Il Jolly e la consapevolezza verbale



Le parole si parlano, i silenzi si toccano.
(Fabrizio Caramagna)

Scrivevo, in tempi non sospetti, nell’ articolo “La parola è energia”:
Ogni parola che pronunciamo crea un collegamento fra diversi piani vibrazionali. Il livello più alto (il pensiero) si unisce a quello più basso (la realtà fisica) generando energia. Ogni volta che parliamo o scriviamo, i nostri pensieri si manifestano sotto forma di onde sonore o di altre risonanze. Pertanto, possono avere l’effetto di un bacio o di un pugno su chi le riceve: tutto dipende dall’ intenzione, ovvero dall’emozione che ne è alla base.
Tutto questo, però, i nani non lo sanno.
Dispensano vocaboli a caso, senza rendersi conto dell’effetto energetico che producono su chi legge o ascolta.
Si muovono nel territorio sicuro delle proprie convinzioni limitanti.
Nutrono il proprio mentale con verità sempliciotte e facili qualunquismi.
Sfogano, nell’arena virtuale dei social network le pulsioni che la gassosa purpurea non è riuscita a domare.
Si indignano: questo è il verbo che spalanca le porte del loro limitato universo.
Ma il Jolly non crede a tutto ciò.
È sensibile alle parole, lui. È consapevole che sono fatte di materia, proprio come la realtà fisica.
Riconosce la carica emotiva presente in una notizia bufala e nei commenti che spesso la accompagnano.
Riconosce i romanzi scritti da autori spaventati, o troppo obbedienti per far sentire la propria voce.
Cerca, quindi, di trascendere i più diffusi luoghi comuni sull’utilizzo del linguaggio.
Cerca di aiutare gli altri a rendersi consapevoli dell’energia che impregna i loro testi.
Perché ama leggere parole vibranti di vita. E si sente felice quando il talento altrui è adeguatamente valorizzato.
Di seguito, due esempi di energia verbale male utilizzata.
Il primo, fa riferimento a un modello comunicativo sbagliato cui i nani sono ormai assuefatti.
Il secondo, a una delle tante convinzioni limitanti che possono compromettere la resa narrativa di un testo.

QUANDO QUALCUNO VORREBBE COMBATTERE IL MALE, MA LO ALIMENTA
Ogni volta che c’è qualche episodio di cronaca nera, i nani del web si scatenano.
Qualche giorno fa, in Liguria, si è verificato un brutto omicidio.
Omicidio; non femminicidio: questa parola mi fa inorridire, e Word la segna in rosso.
Un ventenne ha ucciso l’ex fidanzata per gelosia. Rinchiuso nel carcere di Imperia, dopo un interrogatorio fiume, si è avvalso della facoltà di non rispondere. La notizia, considerata la vicinanza geografica ai luoghi dell’accaduto, è stata pubblicata e discussa sui gruppi cittadini. Cito qualche commento spizzicato qua e là:
-Ti farei parlare a forza di calci in bocca.
-Dovrebbero impiccarlo in piazza.
-ecco zitto, brutta merda, che sei indifendibile.
Non posso, adesso, andare a recuperare i commenti relativi al caso di pedofilia verificatosi di recente proprio qui, a cento metri da dove mi trovo adesso: quelli citati sopra, al confronto, sono scherni tra innamorati…
Sapete cosa penso io di espressioni del genere? Sapete quale messaggio mi arriva?
Non vedo un’esortazione alla pace tra i popoli, ve lo assicuro. E nemmeno solidarietà nei confronti delle vittime.
I nani credono di poter eliminare la violenza con altra violenza, ma si illudono.
Il dileggio è l’insulto è per loro una forma di dissenso, lo strumento con cui dimostrano al mondo di essere persone per bene: “mica come quelli lì, che stuprano e uccidono. Dovrebbero bruciarli tutti nei forni! Vergogniaaaa!11”
Mah… Io, vergogna, lo dico a loro. Anche con la i, se vogliono: magari è più facile da capire.
Secondo me, abbandonarsi a espressioni aggressive non serve a prendere le distanze da certi crimini. E non c’è nulla di nobile nel dare voce ai propri istinti più bassi. Ritengo al contrario che, in questo modo, gli impulsi violenti alla base degli episodi condannati con tanta solerzia vengano rinforzati e potenziati.
Guai, però, a farlo notare: “E cosa dovrei dirgli? Bravo?!”, risponde il nano.
Potresti stare zitto, magari.
Aiutare chi subisce violenza: servirebbe più che aggredire chi la compie.
Oppure. andare a fare un po’ di volontariato nei centri per donne o minori abusati.
Invece no: loro, inconsapevoli dell’energia presente nelle proprie parole, diventano pentole a pressione cariche di negatività. Abbassano la vibrazione di chi ha a che fare con loro, mentre gli assassini rimangono immuni.
QUANDO QUALCUNO VORREBBE SEMBRARE COLTO, MA DIVENTA PACCHIANO

Nella mia città c’è un tale che indossa sempre una palandrana beige lunga fino ai piedi, un completo gessato, la cravatta di seta e la bombetta in tinta. Ha i baffi lunghi e affusolati, “pettinati” all’insù. Porta sempre con sé una valigia in pelle e un bastone da passeggio con punta e pomo in acciaio. È una via di mezzo tra Charlie Chaplin e Gomez Addams. Però non è anziano: sulla quarantina, più o meno. Su di lui mi hanno raccontato una storia strana. Pare che abbia giurato al nonno, sul letto di morte, che si sarebbe sempre vestito elegante. Senza mai un pelo fuori posto, senza sbavature.
L’hanno visto così anche in spiaggia. Tutto sudato, sotto il sole: poraccio!
La sua scelta è rispettabilissima, ma molto soggettiva. Ognuno, in fondo, ha la propria idea di eleganza.
Per me, essere eleganti significa due cose:
- non presentare alcun dettaglio stonato;
- essere adeguati al contesto.
Questo principio vale per il mio abbigliamento quotidiano, così come per il mio linguaggio, scritto e orale.
Molti autori, tuttavia, confondono la raffinatezza stilistica con la scelta di un eloquio forbito, affettato. Letterario, nel senso classico del termine. Anacronistico, come i baffi e la bombetta di Charlie-Gomez.
Del resto il senso comune associa il linguaggio volgare al popolino. Alle classi inferiori.
Ma non ci sono forse tante parolacce, nella Divina Commedia? Non c’è il diavoletto Barbariccia che “col cul fece trombetta”? E i poeti latini? Marziale? L’ “inno al corpo sciolto” di Roberto Benigni, ormai diventato un cult?

Ci sono fior d’autori che utilizzano vocaboli scurrili, se il contesto narrativo lo richiede, ma la qualità degli scritti da loro prodotti non risulta compromessa da tale scelta. Al contrario, spesso il loro è considerato un linguaggio raffinato.Curato, quindi. Opportuno. Studiato nel dettaglio e adatto alla realtà che intendono descrivere. Inoltre, nessuno si permetterebbe mai di mettere in discussione le loro competenze e conoscenze letterarie, perché la cultura, in un autore, si esprime al di fuori di qualunque snobismo. Non è ingessata ma sanguigna, sempre capace di intercettare la sensibilità del lettore e generare empatia.

In sintesi: è tua intenzione mandare un commissario alcolizzato (stile Harry Hole di Nesbo) sulle tracce di un serial killer? Okay. Considera, però, che prima o poi un “vaffanculo” gli potrebbe scappare.
Vuoi fargli dire: “orsù, egregio assassino, mi consenta di ammanettarla e gentilmente condurla in Questura”? 
Accomodati. Ma poi assumiti la responsabilità delle tue scelte e non stupirti se il lettore ride sotto i baffi.
Sii sempre consapevole di ciò che scrivi e del perché lo scrivi.
Noi lettori comprendiamo che, a uno scrittore, le parolacce possano anche non piacere.
Può darsi che tu, quando vai a bere uno spritz, parli come un luminare di filosofia antica: ottimo.
Vorrà dire che deciderai di raccontare una storia coerente con le tue naturali tendenze espressive.
Non puoi però avere la botte piena e la moglie ubriaca. Mai.
E non puoi fregare il Jolly.
Se c’è una forzatura, una paura, un flebile barlume di mentale, un lettore sensibile se ne accorge.
E capita spesso. Molto più spesso di quanto tu possa immaginare.
La maggior parte delle volte, la difesa di un’artificiosa formalità è una semplice scusa.
Un’autocensura, imposta dal timore di apparire sboccato o volgare.
Fatti un esame di coscienza, quindi. E decidi se essere libero o essere conforme.
QUANDO QUALCUNO VORREBBE ESSERE IMPECCABILE, MA DIVENTA NOIOSO
[…]
Questa riflessione è molto più lunga e complessa delle precedenti, e io ho già superato le 2500 parole.
Quindi, la analizzerò in un post a parte. Probabilmente, sarà pubblicato già giovedì prossimo.
Per concludere, mi preme sottolineare una cosa: questi post, così come quelli della serie #imieiprimipensieri, sono piccole tappe di un percorso individuale che vuole portarmi a un nuovo modo di scrivere e, soprattutto, a un nuovo modo di editare i testi altrui. La mia capacità di leggere oltre le righe e comprendere i blocchi psicologici degli autori mi ha consentito, in passato, non solo di scovare errori e refusi ma anche di aiutare le persone a far luce sulle convinzioni limitanti che impedivano loro di scrivere testi efficaci. Mi offro quindi volontaria per una “lettura psicologica” dei vostri scritti: mandatemi qualcosa in privato, se vi va. Un racconto. Dieci righe. Un post scritto in modalità #imieiprimipensieri. O, meglio ancora, un post revisionato (da voi, non da un esterno) fino allo stremo perché vi faceva sentire insicuri.
Farò una piccola prova. Se ve la sentirete, dopo avervi mandato riscontro via e-mail, potrò poi pubblicare il post, anonimo o con nome visibile secondo vostra scelta. Diversamente, ci saremo solo divertiti un po’. E avremo scoperto qualcosa di nuovo su noi stessi.
Il lancio della patata bollente.
Quali sono i vostri “vorrei… ma”?
E quali “vorrei … ma” vedete in giro?

Qui, tutti gli altri post dedicati al Jolly.

Commenti

  1. Mi fanno sorridere sotto i baffi, che porto all'insù, quelli che definisco "i bavaglino" ossia chi si scrive addosso. E nel leggerli ho l'impressione di sentirli ripetere "oh come spno bravo oh come sono bravo." Lì mi scatta la viulenza. (Impeccabile Chiara, more solito.)

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    1. La scrittura che nasce dall'ego non porterà mai nulla di buono.
      Contenta che il post ti sia piaciuto. :-)

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  2. Parole sacrosante, Chiara. Mi premevano due considerazioni.

    La prima: di fronte a un atto di inusitata violenza anche io rimango sbigottito; ma il mio pensiero è capire le ragioni che hanno spinto la persona a compiere quell'atto. Al contrario, come ho scritto poco fa in un tuo vecchio post, all'italiano piace pontificare: la sua preoccupazione è quella quindi di giudicare e sparare sentenze.

    La seconda: condivido il discorso sull'eleganza. Un uomo in giacca e cravatta sarà sempre un pesce fuor d'acqua su una spiaggia, rispetto a un bagnante con indosso un solo capo d'abbigliamento, un costume magari sgargiante. Così espressioni "popolari" o addirittura volgari, nel loro contesto, hanno la loro efficacia.

    Io faccio sempre esempi musicali. De Andrè canta in "Carlo Martello torna dalla battaglia di Poiters": "E' mai possibile, porco d'un cane, che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane!". Oppure ne "Il giudice": "batte la lingua sul tamburo fino a dire che un nano è una carogna di sicuro perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo". Le due canzoni non avrebbero la stessa efficacia senza questi azzeccatissimi versi.

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    1. Approfitto del tuo commento per scrivere una cosa che avrei voluto riportare nel post, ma che avrebbe allungato troppo il brodo.

      Penso che la scolarizzazione della cultura abbia avuto un ruolo fondamentale nel demonizzare la parolaccia. Gli insegnanti non hanno solo il compito di insegnare la letteratura, ma anche di educare, di insegnare un linguaggio forbito. Questo ha portato, inevitabilmente, a scegliere una finezza forzata e a distinguere, in modo anacronistico, il bene dal male: il secchione della mia classe del liceo, quando leggeva Marziale, saltava le parolacce...

      Per quel che riguarda la musica, penso che le tue citazioni siano azzeccate. Mi viene in mente anche "vaffanculo", di Marco Masini: fece scandalo ai tempi, ma io non l'ho mai considerata volgare. Esprime rabbia e disperazione, è questo il suo scopo.

      Tempo fa, avevo scritto un post sulla censura. Penso possa interessarti, perché è uno dei pochi, trattati qui sul blog, in cui parlo di musica in modo un po' più esplicito: http://appuntiamargine.blogspot.it/2016/11/storytelling-fraintendimenti-e-censura.html

      Ho visto anche il tuo commento al post sulla disinformazione.
      Appena ho finito di rispondere qui, lo farò di là. :-)

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  3. Si è mangiato il commento! Cattivo!
    Dicevo che stimo il tipo con i baffi, per me è un jolly. Invece concordo con il resto ed ho il terrore di chi semina violenza dimenticandosi che la parola è azione.

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    1. Ora vedo con chiarezza il punto esclamativo! :-D
      Anche per me il tipo con i baffi è un Jolly: se ne strafotte del giudizio altrui, e si gode serenamente la propria bombetta.
      Ho voluto però prendere spunto da lui per riflettere sul significato dell'eleganza e ricollegarmi alla pomposità di certi scrittori. :-)

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  4. Conosco anche io il tipo elegante che descrivi, originale e impeccabile sempre educato e quasi assurdo in alcune situazioni ma mai quanti altri alla moda davvero orripilanti, maleducati e ...Convengo sulla forma pensiero delle parole e come al solito amo il jolly e quello che scrive.

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    1. Io invece non lo conosco personalmente, ma lo vedo in giro da anni. Molto probabilmente lavora dalle mie parti. Vero, però, che fa una figura migliore rispetto ad altri personaggi.
      Sono contenta che l'articolo ti sia piaciuto. :-)

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    2. i tuoi articoli sono sempre profondi e ben scritti, non passano mai inosservati!

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    3. Dobbiamo ancora prenderci quel famoso caffè. :)

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    4. diventerà un tè freddo andando nella bella stagione e prima o poi...

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  5. Anche a me è capitato di leggere un libro che aveva il problema dello stile. Era una sorta di apocalisse zombie con tanta azione e personaggi "duri" che però usavano anche termini più adatti a un libro di Jane Austen. Il peggio però non era l'uso di termini ricercati, ma il continuo oscillare dello stile da un livello basso, "popolare", a uno elevato, da romanzo dell'ottocento. Uno dei motivi per cui ho smesso dopo poche pagine è proprio questa cura nulla dello stile.

    Nonostante questo, capisco che se si è inesperti è difficile avere uno stile che sia onesto e realistico al cento percento. Per esempio io fino a qualche tempo fa preferivo limitare al minimo le parolacce nelle mie storie, perché secondo alcuni danno fastidio al lettore. Però poi ho capito che se voglio scrivere una storia ambientata in un ambiente popolare non posso evitarle se non voglio che suoni artefatto. Un operaio o un piccolo criminale non possono parlare come gli avventori di un caffè filosofico, questo è poco ma sicuro. Quindi sono d'accordo con te al cento percento (su questo e anche sulla questione della violenza ;) ).

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    1. Se devo essere sincera, stando a quanto mi dici sul romanzo in questione, non mi pare che la cura dello stile fosse nulla, bensì finalizzata a ricreare un linguaggio stridente con l'ambientazione della storia. Magari, chissà, l'autore aveva riletto il libro dieci volte: spesso sono gli insicuri a "sbagliare" di più, perché a forza di maneggiare e rimaneggiare tendono a forzare lo stile.

      Lo stile onesto e realistico c'è quando ci si dimentica completamente del lettore che si ha di fronte, e quando le nostre emozioni assomigliano a ciò che scriviamo. Entrare fino in fondo nella storia dimenticandosi di ciò che c'è intorno è il modo migliore per scrivere qualcosa di valore. :-)

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  6. C'è secondo te un punto lì, nel mezzo, che permetta di essere allo stesso tempo liberi e conformi?
    Perché in fondo, nel mio scrivere, cerco questa "aurea mediocritas". :)
    Bella l'analisi dei tipi umani.

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    1. Forse ho sbagliato io: avrei dovuto scrivere conformista, anziché conforme. Perché, in fondo, conformi lo siamo tutti: nessuno di noi scrive bestemmie impronunciabili o inni allo stupro di gruppo...

      Secondo me quindi si è liberi e conformi quando la scrittura è rispettosa nei confronti degli altri, ma non ingessata dentro un autocompiacimento politically-correct. :-)

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    2. Ecco, mi fa piacere che anche tu sostenga che esiste quell'aurea mediocritas. :)

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    3. Sono una bilancia, e punto all'equilibrio. ;)

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  7. Per la prima riflessione che hai posto, io ti consiglierei di vedere Odio universale, l'ultimo episodio della terza stagione della serie Black Mirror. Sono certo che lo troveresti interessante.

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    1. Lo guarda mio marito e ogni volta mi racconta la puntata. È quello degli omicidi filmati con il telefonino? O quello dei like? Ormai conosco tutta la storia pur senza aver mai visto una puntata. :-D

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    2. No, quello era Orso bianco, nella seconda stagione. In questo episodio viene lanciato un hashtag dove chi ne riceve di più viene ucciso, cioè viene fatta una classifica dei più odiati in rete, scatenando il peggio delle persone, che si sentono in diritto di augurare la morte solo attraverso un clic. Una forte riflessione sul linciaggio virtuale e l'odio in rete.

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    3. Anche se la serie - stando ai racconti di Beppe - non mi affascina per nulla, credo che guarderò l'episodio da te citato, perché mi sembra perfettamente in linea con quanto espresso nel mio post. :-)

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  8. In questo mondo gira troppa violenza, oltre che fisica, anche verbale. Queste situazioni ci fanno capire il decadimento della nostra umanità, verso il baratro più profondo.
    Saluti a presto.

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    1. La violenza è voluta da questo sistema. Se l'ho già scritto da te, mi ripeto: un paese in cui il penultimo fa la guerra all'ultimo è il capolavoro delle classi dominanti...

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  9. Bella la nuova veste del blog!
    Sai che mi ritrovo molto nel tuo concetto di eleganza?
    Per tornare al post, penso che la violenza verbale sui social non faccia che alimentare l'odio, tanto più che sono affermazioni che, forse, non verrebbero mai fatte così apertamente in contesti diversi. Di fronte a certi omicidi inorridisco e mi indigno, ma vomitare insulti sui social non è una soluzione, serve ben altro, per esempio creare le condizioni effettive di poter applicare le leggi esistenti e che le vittime non diventino famose solo da morte, ma vengano protette prima.

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  10. Grazie! Sono contenta che ti piaccia, anche se c'è ancora qualche lavoretto da fare. Per il resto concordo pienamente con te. 😊

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