Conversando con Marina Guarneri - di musica e di scrittura


Comunque vada panta rei, and singing in the rain.
(Francesco Gabbani)

Ricorda di disobbedire;
ricorda che è vietato morire.
(Ermal Meta)

Io e la mia beta-reader, Marina Guarneri, ci conosciamo ormai da un paio d’anni. Anche se non ci siamo mai incontrate di persona, tra noi è nata una bella amicizia, che si concretizza ogni giorno in lunghissime conversazioni su Whatsapp. Recentemente abbiamo avuto un confronto sull’ultima edizione del Festival di Sanremo e sulle canzoni vincitrici. Da lì siamo passate a riflettere sul mondo dell’editoria e della discografia, nonché sulla nostra personale vocazione letteraria. 
È scaturita una discussione molto interessante, proseguita oggi telefonicamente, che ci ha viste, su alcuni argomenti, stranamente in disaccordo.  Ho quindi deciso di ripercorrere punto per punto questo dialogo, e di condividere con voi le mie riflessioni. Scusatemi se salterò di palo in frasca: non è facile mettere insieme tutti i temi affrontati, perché siamo donne, e parliamo tanto; troppo.  

ERMAL META E FRANCESCO GABBANI
Marina non ha molto gradito la canzone “Vietato morire” di Ermal Meta, terza classificata, perché sostiene che chi regge le fila del mercato abbia una predilezione per le tematiche forti, da lei considerate un po’ ruffiane per la facilità con cui incontrano i favori del pubblico.
Può anche darsi che la mia amica abbia ragione a proposito del potere che certi contenuti esercitano su chi ascolta: anch’io ritengo verosimile che, con un brano più leggero, l’artista potesse non essere selezionato nella rosa dei ventidue. Tuttavia, parlare di adulazione mi sembra esagerato. E, in generale, la performance mi è piaciuta molto. Innanzi tutto, la canzone non è stata buttata lì “tanto per”, ma fa riferimento a un vissuto personale di violenza domestica già narrato senza troppi clamori in un brano (bellissimo) del precedente album. In secondo luogo, Ermal Meta ha rappresentato un diversivo in mezzo a un coacervo di cliché triti e ritriti: è stato tra i pochi cantanti in gara a non ricordarmi il Vasco o l’Eros di turno. Infine il testo, proprio perché affronta un tema scomodo, è da ascoltare con attenzione, ci sono alcune metafore che vanno interpretate e comprese: non basta canticchiare la melodia per entrare nel pezzo. In particolare, due concetti mi hanno colpita fin dal primo ascolto, perché sono molto affini alla mia sensibilità artistica.
Io stessa li ho tirati spesso in ballo, nel romanzo e qui sul blog:
-l’idea di disobbedienza, associata ai miei personaggi e al Jolly (credo che ne parlerò di nuovo, in uno dei prossimi articoli);
-l’esortazione a “cambiare le proprie stelle” - ovvero a guarire dal virus del fatalismo per diventare padroni della propria vita – che rispecchia lo scopo dei miei studi di astrologia psicologica-evolutiva.
La canzone “Occidentali’s Karma” di Francesco Gabbani, per contro, un po’ ruffiana lo è. Ho sempre preferito la musica nuda e cruda allo show, a meno che sul palco non ci sia Freddie Mercury. Quando le sovrastrutture – dalla scimmia danzante al “rinforzino” nei pantaloni del cantante – mettono in secondo piano la canzone, è difficile comprendere i veri motivi della vittoria. Nonostante un sotto-testo significativo di cui si è parlato un po’ su tutti i lit-blog, l’impatto della performance potrebbe aver giocato la parte del leone. Anche in questo caso, tuttavia, ritengo che la vera ruffianeria sia altrove.
Datemi ancora un paio di capoversi, e ci arrivo…

IL RAPPORTO TRA AUTORE E OPERA
Ermal Meta e Francesco Gabbani rappresentano due stili musicali e, lo dico da donna, due esempi di mascolinità diametralmente agli antipodi. Sono diversi nel timbro vocale, nell’aspetto fisico, nel look e nel modo di rapportarsi con il palcoscenico. Però, uno con discrezione e l’altro con irruenza, sono riusciti a piacere al pubblico. Il fatto che siano non soltanto interpreti, ma anche autori (integralmente nel caso di Meta, parzialmente in quello di Gabbani) dei brani portati sul palco ha garantito una completa fusione tra tutti gli elementi della scena. Ascoltandoli, ho avuto la sensazione che nessun altro artista potesse essere lì al posto loro, con quella canzone, quei vestiti, quella scimmia. Provate a scambiarli: mettete Ermal Meta a fare “namastè, olè!” e Francesco Gabbani a raccontare la storia di un altro… non funziona, vero?
Ecco: questo, per me, è il motivo per cui hanno meritato il podio, insieme alla Mannoia.
Altri brani, invece, erano completamente scollati dal proprio interprete. 
Prendiamo come esempio “il diario degli errori” di Michele Bravi, quarto classificato. Il brano ha una lista di autori (tra cui l’ormai famoso “Sciopè” di Totti) che sembra la formazione di una squadra di calcio. Le parole funzionano, ma l’interprete no. Sia chiaro: Bravi è bravo, o almeno bravino. Secondo me, però, è troppo giovane per donare, a quella canzone, l’ intensità che le spetterebbe di diritto. Dietro il microfono sarebbe stato più opportuno un artista con vent’anni e molta esperienza in più, l’espressione triste e la voce segnata dal tempo: quali errori avrà mai fatto, Michele Bravi, con quel faccino lì? Ha rubato le Pringles in Autogrill, durante la gita scolastica? Insomma: io, questo diario, me lo immagino di tre paginette scarse…
Allo stesso modo, come non notare, nella canzone  di Bianca Atzei, il marchio di fabbrica di Checco Silvestre dei Modà? E come non riconoscere nel brano presentato da Valerio Scanu a Sanremo 2016 la firma di Fabrizio Moro? O sei così bravo da prendere un pezzo scritto da un altro artista e renderlo completamente tuo, come ha fatto la Grande Fiorella,  oppure l’ascoltatore percepisce una nota stonata.
Molti artisti, specialmente se usciti dai talent, sono burattini nelle mani delle case discografiche. Avendo già passato il test del gradimento attraverso il televoto, diventano investimenti sicuri. Nella maggior parte dei casi, però, si tratta di ragazzi troppo giovani, non ancora pronti per palcoscenici così importanti. Alcuni di loro (Emma Marrone, Marco Mengoni, Giusy Ferreri, Noemi ecc…) sono riusciti, con il tempo, a staccarsi di dosso l’etichetta di “Amico di Maria”, o di Morgan, o di Fedez e a sviluppare una professionalità autonoma. Altri, invece, sono destinati all’oblio. E di loro, fra dieci anni, rimarranno solo i soldi che hanno fatto guadagnare ai propri talent-scout. Questa, secondo me, è la vera ruffianeria musicale.
In letteratura, avviene qualcosa di molto simile.

RUFFIANERIE LETTERARIE
Ci sono scrittori che si divertono a scopiazzare questo o quel best-seller per intercettare un pubblico main-stream. Però, se io presto un vestito a mia sorella, si vede che non è suo, porca miseria!
Più volte mi è capitato di interagire con autori che fanno i conti della serva per capire quale tematica funzioni di più a livello editoriale. Alcuni di loro mi hanno sottoposto due o tre idee per poi domandarmi quale, secondo me, potesse avere una presa maggiore sul pubblico. In questi casi, la mia risposta è sempre la stessa: “tu cos’hai voglia di scrivere? Qualunque sia la storia che desideri raccontare, sappi che piacerà più di tutte le altre, soprattutto se dall’altra parte c’è un lettore attento, che riesce a cogliere le forzature nella trama, e nello stile.”
Già: lo stile. Altro argomento caldo.
Alcuni amici scrittori si tagliano le corde vocali. Scelgono parole che non sentono proprie perché pensano di avere uno stile troppo moderno, o troppo classico, o troppo gergale, o troppo aulico per arrivare a un pubblico ampio. Ovviamente fanno una fatica mostruosa a concludere l’opera a cui stanno lavorando,  perché snaturare le proprie tendenze espressive è come pretendere di camminare 10 km con delle scarpe di tre numeri più piccole, o più grandi: Il risultato, oltre alle vesciche, è un’inevitabile frustrazione.
Quindi, Marina ha ragione: la ruffianeria esiste, in musica come in letteratura, ma non c’entra nulla con la scelta di tematiche “importanti” o “tematiche lievi”. È ruffiano solo chi tradisce se stesso per chinare il capo sotto la pressione del marketing. E chi svende la dignità di un autore per accaparrarsi qualche euro in più.
Sono ruffiani gli autori, quando rinunciano a trasmettere la propria verità per intercettare i bisogni delle masse; quando tradiscono la propria sensibilità e scrivono, senza alcuna passione, ciò che va di moda; quando sacrificano la propria voce e si dimenticano che, al mondo, c’è posto per tutti, dall’autore di commedie romantiche al giallista, dal fantasy-addicted al polpettone di 800 pagine.
E sono ruffiane le case editrici quando impongono a un autore un genere o una trama distante dalla sua sensibilità per trasformarlo in un prodotto commerciale già rodato; quando fanno firmare il romanzo di uno sconosciuto a un divo dello spettacolo; quando impongono alla Rowling di presentarsi solo con le iniziali J.K. perché i lettori potrebbero non gradire un fantasy scritto da una donna.
Io osservo tutto questo con distacco, quasi con snobismo.
Sono morbosamente legata alla mia idea di letteratura, e la difendo a muso duro.

LA MIA VOCAZIONE
Quando qualcuno mi domanda qual è il mio ideale letterario, cito sempre il cantautore Omar Pedrini, che anni fa in un’intervista disse: “preferisco essere amatissimo da pochi che amato da molti”.
Quando scrivo testi per altre persone (guest-post, articoli, presentazioni di lavoro o altro) cerco di interpretare lo stile e le esigenze del committente, ma quando sono io a firmare il pezzo voglio scegliere tematiche che mi appartengono davvero. Poco importa se sono considerate di nicchia: non mi vedo  per nulla a scrivere un porno-soft con i vampiri, un romance in cui una trentenne single trova le vecchie lettere della prozia e scopre una tormentata storia d’amore vissuta ai tempi della seconda guerra mondiale, un chick-lit con una giovane donna in carriera che perde la testa per il capo-ufficio stronzo.
Ormai scrivo da quasi un ventennio. E so cosa mi piace raccontare.
Nel post “Le due anime della mia scrittura”, lo spiego molto bene.
Ho una formazione socio-psicologica e una tendenza naturale a studiare la realtà.  Mi interessano i problemi della contemporaneità, e il concetto di “cultura” come inteso da Edgar Morin: l’insieme dei riti, dei miti e dei simboli che strutturano la nostra collettività. Preferisco parlare di migranti e di transessuali più che di cyborg e gnomi.  Mi rispecchio ne “La solitudine dei numeri primi” più che in “Harry Potter”.
Allo stesso modo, la mia vicinanza alle filosofie orientali (ebbene sì: sono anch’io tra quelli che Francesco Gabbani prende per il culo) mi porta a rinchiudere le mie storie dentro un guscio di spiritualità. L’idea di Karma è sempre presente in ciò che scrivo, anche se non si tratta del fato immutabile tanto decantato dai cattolici. Sono convinta che ogni azione, nella vita, generi una reazione uguale e contraria. Se reagiamo al dolore e alla violenza con altro dolore e altra violenza, entriamo in un circolo vizioso dal quale poi diventa impossibile uscire. L’amore incondizionato e il perdono, invece, portano spesso svolte insperate.
Ecco. Vi piace, questa roba? Io me lo auguro. “Scrivi queste cose perché sei bilancia ascendente sagittario”, direbbe un astrologo determinista. Sarà… ma queste sono le uniche stelle che non voglio cambiare.

Il lancio della patata bollente.

Visto che questo post potrebbe vincere il “premio lunghezza” per i miei tre anni nella blogosfera, vi domando solo: cosa ne pensate dei miei ragionamenti? Qual è la vostra vocazione

Commenti

  1. Ottimo, il post ha detto le cose che andavano sottolineate. Le nostre chiacchiere sulla divinizzazione del cane e il buonismo servito in pillole, magari, in un'altra occasione. ;)

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    1. C'era anche quella roba lì, ma avrei rischiato di scrivere 3000 parole. Però ho conservato i tagli, che non si sa mai. :)

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  2. Non avendo seguito Sanremo mi sono persa un po' la prima parte, ma seguo benissimo la seconda. Esperienza personale: qualche anno fa una casa editrice (grossa) cercava gialli leggeri senza critica sociale, ambientati in piccoli paesi con spalle divertenti e mi è stato detto che io avrei potuto scriverne. Avrei potuto. Probabilmente sì. La mia proposta, però scivolava sul "senza critica sociale". A me scrivere sul niente, intrattenimento senza spunti di riflessione non interessa. Non lo faccio quando scrivo fantasy, figuriamoci gialli. Ovviamente hanno preso un'altra autrice. Forse ho sbagliato, forse avrei dovuto prima fare quello e solo dopo proporre cose più personali. Ma non mi interessava, non mi interessa. Forse se si vuole fare rapidamente della scrittura una professione è necessario fare questo genere di compromessi. Sinceramente non mi sento di criticare chi lo fa, anzi. Se si vive la scrittura come lavoro bisogna mettere in conto di lavorare su commissione e fare anche quello che si chiede. Io però non ne sono stata capace.

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    1. Nemmeno io biasimo chi accetta compromessi, e io stessa in passato ho scritto cose che non mi appartenevano, per esempio testi per siti internet. Ricomincerei a farlo, se questo mi consentisse di sganciarmi dal mio attuale lavoro. Con la narrativa, però, sarebbe diverso. Un conto è se io scrivo una cosa dietro richiesta, ma a metterci la faccia è qualcun altro, un conto è se quel prodotto lì sarà sempre associato a me.

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  3. Non sono amica del festival di San Remo ( pur non escludendo che ci possa essere qualche canzone valida) e in generale della televisione. Tutto questo spettacolo e le farse e
    i personaggi invitati per dare un colore e il girotondo di vallette carine per compiacere gli uomini ,che cosa ci fanno intorno alla musica se questa è veramente valida? Siamo sempre nel commerciale così come lo è per l'editoria. Se si vuole vendere fare soldi avere consensi le logiche sono alcune, se si vuole scrivere per estrinsecazione del sé le logiche sono altre con le inevitabili frustrazioni del caso.
    Che si tratti di afittare una sala una biblioteca per pochi ascoltatori o cercare a stento sul web o in un evento di far capire che potresti aver scritto qualcosa di valido.
    Seguo anch'io il buddismo e le filosofie orientali in barba a chi fa della parodia. Servono al mio riequilibrio interiore e certo quello che scrivo inevitabilmente lo riflette. Cancro asc Scorpione.

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    1. Io seguo il Festival da sempre, perché si svolge nella mia città,quindi mi sento coinvolta. Tante volte sono anche andata a vederlo dal vivo. Quest'anno mi è piaciuto più del solito perché nessuna canzone mi ha fatto storcere il naso. Qualcuna di più, qualcuna di meno, erano tutte orecchiabili. Inoltre non c'erano vallette, e la femminista che è in me ha esultato. In generale, comunque, si tratta di una manifestazione importante che ha aiutato a emergere artisti che oggi sono delle star internazionali. Inoltre, dà lavoro a tanti ragazzi, oltre che a ristoratori, albergatori e commercianti. Quindi, ben venga.

      Sulla canzone vincitrice devo dire che la mia era una battuta, poiché la parodia si rivolgeva a coloro che si avvicinano alle filosofie orientali senza comprenderne fino in fondo i presupposti. Quando l'ho ascoltata, mi sono venuti in mente quelli che mi domandano: "lo yoga fa dimagrire?" oppure "non serve a niente perché non si suda". :-D

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  4. Di certo le filosofie orientali vanno seguite seriamente se si vuole che apportino un reale beneficio alla propria esistenza. E le domande e affermazioni che tu citi fanno dedurre il tipo di approccio di questi soggetti interessato forse alla moda del momento. E francamente poco importa se qualcuno noto o non noto faccia della parodia e esattamente verso chi, quel che conta è prendersi la propria responsabilità e andare avanti in ciò in cui si crede.

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    1. Anch'io ho fatto delle parodie, in passato, e ne farò ancora. L'ultima sulle sentinelle in piedi. Secondo me non c'è nulla di male nell' esprimere ciò che si pensa, in modo ironico e garbato, senza offendere nessuno. :)

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  5. Anni fa alcuni dissero che Luca Barbarossa con la sua canzone sullo stupro avesse strumentalizzato un dramma per fare appunto una canzonetta, vendere e fare breccia, a parte sole cuore amore ogni testo può essere definito ruffiano e furbetto, a mio parere Ermal che mi piace sempre più non è tra questi.
    Sandra

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    1. Anche Marina ha citato la canzone di Barbarossa, ma io non la ricordo. Anche a me Ermal piace. Ho il suo album, che oggi ha vinto il disco d'oro. :)

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    2. Potrebbe anche esserci una sorta di condizionamento psicologico che gioca inconsciamente un ruolo. Intendo dire che se anche l'intenzione del cantautore non è quella di compiacere il pubblico su argomenti caldi (chiamiamoli così) e io non ho motivo di non credere che ci sia un'ispirazione autentica dietro una canzone così intensa, però chi vota vota perché il tema non può che rendere tutti solidali. La canzone tocca le corde profonde del comune sentire che non può che generare consensi facili: chi, oggi come oggi, può rimanere indifferente di fronte ai fatti terribili legati ai casi di violenza domestica? Nessuno e allora ecco che scatta il condizionamento di cui parlo.

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    3. Non so però se nella foga di scrivere il mio pensiero mi sono fatta capire. :)

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    4. Sì, certo, il tuo pensiero è chiarissimo. :-)
      Io penso di poter parlare con cognizione di causa, perché sono la prima a scrivere di certe tematiche, e non ho mai però pensato: "metto il personaggio cocainomane perché il pubblico è sensibile al tema delle droghe". Semplicemente, seguo la mia ispirazione. Il gradimento del pubblico, poi, potrà dipendere da questo, ma anche da altri fattori: da come la storia è scritta, dalla complessità psicologica del personaggi, dalla qualità dei dialoghi. La tematica, secondo me, è solo un punto di partenza, che vale poco se il risultato complessivo è di scarso valore. :-)

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  6. Non la ricordi perché sei GGGiovvane, cara. Sì, Marina ti sei spiegata benissimo. Sandra

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    1. Io di Barbarossa mi ricordo quella dedicata alla mamma. :-D

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  7. Post interessante. Almeno mi sono fatto un'idea di come è andato il Festival di Sanremo. Io non l'ho guardato, non perché sono snob, ma perché ho preferito in quelle sere lavorare e editare il mio romanzo. Così adesso, mentre leggevo, sono andato ad ascoltare i brani da voi citati. E devo dire che mi sono piaciuti tutti. Sarei tentato di dire sono solo canzonette, quindi è inutile cercarci il pelo nell'uovo, comunque sia da un punto di vista musicale, sia per i testi, sono tutte canzoni interessanti.
    Non ho seguito il festival, ma se questi sono i brani piazzati, forse è stata una buona annata rispetto agli anni precedenti.
    Che poi i discografici condizionino il mercato, è quel che accade da sempre. Anzi, credo che oggi il mercato discografico sia parecchio anarchico. Perché basta registrare un brano, infilarlo su Youtube o Facebook, per trovare potenziali fan a prescindere dalle logiche discografiche. L'atomizzazione del web paradossalmente crea due effetti. Il primo: più opportunità per tutti. Se sei bravo e piaci, puoi emergere da solo. Il secondo, meno visibilità. Più soggetti entrano senza filtri, meno possibilità c'è di farsi notare.
    E questo fa proprio da contraltare all'editoria col self publishing. Senza filtri in ingresso il mercato si inonda di qualsiasi cosa, dai libri interessanti a scritti improponibili.
    Ma questo è il mondo moderno, la nostra società. E la modernità si può affrontare in due modi. O la si cavalca, comprendendone gli strumenti e le potenzialità, o la si subisce.
    Io ad esempio, da aspirante scrittore indipendente, prendendo spunto dal tuo ragionare, Chiara, del non cedere a compromessi di mercato, sono molto contento. A me nessuno può condizionare le scelte del mio libro. Mi può condizionare la mia editor, ma essendo editor privata e non di una casa editrice che deve far rispettare la linea editoriale e le regole del mercato, per me è un'alleata preziosa per far risaltare le caratteristiche stesse del mio romanzo. Nel mio giallo io parlo di sopraffazioni della storia sui popoli inermi, di mafia, sferzo il turismo di massa e nessuno può dirmi nulla. L'unica necessità di cui devo tener conto è il lettore. Il lettore supremo a cui il libro potrà piacere o non piacere.
    Questa indipendenza dalle logiche editoriali, mi piace parecchio e difficilmente sarei disposto a rinunciarci.
    Riguardo alle vostre chiacchierata, cara Chiara e cara Marina, mi avete fornito degli spunti interessanti. Quindi io propongo: o la prossima volta mi invitate in una chiacchierata a tre (e io me ne sto rigorosamente in silenzio ad ascoltarvi, oppure vi prodigate con qualche bel podcast. ;)

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    1. Anch' io penso che quest'anno, il Festival di Sanremo, sia stato di ottimo livello, e non invidio affatto chi prenderà il posto di Conti il prossimo anno. Di solito, guardo almeno la prima sera perché fa parte della tradizione cittadina, ci sono gli schermi in piazza e nei locali, se ne parla al bar la mattina. Se poi mi piace, continuo. Se mi stufa, lascio perdere. E quest'anno, seppur a pezzi perché un paio di sere sono uscita, l'ho seguito praticamente tutto. Non c'è una canzone che non mi sia piaciuta. Oltre ai cantanti arrivati sul podio, ho apprezzato molto Paola Turci, Marco Masini, Fabrizio Moro (anche se ha un po' vascheggiato) e un ragazzone fisicamente enorme di cui ora non ricordo il nome.

      Il mio romanzo in stesura parla di violenza, di rapporti genitori-figli, e di droga. Ma anche di amicizia, di musica, e di filosofie orientali. Ma soprattutto parla di me. Non della mia biografia, ma della mia anima.

      Qualche tempo fa, avevo proposto di fare un gruppo whatsapp, ma l'idea è stata bocciata. :-)

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  8. Io concordo su tutto il post, Sanremo compreso. Ma sai che ho avuto il tuo stesso pensiero su Michele Bravi? Il diario degli errori a meno di vent'anni? Comunque riguardo a Ermal Meta le tematiche forti anche nel regno della musica leggera italiana secondo me vanno alla grande, perchè è un palco dove si riceve maggiore attenzione e raggiunge un grande pubblico, l'importante è il modo in cui vengono trattate.
    Per le ruffianerie letterarie penso che uno scrittore deve seguire quello che sente, seguire le correnti e le mode può essere controproducente perchè il lettore attento sente se la storia scritta è sentita oppure no. Poi non condanno chi ci prova se riceve una richiesta specifica da una grande casa editrice...

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    1. è vero: un lettore attento riesce a cogliere le emozioni dell'autore che si nascondono dietro la pagina. Nei testi degli esordienti, riesco a cogliere intuitivamente le emozioni dell'autore, che si tratti di paura, spinta al conformismo, autentica passione o ansia da prestazione.

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  9. Un cantante puo' essere un bravo interprete e anche un bravo autore, oppure solo un cantante. Ma uno scrittore no. Deve necessariamente scrivere ciò che è non ciò che vorrebbe essere o ritiene meglio essere ecc. ecc, altrimenti ce ne accorgiamo subito. IN una parola, la coerenza tra lo scrittore e il suo lavoro deve essere totale, serve autenticità. Ha ragione Pedrini. Anche se a volte facciamo di necessità virtù.
    Dunque se prendiamo a prestito qualcosa da altri rischia di non calzare a pennello. Specie se tua sorella pesa molto meno di te :).
    Per la cronaca mi sono piaciute entrambe le canzoni e credo che Gabbani più che le filosofie orientali prenda in giro chi le segue per moda. E sono tanti.
    Bravi invece mi è piaciuto ma condivido in pieno la tua sensazione di scollamento tra testo ed esperienza personale. Peccato, ma anche questo lo farà crescere. Buon fine settimana

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    1. Omar Pedrini è un artista che canta da trent'anni. Forse non ha mai fatto "il botto" (anche perché, quando sei in una band, tendi a mettere in secondo piano la tua individualità) però continua a fare dischi, perché conta sul supporto di numerosi "fedelissimi". La stessa cosa, in letteratura, si può dire di Gianni Biondillo, uno dei miei autori preferiti, che molti non conoscono, ma che sforna un libro all'anno. Secondo me, la loro personalità letteraria è più stabile e definita di quella, per esempio, di Dan Brown. Per questo, è un bell'ideale a cui ambire. :-)

      P.S. Mia sorella pesa come me, ma è più bassa.
      I miei jeans sono sempre risvoltati. :-D

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  10. Su Sanrempo evito di pronunciarmi perché sono decenni che non lo seguo e sono fra i pochi italiani che non ha ancora ascoltato nessuna delle canzoni presentate, neppure la vincitrice. Se prima di leggere questo post qualcuno mi avesse chiesto cosa ne pensavo di Ermal Meta avrei risposto chiedendo a mia volta chi diamine fosse.
    Per l'editoria sono un po' più competente, ma parlando in generale della ruffianeria direi che è sin troppo comprovata. Basta che un libro abbia successo e all'improvviso saltano fuori decine di scopiazzature, alcune veramente imbarazzanti.
    Personalmente non sono un ruffiano neppure nella vita quotidiana, cerco di stare in buona con tutti ma non rinuncio mai alle mie idee anche se sono in contrasto con quelle in voga, e non mi vergogno a dire l'esatto contrario di quel che dice la maggioranza: se sono convinto di ciò che affermo, la maggioranza può andare a fare in... vabbé, ci siamo capiti. Non mi interessa l'approvazione altrui, mi interessa essere coerente con me stesso.
    Questo si riflette anche nella mia scrittura: scrivo quel che piace a me, non inseguo trend e tendenze, preferisco trovare dieci lettori che condividano i miei contenuti piuttosto che cento che condividano contenuti che in realtà non mi appartengono perché scopiazzati qua e là secondo la moda del momento.
    Probabilmente sbaglio a fare così, ma è il mio modo di essere.

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    1. Per anni mia mamma, assistendo alle continue litigate con mio padre, mi ha rimproverato dicendomi: "devi essere un po' più ruffiana con lui". Ma io non ci riesco. Mentire equivale a tradire me stessa. Penso che la verità si possa esprimere in modo gentile e rispettoso, sono lontana dall'idea per cui l'ipocrisia è una forma di educazione: ingannare gli altri per compiacerli è un gesto bieco, che non fa il bene di nessuno. Anche nel mio caso, quindi, la scrittura riflette il mio modo di essere, in generale, nella vita di ogni giorno. :)

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  11. Su tutta la prima parte ho avuto difficoltà a seguire il discorso perché non seguo Sanremo, che trovo una manifestazione insopportabile in cui la musica conta poco o nulla.
    Per la parte centrale del post, io credo che al tuo discorso manchi un punto. Dici facile quando affermi cose del tipo "come autore voglio conservare la mia individualità, non piegarmi a ruffianerie e fare ciò che mi piace". Ma quando poi ti trovi di fronte alla constatazione che il tuo libro non l'ha letto nessuno, salvo quei pochi che conosci, è dura, davvero. Uno deve sapere ciò a cui si può andare incontro, dev'essere preparato psicologicamente, e non tutti sono così forti. La delusione è cosa da non sottovalutare. Forse non è poi neanche giusto puntare il dito verso chi ha fatto certe scelte, magari a malincuore: chi siamo noi per giudicare? L'arte non dà da mangiare e a volte nemmeno dà soddisfazioni. E poi, magari non ci hai pensato, ma ci può anche essere chi non fa per ruffianeria, ma è contento di scrivere sotto certe condizioni: può essere un lavoro come un altro, e non merita la sufficienza che spesso gli viene riservata, perché dietro ci può anche essere gente molto competente che fa il proprio lavoro ed è contenta di usare le proprie capacità per portarsi a casa di chi vivere.
    Due ultime osservazioni:
    1) "fato immutabile tanto decantato dai cattolici". In realtà sarebbero i calvinisti, quelli, non i cattolici.
    2) "Sono convinta che ogni azione, nella vita, generi una reazione uguale e contraria." Nella fisica e nella chimica è così, ma non nei rapporti tra le persone! Infatti tu dopo hai fatto esempi esattamente contrari a quest'affermazione! :)

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    1. Io non giudico nessuno. Ho analizzato la questione dal mio punto di vista. È arbitrario, certo, perché ho un lavoro alternativo che mi consente di guadagnarmi da vivere, e non mi obbliga ad accettare compromessi. Altre persone sono obbligate. Altre, invece, hanno un'indole diversa, sono più adattabili. Esistono persone che stanno bene pure NEL MIO UFFICIO perché accettano di buon grado una mentalità che, a mio avviso, dovrebbe morire...cxxxi loro: io sono diversa, ma il mondo è bello perché è vario.

      Per quel che riguarda le tue obiezioni:

      1) sono cresciuta dalla suore, che per anni hanno cercato di veicolare l'idea tale per cui la nostra vita è interamente nelle mani di dio, il che giustifica tutto, anche il male. Ritrovo quest'idea in molte persone fortemente credenti, e anche nei testi di teologia che sono stata costretta a portare in esame all'università, visto che ho studiato alla Cattolica. Tra l'altro, su questo argomento litigai con il prof, rischiando di farmi bocciare. :-D

      2) la legge del karma altro non è che la legge di causa ed effetto tale per cui, se insulto qualcuno, è molto probabile che questo insulto torni indietro. Ogni azione umana, ogni pensiero e ogni parola, genera una reazione nell' universo. Noi però non siamo vittime di questa energia. Possiamo spezzare la catena con un atto di libertà (disobbedienza, appunto) e piantare, nell'universo, semi differenti, di amore, di bontà e di rispetto, che alla lunga potranno portare un cambiamento concreto, e un'evoluzione generale dell'umanità.

      Mi rendo conto che il mio pensiero possa non essere espresso in modo chiaro, perché purtroppo ho scritto questo articolo in condizioni pietose, dopo un'intervento ai denti, con il polaretto della borsa frigo legato intorno alla faccia. Ti ringrazio però per avermi dato la possibilità di esplicitare meglio il mio pensiero. È possibile che decida di dedicare a questo argomento un post autonomo. Ti ringrazio inoltre per aver letto il post con attenzione: il fatto che mi contesti, dimostra questo. E sai che mi fa piacere, visto che ne abbiamo parlato in occasione del guest-post di Mattia. :)

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    2. Mi spiego anch'io un po' meglio: le obiezioni che ho mosso a te, in realtà sono le stesse che muovo a me stesso. Anch'io storco il naso di fronte all'ennesima sfumatura o vampiro sexy o qualunque altra cosa i ragazzi del marketing dicano sia un successo. Quel che dicevo è che (in alcuni casi) c'è che lo può prendere come un lavoro su commissione, mettendo in uso le proprie capacità e talenti, esattamente come fare la denuncia dei redditi: non è che chi lo fa per mestiere abbia la passione per il 730, però è il suo lavoro e cerca di farlo al meglio per avere di che vivere. Ovviamente questo NON ha nulla a che vedere con l'arte, si tratta di un prodotto commerciale e come tale va preso. Ma in fondo il dadaismo sosteneva che qualunque cosa realizzata dall'uomo sia a suo modo arte.
      L'altra cosa che torno a sottolineare è che bisogna essere preparati psicologicamente al possibile insuccesso di una propria opera: non tutti lo sono e le reazioni alla delusione non sono uguali, perché non tutti sono ugualmente forti e stabili emozionalmente per fronteggiare in modo sano l'eventuale delusione.
      Per le ultime 2:
      1) Io sono stato catechista per alcuni anni e non ho mai insegnato niente del genere ai ragazzi; quella che riporti è una concezione medioevale e che poco ha di cristiano; non è stato questo a farmi allontanare per sempre da quel mondo, ma vedere che oggi c'è ancora chi fa ragionamenti del genere, non mi fa per niente rimpiangere la mia scelta.
      2) Come detto sopra, io sono d'accordissimo con te! Ma hai detto "principio di azione e reazione" ovvero "a ogni azione corrisponde una reazione uguale e CONTRARIA". Spingo con una certa forza il muro e il muro risponde con la stessa forza diretta verso di me. Se invece sei gentile con le persone, le persone saranno gentili con te; se ti comporti male con le persone, queste non si comporteranno bene con te. Non è un'azione contraria, ma la stessa, ma forse ho interpretato male io sopra, intendevi semplicemente la direzione, cioè che ti torna indietro ciò che dai. Dico giusto, ora? :)

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    3. Sì, per la prima parte sono d'accordo. Anch'io ho scritto testi per siti internet e altre cose per le quali di certo non provavo né passione né lavoro. La scrittura commerciale, però, è diversa dalla narrativa. Mi riesce più facile riuscire ad accettare un compromesso. Il paragone può essere con un cantautore che scrive testi per altri - magari lontani dal proprio stile, ma vicini a quello dell'interprete - e altri che porta sul palco direttamente. Spero di essere stata chiara. :-)

      Per quel che riguarda le due obiezioni:

      1) Sì hai ragione, io sono "cascata male". Avevo già parlato qui: del mio rapporto con le suore. Penso che abbiano avuto un ruolo decisivo nell'allontanarmi dalla chiesa. Però, se devo essere sincera, quando ho parlato del "fato immutabile decantato dai cattolici" non pensavo al medioevo, bensì alla provvidenza manzoniana, della quale, per altro, ho un ricordo vago.

      2) No, hai interpretato bene. Purtroppo il principio della dinamica è enunciato in questo modo. Mio marito ha mosso la medesima obiezione: siamo andati a vedere. Ci va una "e", e non una "o". La "o", però, spiegherebbe la legge del Karma: la reazione può essere uguale, ma può essere anche contraria. La contrarietà, dipende dal libero arbitrio del singolo. Torno all'esempio delle suore: loro forse speravano di dar vita a una schiera di timorati di Dio. Invece, terrorizzandoci, in una classe di ventidue persone sono riuscite a plasmare solo un paio di devoti. Io sono una delle poche che, pur essendo sul filo dell'anticlericalismo, ho fatto scelte di vita abbastanza ordinarie. Dei miei compagni, molti hanno preso una cattiva strada, forse per reazione a cotanta repressione. Non era prevedibile. Sono reazioni diverse, ma tutte legate a come il singolo ha interpretato la "causa".

      Ho scritto di getto. Se non è chiaro, chiedi. :-)

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    4. Scusa, ho messo un "qui", ma poi mi sono scordata di recuperare il link:
      https://appuntiamargine.blogspot.it/2016/12/la-favola-del-minestrone-retroscena.html

      :-)

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    5. Mi ricordavo del tuo racconto, l'avevo letto.
      1) La provvidenza manzoniana però non è un'immutabile fato, è quella che accompagna il giusto facendo che si realizzi il piano divino. Almeno credo di ricordare sia così.
      2) Ok, ho capito. No, era interessata come interpretazione, bisognava solo ridefinirla meglio. Che poi, tu parli di karma, ma la neuropsicologia sostiene esattamente le stesse cose.

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    6. Infatti la legge del karma non è qualcosa di mistico e metafisico ma trova conferma anche negli studi di fisica quantistica. Pertanto è usata come riferimento da molte discipline, specialmente umanistiche. Dicesi, in parole povere, legge di causa ed effetto. Tu però, forse, fai riferimento al comportamentismo, che è qualcosa di leggermente diverso. Nel meccanismo stimolo/risposta, infatti,c'è scarsa consapevolezza. :)

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  12. Ho seguito in parte Sanremo, però ho potuto vedere gli artisti che citi, quindi... la mia idea generale è che quello spettacolo è fatto per spettacolarizzare qualsiasi performance, quindi se in me ascolto attentamente un testo e ne valuto la validità, allo stesso tempo mi sto lasciando inevitabilmente depistare da quello che vedo e mi ritrovo su "due canali" contemporaneamente.
    Ermal Meta mi è piaciuto. C'è stato un momento della sua performance in cui sullo sfondo appariva la silhouette di una donna con vesti e capelli al vento e la musica era bella, intensa. Mi ha emozionato.
    E' vero, c'è tutta una ruffianeria di fondo che credo sia innegabile, ma penso che si tratti di semplice strategia. E' un mercato, esige che si venda un prodotto, ergo lo vende impacchettandolo bene, strizzando l'occhio all'opinione pubblica. E' soltanto oggettivamente "normale" tutto ciò.

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    1. Certamente. Questo vale anche per i libri: io posso dare una grande importanza alla trama e allo stile, però anche la copertina ha il suo perché. E anche il modo in cui io mi pongo alle presentazioni: vestiti, capelli, postura, modo di parlare. Ci può essere più o meno naturalezza, ma l'impatto cambia.

      Ciò nonostante, tutto questo contorno può essere paragonabile al "make up" su un volto femminile: quello efficace valorizza i pregi, non occulta i difetti. Il "contorno" dell'esibizione di Ermal Meta, secondo me, rientra nella prima categoria. Quello di Gabbani, nella seconda. :-)

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  13. Anche questo post si collega a tematiche discusse in altri post e commenti :)

    La ruffianeria a volte è necessaria: nel senso che, dovendo portare a casa la pagnotta, si deve legare l'asino dove vuole il padrone. Ma alla fine chi ha talento e creatività riesce a non farsi piegare totalmente dal "mainstream". E poi c'è chi sacrifica parte della popolarità e del guadagno pur di non sacrificare il proprio stile. E mantiene un'unicità che viene premiata, secondo me. Meno fan, ma più fedeli :), volendo semplificare, a costo di essere grossolano.

    In campo musicale, mi sbilancio volentieri :) L'industria musicale italiana sforna voci a raffica con i talent, ma sono tutti voci e personaggi "fotocopia" (salvo rare eccezioni). Ci sono 5-6 autori (tra cui lo stesso Ermal Meta...) e via, un anno abbiamo Tizia, un anno Sempronia, un anno ancora Caia...ricevono il loro pezzo, lo cantano, evviva.

    Ma il vero artista per me è un tutt'uno con quello che canta e che porta sul palco. Anche l'interpretazione è fondamentale. Guardate Stromae sul palco: è un istrione.

    I cantanti italiani hanno belle voci (anche se poi, ascoltando Sanremo, in realtà si sente qualche stecca di troppo), ma poco talento nel complesso.

    Sanremo quest'anno mi ha trasmesso tanta tristezza. Paola Turci che fa successo con un plagio di Zara Larsson e David Guetta (oh, avessi detto il David Guetta di "Love don't let me go"!), le varie Chiara e Giusi Ferreri che fanno tenerezza, Bravi sul quale avete già detto tutto..alla fine sul podio ci sono andati i migliori (di Meta amo alla follia "buio e luce", canzone che portò a Sanremo con la "Fame di Camilla"); Gabbani ha avuto il merito di portare qualcosa di interessante dal punto di vista musicale, un testo semplice, ma profondo allo stesso tempo, poi ci ha aggiunto il ballo della scimmia per portarsi il consenso del "popolino" del televoto.

    Gabbani è un personaggio interessante, ma ancora di più Raf Gualazzi, un altro artista molto valido passato ultimamente dal festival.

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    Risposte
    1. Riccardo, mi devi scusare. Questo commento, relativo a un post un po' vecchiotto, si era perso nel mucchio, e l'ho visto soltanto ora. :-(

      Per prima cosa, vorrei specificare che il concetto di "mainstream" assume un valore diverso a seconda che si parli di letteratura o di musica. In letteratura, infatti, questo termine va a indicare il romanzo letterario di qualità, in contrapposizione a quello "di genere", che invece mette la trama in primo piano rispetto allo stile, e asseconda esigenze prettamente commerciali. è vero che tale concetto appare oggi più labile, rispetto al passato, perché ci sono molte contaminazione, però è ancora valido.

      Il discorso sulla dicotomia tecnica vs. talento è già stato affrontato. Ho visto Stromae cantare dal vivo (proprio ospite al festival, nel 2014)ed è vero: sul palco è una star. Però, quando lo ascolto in radio, le sue canzoni non mi trasmettono nulla. Altri, invece, cantano davanti al pubblico come se fossero sotto la doccia, e creano un rapporto completamente diverso con chi ascolta, non filtrato da sovrastrutture.

      Ricordo molto bene "Buio e luce", canzone che ho ascoltato per anni senza sapere che fosse scritta da Ermal Meta: l'ho scoperto di recente perché sebbene conoscessi questo artista dal festival dello scorso anno, non l'avevo collegato alla Fame di Camilla. In generale è un autore che mi piace molto, e che non ha nulla da invidiare a Gabbani, che a sua volta presenta buone potenzialità nonostante una canzone di facile ascolto. La storia del Festival di Sanremo è piena di cantautori che, pur avendo creato brani di profondità immensa, sul palco dell'Ariston si sono distinti con pezzi molto più easy, che non rendono loro giustizia. è il caso di Daniele Silvestri, secondo me un ottimo paroliere, di cui ricordiamo "Salirò". Oppure, Samuele Bersani.

      Gualazzi rientra ancora in un'altra categoria. Lui è un musicista, più che un cantante, nonostante una voce potente. Avesse portato dei brani prettamente strumentali, forse, il pubblico avrebbe capito chi è con maggior facilità. Invece, l'ultima volta (lo stesso anno di Stromae ospite) si è presentato in coppia con quel tizio, che ballava come un indemoniato e mi ricordava Mauro Repetto degli 883...
      Alex Britti, idem: chitarrista sublime, a Sanremo con 7000 caffè.

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    2. Buio e luce è una canzone che ha segnato la mia vita: stavo attraversando una fase di grosso cambiamento (all'apparenza no, ma dentro di me era un grosso cambiamento) e avevo preso una cotta per una ragazza che forse rappresentava solo una proiezione del mio cambiamento e non un reale sentimento. "Fingerò di non pensarti, mentre fingi di non voler più me", rappresenta alla perfezione il mio stato d'animo: lei che un pochino se la tirava e io che dissimulavo di non pensare troppo a lei..

      Su Daniele Silvestri e Samuele Bersani condivido in pieno, Bersani in particolare ha fatto una delle canzoni nella mia top 20: "Cattiva". E quanto è bella "A Bologna?". Chi ha vissuto a Bologna, respira grandi sensazioni sentendo quella canzone.

      Britti è un ottimo chitarrista, ma come cantautore non ha lasciato il segno, secondo me: ricordo una recente canzone che nella musica ricordava molto da vicino la celebre canzone di un videgioco anni '90 :D

      ps ahah quel tizio con Gualazzi è Bloody Beetroots: nel suo campo è praticamente un mito XD

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