qualche mese per organizzare la cosa e ci siamo sposati.
– libertà/sicurezza. Non saprei. La rete permette di conoscere ed entrare in contatto con persone e realtà lontane. Permette di tenere i contatti con amici lontani, ma non supplisce la "vita vera"
– Posto fisso. Se me dessero adesso firmerei subito. La creatività va benissimo, ma con la pancia piena esce anche meglio.
– Molteplicità degli stimoli sì, certo, ma nei miei coetanei che mi circondano non vedo questa mancanza di decisione, anzi. Ho amiche molto orientate dal punto di vista religioso (insegnanti di religione/catechiste...), con idee politiche molto chiare, con gusti assai definiti. Anch'io tendo a prendere decisioni precise su politica/temi etici etc. Per quanto riguarda l'ambito culturale sono meno onnivora di quanto mi piacerebbe, nel senso che vorrei dire "sì, conosco tutta la musica e mi piace tutta la buona musica" ma nei fatti ho preferenze molto precise (rock anni '70 e cantautori italiani) anche se cerco di non avere preclusioni aprioristiche.
Può darsi che il trentenne di provincia sia comunque diverso da quello di città e che parte delle differenze siano dovute anche a questo?
Mi hai fatto sorridere: "il mio attuale marito". Ma quanti ne hai avuti? :-D
EliminaLa differenza potrebbe sì essere legata alla dicotomia provincia/città, perché noto che nei paesi piccoli (ad esempio Novello, in Piemonte, dove ho la casa) i miei coetanei tendono a sposarsi molto presto, generalmente con il partner che hanno dalle medie. Non sono laureati, quindi anche i tempi lavorativi vengono anticipati, con tutte le conseguenze del caso.
Tuttavia, io credo che la discrepanza sia legata anche al fatto che, sebbene l'era dei "millennials" inizi convenzionalmente con i nati nel 1980, non possano esistere distinzioni nette. Noi siamo "i primi", e quindi in parte legati alle caratteristiche della generazione precedente. Cosa ne pensi?
Anche io sono uscita di casa molto presto per studiare e, dal 2000, ho trascorso solo un anno a casa di mia mamma, nell'attesa di decidere se stare a Milano o a Sanremo e cosa fare della mia vita. Non ne ho risentito, perché in fondo eravamo solo io e lei in 200 mq: riuscivamo a convivere senza pestarci i piedi a vicenda.
A trent'anni ho trovato il posto fisso e sono andata a convivere. Ora vorrei dei figli, ma Beppe è ancora precario. Purtroppo i ritardi sono dovuto all'ingresso nel mondo lavorativo. Se hai la botta di culo, puoi emanciparti, altrimenti no. Il mio fratellastro, classe 1987, lavora alle Generali, convive da anni e sta fissando la data del matrimonio. La sua fidanzata è del 1990 e anche lei lavora nell'agenzia immobiliare dei suoi. Alla fine tutto dipende dai soldi. è triste ma è così.
P.S. Per quel che riguarda politica e religione anche io ho idee precise, però non sono schierata. Non credo che gli attuali politicanti possano fare il bene del paese e attendo che arrivi qualcuno in grado di cambiare le cose. Inizialmente mi piacevano i cinque stelle, ora penso che siano solo dei burattini nelle mani di un folle.
EliminaPer quel che riguarda la fede, sono spirituale ma non religiosa. Penso che le grandi confessioni partano dagli stessi presupposti e che le differenze siano legate alla volontà degli uomini.
Un solo marito, per carità, basta e avanza!
EliminaIl 1978 vale come proto - millennial? Se si, allora mi posiziono vicino a Tenar: tecnologie si, ritardo impegni importanti no (ho avuto la fortuna di inciampare in moglie, lavoro fisso e figlioli entro i 35). E anche sulla molteplicità e sulla decisione delle idee e convinzioni, sono d'accordo con lei: la nostra generazone sa anche esprimere forti convinzioni, grandi ideali e certezze. A volte può essere comodo convincere del contrario!
RispondiEliminaLa nostra generazione sa esprimere forti convinzioni, ma secondo me ha difficoltà a concretizzarle. Spesso il nostro disappunto si trasforma in polemica da bar. Nessuno ha ancora avuto il coraggio di assaltare il parlamento, eppure credo che a nessuno piaccia il modo in cui questo paese è gestito dai potenti. :)
EliminaIo sono del '77. Non credo di rientrare nei millennial, piuttosto nella generazione che ha visto nascere questo mondo. Quelli come me sono nati fra due generazioni completamente distinte: i fratelli più grandi (il mio ad esempio, di dieci anni più vecchio di me) che arrivano da un mondo simile ai vecchi film di Verdone; e voi, la generazione che è già nata con il cellulare in mano e il computer in casa. Noi invece, quelli di mezzo, ci siamo conquistati tutto quello che abbiamo. Abbiamo dovuto lottare per farci capire da chi era arrivato prima e già non si riconosceva più in un mondo che aveva iniziato a correre e a essere globalizzato. Comprare e installare il primo pc (un computer anteguerra, 386 per intenderci) è stata un'emozione. Perfino pigiare il tasto di accensione non era una cosa così scontata. Ad ogni modo, vorrei far notare che quando si generalizza si finisce per ignorare tutte quelle differenze, quelle scale di grigio presenti fra i due estremi bianco e nero, che però esistono.
RispondiEliminaOvviamente le teorie sociologiche servono per inquadrare una tendenza, senza entrare nel merito delle specifiche situazioni. Il concetto di "millennials" è molto ampio, ma anche io noto enormi differenze anche solo fra il modo in cui sono cresciuta io e il modo in cui è cresciuto il mio compagno, che ha sette anni in meno di me.
EliminaIn ogni caso, io sono del 1981, non del 1991! :-D
Ho avuto il cellulare come regalo dei 18 anni, e mi sembrava una cosa fighissima. Avevo un pc che somigliava ad uno scatolone e, nei primi anni che ho trascorso a Milano, ero senza internet a casa. Mi collegavo dal "point" della mondadori. Certo, ho anticipato di qualche anno rispetto a te, ma non sono poi cresciuta in modo così diverso... :)
Sono millenial fino all'osso... anche se il calendario mi taglia fuori di qualche anno.
RispondiEliminaMi piace molto il tuo modo di descrivere le differenze tra i camaleonti e i... free spirit? Possiamo chiamarli così?
Tanguy lo ricordo con piacere, è davvero un bel film.
Scusa l'ignoranza, ma non ho capito cosa sarebbe il gemello a luci rossi?
Free spirit, bello! Io mi sento proprio così. Evanescente, molteplice, plasmabile. E ti dirò di più: non mi sento molto tollerante nei confronti di certi coetanei sanremaschi che, non avendo mai guardato oltre il tabacchi all'angolo, vivono chiusi nella propria cerchia e nelle proprie convinzioni stitiche. Sia vivere a Milano sia scrivere mi hanno aperto la mente. Non riuscirei a resistere se frequentassi sempre le solite tre o quattro persone e non mi muovessi mai dalla mia città.
EliminaP.S. Youtube ha anche una versione pornografica, a quanto ne so...
Non scrivere questi termini che poi i motori di ricerca ti collegano a parole chiave sbagliate :D
EliminaNon potevo spiegarlo in altro modo! :D
EliminaAllora mi hanno inquadrato da qualche parte! Pensavo che alla net generation appartenessero solo i nati dopo il '90. Comunque, pur con diverse sfaccettature, direi che mi ci ritrovo.
RispondiEliminaTra computer e cellulari di sicuro la tecnologia fa parte del mio quotidiano. A volte credo di essere un nerd mancato, poi ripenso agli anni persi sui libri universitari e mi dico che dopotutto il livello di utente medio mi sta benissimo. E qui mi ricollego al ritardo sui passi importanti: di sicuro non è una condizione voluta, ma un misto tra vivere in un ambiente provinciale con scarsi stimoli e prospettive, e una mia iniziale apatia e difficoltà a trovare un'identità. Ma nonostante tutto a maggio taglierò il traguardo dei 33 con un posto fisso (per quanto non sia un gran lavoro), sposato da 3 anni e con una bimba di pochi mesi. E senza nessuna voglia di tornare dai miei.
A vedermi bollato come bamboccione o viziato non ci sto. Se per avere la mia indipendenza sono dovuto scendere a compromessi e accettare l'aiuto di genitori e suoceri (dico sempre che in giardino c'è una lapide con inciso "qui giace l'orgoglio di Paolo") è anche vero che mi faccio, scusate il francesismo, un culo così per dire di essermi meritato l'aiuto e per ricambiare.
Anche se mi piacerebbe non posso concedermi di vivere di sogni, ma anche per questo ho trovato un compromesso: scrivo! :) Se poi avrò la fortuna di farne un lavoro, ben venga.
La mia situazione non è poi tanto diversa dalla tua.
EliminaCome accennavo qualche commento addietro, io ho avuto il posto fisso a trent'anni e solo allora sono andata a convivere. Per comprare i mobili (questo lo scrivo ora) sono stata aiutata da mia mamma, mentre i miei suoceri non hanno voluto muovere un dito. Appartengono ad una generazione diversa, tale per cui se uno decide di fare una cosa deve assumersene la responsabilità e arrangiarsi. Io non ragiono così: credo che un genitore abbia il compito di aiutare i figli ad avere una stabilità. Io credo che farò la stessa cosa.
Io penso di essere un po' viziata. Non ne faccio un vanto e non "me la tiro" per questo: al contrario, provo gratitudine nei confronti dei miei genitori che non mi hanno mai fatto mancare nulla, e mi hanno aiutata nel periodo in cui non lavoravo. Nonostante ciò, comunque, ho studiato, mi sono laureata, non sono diventata una drogata o un'alcoolizzata come tanti miei coetanei che non si sono mai sentiti dire di "no", e sono cresciuti nella convinzione che tutto gli sia dovuto. :)
Spero di non aver dato l'impressione di avere una scarsa considerazione per chi accetta l'aiuto dei genitori, non era assolutamente la mia intenzione! È un fatto di orgoglio personale! Essere viziati, per come lo intendo io, è come hai detto tu credere che qualsiasi cosa sia dovuta senza doversi sbattere per averla, e non mi sembra il tuo caso :)
EliminaTranquillo, non ho mai pensato una cosa del genere. Stavo solo riflettendo sulla mia situazione! :)
EliminaChe bell'argomento: vorrei dire tante cose! Ormai quotidianamente mi incollo al divano per raccontare ai miei figli di "com'era ai miei tempi", solo per sottolineare le differenze e non per convincerli della bontà di quella lontana e superata epoca storica. Io sono figlia degli anni '80: nell''82 frequentavo il liceo, sono passata da tutte le mode, paninari compresi! E poi sono approdata all'era del dark (che mi ha forgiato, eh!): ero fan sfegatata dei Cure e ballavo al ritmo dei mitici Pixies. E la cosa fantastica è che tutt'ora chi mi conosce si stupisce di certe mie appartenenze a generi musicali che non ho più ritrovato negli anni! All'università ho partecipato attivamente al Movimento studentesco della "Pantera", di rivolta contro la Legge Ruperti (la mia facoltà, giurisprudenza, a Palermo, era in prima linea). Sono convinta che gli ideali di allora abbiano avuto una matrice diversa rispetto a quelli su cui si stanno formando le nuove generazioni. I trentenni di adesso sono più allo sbando, in cerca di certezze che nessuno più è in grado di garantire. Rimangono attaccati alla gonna della mamma perché hanno paura, per noi il futuro era un'incognita da vivere responsabilmente, il matrimonio dopo il posto di lavoro, la casa fortemente voluta, come l'indipendenza. Adesso, neanche le unioni sono garanzia di stabilità!
RispondiEliminaLa tecnologia mi vede ancora arrancare su molti aspetti, ma in questo ho il mio fido aiuto: il mio secondogenito, che a soli 11 anni, è in grado di spiegarmi funzionamento e struttura di ogni dispositivo multimediale.
Se penso che ho battuto la mia tesi di laurea con una mitica "Olivetti", ormai pezzo storico da collezione!
Io nel 1982 avevo un anno... :D
EliminaQuindi sì, direi che le generazione sono proprio diverse.
In generale, i tempi si sono allungati, per qualunque cosa.
Ho pochissimi coetanei con figli, ad esempio. Eppure, ai tempi dei miei genitori (e forse anche i tuoi) quelli della mia età ne avevano già almeno un paio. Del resto, non ci si deve sorprendere. Quelli che, dalla loro poltrona, ci chiamano bamboccioni, sono gli stessi che hanno tagliato ogni risorsa. Chi ha inventato lo stage non retribuito dovrebbe essere fustigato...
...alla tua età io avevo già tutti e due i miei figli! :D
EliminaDevo dire che è la prima volta in assoluto che incontro il termine "millennials".
RispondiEliminaIo appartengo a una generazione più antica, ma i tre protagonisti principali della mia blog novel ricadono nella categoria che descrivi visto che sono nati tra il 1984 e il 1986. Credo siano tutti abbastanza nella norma e certo nessuno di loro è dirigente di azienda. Luisa è disoccupata, Giulia è cassiera di supermercato, Fabrizio si guadagna da vivere dipingendo falsi d'autore (tutto legale) e sta realizzando un mazzo di tarocchi con ambizioni di pubblicazione presso le Edizioni Scarabeo. Alessandra non la considero perché non è propriamente umana...
Ho un bel po'di puntate da recuperare, ma la tua rappresentazione sembra realistica. E mi affascina l'atmosfera postmoderna che intravedo fra le righe. Lo leggerò volentieri :)
EliminaIo non appartengo in senso stretto ai millennials (sono ultraquarantenne) però ho vissuto questi stessi passaggi, sia pure in una fase più avanzata della mia vita.
RispondiEliminaI personaggi di alcuni miei racconti hanno comunque le caratteristiche dei millennials. In particolare i due romanzo brevi che costituiscono la "Bilogia del Bicentenario", essendo ambientati nel biennio 2060 / 2061 esasperano certi aspetti del presente in un futuro dove certi atteggiamenti sono ancora più marcati.
Io credo che nel 2060 i millennials avranno lasciato spazio ad almeno altre due generazioni. Ma la fantascienza ha un senso proprio nella verosimiglianza di mondi incredibili, quindi sono molto curiosa al riguardo! :)
EliminaArgomento complesso.
RispondiEliminaOvviamente non sono una millenial, in quanto sono nata nel 1963, però sono stata testimone della nascita della tecnologia quando era "in fasce". In ufficio il mio primo computer era un Rank Xerox, ed oggi sarebbe considerato una specie di mostro per quanto era grande e soprattutto un incubo nell'uso. Poi sono passata ai fantastici Olivetti con schermo nero e caratteri verdolini, hardware montato su un braccio movibile, sembrava di essere stati catapultati in un film di fantascienza. La vera svolta è avvenuta però con le prime timide mail nella seconda casa editrice dove ho lavorato. Da lì è stato un crescendo fino agli attuali social networks, usati anche dai nostri politici per motivi di propaganda.
Per quanto mi riguarda, penso di avere un rapporto equilibrato con le tecnologie, nel senso che cerco di non farmene inghiottire: sono delle sirene molto utili e affascinanti, ma vanno prese a piccole dosi perché sono mangia-tempo. Sono convinta che ad esempio i social network siano dei ottimi "rilanciatori" di contenuti, ma non costituiscano un luogo dove si abbiano scambi realmente profondi. Io ho solo Facebook (e Google+ e Pininterest che non guardo mai perché li trovo caotici), e mi basta e avanza. Non lo demonizzo, ma lo considero più come una piazza cittadina dove ogni tanto ci si incontra e si chiacchiera in modo simpatico. Gli scambi veri si possono avere sui blog, per email oppure meglio ancora di persona se si riesce. Magari sbaglio, ma la penso così.
Ho invece un figlio nato nel 1995, che ha un rapporto ancora diverso con le tecnologie. Lui è un video-gioco dipendente, e anche uno Youtube dipendente, e non parliamo di smartphone e what's up vari, ma ad esempio si rifiuta di avere Facebook perché è un introverso, e, testuali parole, "non voglio mettere in piazza le cose mie".
A livello letterario, non posso portarti esempi perché tutti i miei romanzi si situano nel passato. :-)
Io ricordo, quando ero alle medie, la programmazione in basic. Ora mi sembra quasi preistoria! E la prima volta che ho sentito parlare di email è stato nell'estate del 1999, quando sono andata negli Stati Uniti, e per i miei coetanei era già uno strumento quotidiano. Non avendo ancora internet a casa un po' me ne fregavo.
EliminaIo sono iscritta a diversi social, ma non riesco a seguirli perché non ho tempo. Su google + e twitter praticamente condivido soltanto gli articoli del blog, mentre istagram è usato prevalentemente per sistemare le fotografie. Facebook è quello su cui bazzico di più, anche se ho una privacy strettissima nemmeno fossi la CIA. Ho diversi contatti (che mi servono per dare visibilità al blog) ma gli unici che possono vedere tutto, comprese le foto e i miei "sfoghi" sono quelli con la stelletta: parenti, amici stretti e "scrittori" (tu, Maria Teresa, ecc). Conoscenti e (soprattutto) colleghi vedono solo le stupidaggini. What's up l'ho sempre avuto, ma lo uso frequentemente solo da luglio, quando ho preso lo smartphone android. Sul sistema operativo windows, che avevo prima, funzionava malissimo. :-)
Millennians, questa parola non la conoscevo. E così sono loro i protagonisti del tuo romanzo... Mi fai venire in mente Dickens, che scriveva della Londra del suo tempo. Impresa non facile scrivere del tempo che si vive. Lo vedi da dentro, ma devi essere capace di vederlo anche da fuori. Da dentro penso sia difficile ma non impossibile, da fuori è tutta un'altra storia. Non puoi farti trascinare dalla corrente, devi metterci qualcosa che nessuno ha ancora codificato del tuo tempo. Fare la sociologa-psicologa-scrittrice.
RispondiEliminaPsicologia e sociologia sono due miei grandi interessi fin dai tempi dell'università. É inevitabile che si ripercuotano su quanto scrivo. In fondo non possiamo diventare improvvisamente avulsi da ciò che sappiamo e che abbiamo studiato. Certe conoscenze entrano quasi nel DNA :)
EliminaIl cambio di millennio c'è stato nel 2001, infatti. O almeno dipende da cosa vuoi dire. No, il cambio di secolo è nel 2001, quando è iniziato il XXI.
RispondiEliminaCredo che quanto dici non sia proprio di questi millennials - a dirla tutta non influisce su nulla il giorno in cui compi la maturità - ma di molte generazioni. Dipende da come vivi, da come ti sono andate le cose, insomma credo ci siano molti fattori che entrano in gioco.
Io sono comunque nato prima della conquista della Luna, ma dopo la bomba atomica. Sono un centennial, insomma :D
I sociologi, nel portare avanti le proprie indagini, si basano su un campione più o meno ampio di popolazione. Si generalizza, certo. Si indicano delle tendenze, ma non si può avere una pretesa di universalità, perché ogni categoria presenta degli outsider.
EliminaQuanto al nome che è stato dato alla mia generazione, credo sia una convenzione. Inizialmente era stato usato il termine "generazione y" in contrapposizione alla "generazione x" di Salvatore, poi si è scelto di scegliere un appellativo più specifico, ed è nato il concetto di "millennials".
Sono un millenials ed è così figo come appellativo che... va be', sempre meglio della Generazione X, no?
RispondiEliminaComunque, sì, ne ho parlato. E sì, mi rispecchio parecchio in questo scenario (e la cosa mi inquieta abbastanza). Ho parlato però di personaggi in fuga, di adolescenti in cerca d'identità e di una strada, di una via d'uscita. In genere però, preferisco o scrivere in epoche antiche (medioevo/rinascimento o direttamente un balzo nella modernità), altrimenti, dopo il 1900, ho il chiodo fisso per gli Anni '60-'70. Con il Punk, per me è morto un po' tutto, per questo credo che scrivere di questi anni e dei loro problemi mi faccia sentire, in un certo senso, più viva, rispetto alla mia apatica generazione di disperati incerti. Mi piaceva la forza dei valori e la lotta per gli ideali di quegli anni. E, in ogni caso, di ogni periodo storico di cui ho scritto. Forse è questo che mi frega: sono troppo idealista!
I punk sono considerati dalla sociologia l'ultima vera "tribù di stile" avente un valore culturale forte. Prima di loro, i mod, gli hippies. Quasi contemporanei, i dark. Dopo, il nulla: la moda ha mercificato la cultura creando quello che è definito "il supermarket degli stili", ovvero un insieme di tendenze completamente deprivato del proprio valore culturale originario. Quindi non sbagli quando dici che con il punk è morto tutto. E mi piace la definizione "disperati incerti" che dai della nostra generazione. Mi ci rivedo pienamente! :)
RispondiEliminaA chi lo dici!
EliminaContinuo a vacillare nel limbo del "e ora che faccio" anche se sto facendo chiarezza.
A volte, questa situazione di incertezze, è destabilizzante ma occorre prendere il timone e tenere in rotta la nave.
Questo articolo è davvero bellissimo, sai? (^^)