La scrittura è come l'acqua: il sentiero della minore resistenza


Se poniamo a confronto il fiume e la roccia, il fiume vince sempre, 
non grazie alla sua forza ma alla sua perseveranza.
(Buddha)

La settimana scorsa, saltellando da un link di Facebook all’altro, mi sono imbattuta nell’articolo “Il sentiero della minor resistenza”, sul blog Cammina nel Sole. Ne cito un passaggio:

L’acqua, nel suo farsi strada nella terra, segue sempre il percorso che offre la minor resistenza. Quando il ruscello incontra un masso non cerca di bucarlo, ma naturalmente vi passa accanto, modificando il corso delle sue acque. Allo stesso modo quando una pianta cresce, cerca il sole modificando l’inclinazione dei suoi rami in base alla direzione della luce e alla presenza di ostacoli e piante sul suo percorso.

Leggendo questa frase, subito ho pensato al “Wu-wei” taoista. Pur traducendosi letteralmente come “non-azione”, questo concetto non vuole esortare l’individuo a un atteggiamento rinunciatario e passivo, bensì invitarlo ad assecondare le energie universali e individuali. A volte bastano poche azioni ispirate per rivoluzionare la nostra vita. Un’estenuante lotta contro i mulini a vento, invece, causa solo blocchi.

Quante volte negli ultimi anni mi sono sentita dire di “resistere”? Ai miei problemi di lavoro. A un eccessivo dimagrimento causato dallo stress. Agli attacchi di ansia. Alla difficoltà nell’armonizzare la scrittura e le routine quotidiane. A tutto ciò che non mi faceva bene. Credevo fosse un valido consiglio. Seguirlo pedissequamente mi faceva sentire forte: grandissimo errore. Non mi sento un’eroina perché ho tenuto duro, perché questi sforzi continui hanno fagocitato ogni cellula del mio corpo. E anche la scrittura è stata vissuta in modo un po’ pedante. Mi faceva stare bene, ma stavo male io. Quindi l’ho infettata con le mie paturnie, alimentando la resistenza nei seguenti modi:

1-Il calendario editoriale del blog era incompatibile con i miei ritmi.
Per un anno sono riuscita a gestire Appunti a Margine con sostanziale tranquillità, ma la scorsa estate ho capito di non poter più garantire due aggiornamenti settimanali. Tornare a casa dopo dieci ore di lavoro e scrivere fino a notte fonda nel lungo periodo mi ha stremato.

2-Il timore del giudizio altrui causava mille ripensamenti.
Mamma mia, quante paturnie! Fino a poco tempo fa, rileggevo, cancellavo, riscrivevo. Dopo aver riscritto temevo di essere fraintesa, quindi cancellavo, riscrivevo, rileggevo. Nei secoli dei secoli, amen. Per forza ero stressata!

3-Sono rimasta invischiata nella trappola del “si deve”.
Seguire troppi blog di scrittura può essere deleterio per una persona insicura, specialmente se si imbatte in qualche collega un po’ saccente che pensa di avere in tasca la verità assoluta…
A volte non ho abbastanza fiducia nel mio buonsenso e cerco soluzioni preconfezionate che mi fanno sentire in pace con la coscienza ma non sono affini al mio intento e al mio metodo di lavoro. Nasce quindi un conflitto di interesse fra ciò che desidero fare e ciò che, forse per volontà altrui, mi sembra opportuno.

4-Esigenza di essere professionale.
Per portare avanti il progetto di un romanzo occorre serietà e costanza. Io non sempre sono riuscita a mantenere un buon ritmo e più volte mi sono sentita inadeguata: avevo la sensazione non essere “abbastanza scrittrice” perché paragonavo i miei progressi a quelli di chi non lavora o lavora da casa.
Essere consapevole dei miei limiti è stato sicuramente un importante passo avanti. Nell’ultimo periodo ho cercato di essere un po’ più flessibile e questo ha portato buoni risultati. Per farlo, tuttavia, ho dovuto scavare nelle viscere della mia resistenza, fino a trovarne la causa primaria: il mentale.

Come ho già evidenziato nel guest-post “Ansia da prestazione nella scrittura: affrontarla con lafilosofia zen” sul blog di Salvatore Anfuso, il pensiero orientale riconduce il mentale all’ insieme di convinzioni limitanti e paure che generano interpretazioni errate della realtà e allontanano l’individuo dall’illuminazione. Solo quando è a contatto con la propria coscienza, l’ essere umano può cogliere la vera essenza delle cose. Pertanto, lo scrittore deve imparare ad eliminare ogni interferenza impura e ogni condizionamento per comprendere se il suo comprimario serve alla trama o gli è semplicemente simpatico, se il capitolo è troppo lungo, se l’entrata in scena del protagonista è opportuna, se c’è infodump. Per riuscirci, la strada da seguire è una sola: deve imparare a fidarsi della propria voce interiore, senza alimentare le proprie paranoie e senza sabotare se stesso. In poche parole, deve dare ascolto alla propria intuizione ed evitare che il mentale la metta in dubbio. Questa, per gli amici buddhisti, è la più elevata forma di conoscenza in quanto nasce dalla connessione fra l’individuo e il tutto.

A questo punto, è necessario un chiarimento fondamentale: seguire l’intuizione NON significa rinunciare a progettare, bensì tenere a bada l’ego ingannatore che ci porta sempre fuori strada. Anche la pianificazione può essere intuitiva. Io riesco a lavorare solo così: ogni punto della scaletta è collegato all’alto da illuminazioni improvvise e successivamente riesaminato con la logica. Stesso principio vale per la stesura. Scrivo a ruota libera (pur avendo già definito a priori cosa accadrà in una determinata scena) e solo alla fine del capitolo chiamo in causa il mio revisore interno, facendo in modo che il suo intervento sia razionale e non mentale. Per trovare questo equilibrio c’è voluto un po’ di tempo, ma sono riuscita ad eliminare serenamente buona parte della mia resistenza, almeno per quel che riguarda il metodo di lavoro.
In questo anno di blogging ho notato che diversi scrittori tendono a vedere o tutto bianco o tutto nero, come se ispirazione e razionalità si facessero la guerra a vicenda. Io penso che il conflitto esista solo fra le loro due espressioni più estreme. La scrittura “di getto” è fine a sé stessa: può aiutare l’autore a esprimere le proprie emozioni, ma da sola non è sufficiente per portare avanti un progetto narrativo. Pur senza la necessità di parcellizzare tutta la trama, bisogna conoscere a grandi linee la propria destinazione. Per contro, l’eccesso di razionalità è situato al confine con il mentale: basta un piede oltre la linea e siamo fregati. Ma se riusciamo ad amalgamare queste due anime, la nostra scrittura diventa come l’acqua:  semplicemente fluisce, senza più alcuna resistenza.

Il lancio della patata bollente.
Vi invito a scrivere quali sono le cause della vostra resistenza come ho fatto io con i miei quattro punti perché mi piacerebbe analizzarle una per una, darvi qualche consiglio e approfittarne per imparare qualcosa. E poi ditemi: qual è il vostro rapporto con il mentale?
So che l’argomento non è semplice, ma se ci sono dubbi su quanto ho scritto chiedete pure!

Commenti

  1. I temi che tratti in questo post sono così lontani da me da mettermi in grande difficoltà difronte al tentativo di interpretarli. Ad esempio non ho capito cosa intendi per “resistenza”. O capito come la intendi rivolta verso te stessa, ormai ci conosciamo da un po’ e abbiamo parlato tante volte in privato. Ma per quanto riguarda me, non saprei come utilizzarla.

    Io passo 10 ore in ufficio e due a muovermi a piedi per Torino, schivando auto (a Torino, in un anno, siamo arrivati a 511 pedoni investiti), nel tentativo di raggiungere vivo l’ufficio e tornarmene, sempre vivo, a casa la sera. A casa, cerco di utilizzare il poco tempo che rimane per leggere la valanga di cose che ho da leggere (ho dei programmi strettissimi), seguire i blog degli amici, aggiornare il mio (tre volte a settimana non è uno scherzo), scrivere racconti e riflettere su un possibile futuro romanzo (ormai ho abbandonato del tutto i tentativi di scriverne uno senza avere un idea precisa e una grande riflessione alle spalle). E poi ci sono gli amici, i genitori, i parenti (vivi e non), le donne (che non capisco davvero cosa mai troveranno in me, io mi odierei da solo...). Tutto questo sicuramente rappresenta una grande resistenza, ma non lo è perché, nonostante la fatica, per me non è uno sforzo. Quindi, per rispondere alla tua domanda, resistenza non è un termine che riesco a figurarmi (ma è anche possibile che la domanda non l’abbia capita affatto).

    La parola “resistenza” mi fa pensare a un muro che si oppone a un’onda, tipo una diga, o qualcosa del genere. Cioè a qualcosa che si erge come vallo sotto una pressione immanente. Il blog, la scrittura, il romanzo e, permettimi, il lavoro: sono tutte attività che dovrebbero giovarti, farti stare bene, farti crescere, non essere fonte di stress e di “resistenza”. C’è qualcosa che non va in tutto questo. Forse è arrivato il momento di smettere di resistere e cambiare strategia.

    L’idea dell’acqua e dei rami che si storcono non mi convince se usata su di te. Mi scuserai se mi permetto, ma tante volte ti ho sentito dire esattamente l’opposto. Queste due immagini, usate come le hai utilizzate nella prima parte del post, sembrano quasi una sorta di adeguamento verso tutte quelle cose (ad esempio il lavoro) che ti fanno stare male. Come dire: ok, ho un capo stronzo, allora cerco di ingraziarmelo così mi darà meno fastidio... È probabile che la mia sia un’interpretazione errata e che tu volessi dire tutt’altro, ma l’idea che mi hai trasmesso è questa: una sorta di resa. Tu non hai, secondo me, bisogno di resistere né di arrenderti; hai bisogno di cambiare. Potresti cambiare lavoro, città, romanzo, blog, tutto insomma; tutto quello che non ti smuove il sorriso sulle labbra.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Una delle difficoltà maggiori che incontro quando parlo dello zen riguarda il dare per scontato termini e conoscenze che magari gli altri non masticano, o che interpretano secondo il senso comune. Il tale frangente, la "resistenza" ha un valore negativo in quanto rappresenta il tentativo dell'individuo di contrastare il naturale corso degli eventi o la volontà degli altri. Essa si manifesta quando la volontà da sola non è sufficiente per mutare le cose, e gli sforzi rischiano di diventare auto-distruttivi. Il riferimento alla diga calza in parte: questa resistenza è utile, in quanto salvaguarda l'ambiente. Ma altre forme di resistenza possono essere pericolose.

      Abbandonare la resistenza non significa soccombere o far buon viso a cattivo gioco, ma solo smetterla di soffrire e di combattere contro i mulini a vento. Uscire di casa in lacrime e fare le bizze come i bambini il primo giorno di scuola perché non si ha voglia di andare in ufficio è una forma di resistenza: andarci e cercare - seppur sottobanco - di costruirsi una vita alternativa è già più costruttivo, non credi? Ciò non significa svendersi o accettare compromessi, ma accettare il presente per ciò che è, con tutti i suoi difetti, e cercare di cambiarlo serenamente.

      Spero di aver chiarito i tuoi dubbi. Al riguardo aggiungo solo una cosa, perché non vorrei essere fraintesa. Il romanzo e il blog NON sono un peso, anzi: gestirli porta un po' di luce in mezzo al grigio. Tuttavia, lo stress accumulato in altri ambiti si è esteso a macchia d'olio: anche le cose più belle sono state vissute in modo ossessivo. Per me la scrittura era (è) l'unica forma di libertà possibile, il mio riscatto personale, la mia ancora di salvezza. Quindi dovevo scrivere A TUTTI I COSTI. Poco importava che fossi stremata. Poco importava che mi avessero invitato a fare l'aperitivo, e che avessi magari una gran voglia di andarci... Ecco qui la resistenza. :) Anche in questo caso, il segreto è affrontare le cose con gioia e fare ciò che in quel momento si desidera di più.

      Elimina
  2. Adesso che sono riuscito a fare la figura di quello che sa tutto, non ha dubbi ed è pure un po’ saccente, posso passare alla parte su cui credo di potermi muovere con più sicurezza: cioè la contrapposizione tra intuizione e progettazione. C’è stata una prima fase, quando ho ricominciato a scrivere, che era permeata di istintività. In quella fase pensavo che l’unico modo di scrivere fosse: di getto; ed era anche l’unico modo in cui riuscivo a scrivere. Poi c’è stata una fase più recente, causata dall’impatto con Mozzi, dove ha prevalso la progettazione. Mozzi ha insistito così tanto sulla progettazione che avevo iniziato a progettare pure i momenti adatti per andare al cesso (scusa il termine). Nel mio caso è stato un impatto, quello con Mozzi, fortunato; perché tra i due estremi è prevalsa la via di mezzo. Insomma, mi è andata bene. Credo di aver trovato una sorta di equilibrio.

    Di grande aiuto è stato anche il tuo guest, molto riuscito. Quello che hai appena citato. In fondo me lo hai sempre detto, no? che scrivevo in uno stato di ansia. Adesso l’ansia sembra essere sparita e riesco a focalizzare le energie su ciò che scrivo. Tengo il tuo guest come una sorta di talismano. Primo o poi lo metterò in una bacheca.

    Infine, il mentale. Anche in questo caso ho delle grosse difficoltà a capire cosa intendi, ma credo (per fortuna) di essermi dilungato così tanto che forse, per questa volta, è opportuno soprassedere.

    Ti auguro di superare il momento di stress e, mi pare, di sconforto. Il male passa; il bene resta. Io sono qui a leggerti, sia che aggiorni ogni giorno, sia una volta all’anno. :)

    P.S. l’ho dovuto dividere in due, perché mi impediva di metterlo in un solo commento.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciò che scrivi mi fa pensare a Hegel e al meccanismo di tesi, antitesi e sintesi. Hai trovato il tuo equilibrio ed è un'ottima cosa, anche perché io sono convinta che in scrittura non esistano ricette preconfezionate: ciascun autore deve trovare il metodo di lavoro più adatto alla propria personalità.

      Per quel che mi riguarda, una progettazione troppo pedissequa mi blocca: prima ancora di mettermi a scrivere, inizio a pormi mille domande e vado in paranoia. Viceversa, se scrivo in modo puramente istintivo rischio di dover poi fare duecento revisioni per arrivare al punto, perché ho la tendenza a farmi prendere la mano, ad essere prolissa e dispersiva. Anche nel mio caso, quindi, l'equilibrio è nella via di mezzo! :)

      Sono molto contenta che il mio post ti sia utile: quando vuoi, ne scrivo un altro! :-D

      Elimina
    2. Anch'io penso non esista un metodo, tranne quello che ci si costruisce su se stessi: come un vestito di sartoria. :)

      Nel mio blog sei sempre la benvenuta. ;)

      Elimina
    3. Proponi un argomento e vedrò cosa posso fare. :)

      Elimina
  3. Se per "resistenza" intendi perseveranza nella scrittura, io resisto perché è diventato un bisogno imprescindibile. Ho bisogno di scrivere perché ho delle storie dentro me di cui voglio parlare, anche se forse non interessano a nessuno o solo a pochi. In ogni caso anch'io dopo aver passato dieci ore fuori casa tra lavoro e trasporti, mi sento svuotata e mettermi al computer a scrivere diventa uno sforzo immane. Però continuo a farlo, con fatica, ma continuo a farlo. Cerco di darmi delle priorità, un solo post a settimana, non potrei farne di più, anche perché ne scrivo un pezzetto per volta e poi lo rifinisco nel week end prima di pubblicarlo, insomma anche un post richiede impegno. Seguo e commento gli altri blog e cerco di farlo con costanza. Poi c'è la scrittura del romanzo (in questo momento sul nuovo sono quasi ferma) questa dovrebbe essere una priorità, ma è la parte che richiede più costanza e determinazione e anche una mente riposata per scrivere, se scrivo dopo una giornata di lavoro non sono particolarmente produttiva, ma quando mi ci metto anche una mezza pagina scritta bene può bastare, è un altro piccolo passo. Poi c'è la promozione dei romanzi già pubblicati, anche se minima richiede tempo, perché anche postare semplicemente un'immagine con una frase del libro su Facebook richiede una scelta è una certa ponderazione. La tua seconda domanda: il mio atteggiamento mentale è cercare di essere libera da paranoie (per usare i tuoi termini) dopo tutta la fatica che faccio non mi posso permettere il lusso di lasciarmi distrarre da dubbi e costrizioni bloccanti. Seguo la mia intuizione, a volta la strada la si conosce percorrendola.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti chiedo scusa, Giulia, forse non sono stata abbastanza chiara. Non sono entrata nel merito della resistenza perché il concetto era spiegato per bene nel post a cui ho messo il link, e perché non volevo dilungarmi troppo...
      Nello zen, la resistenza rappresenta il lato negativo (o forse più estremo) della perseveranza: l'insistenza pedante e la volontà di spingersi oltre i propri limiti quando sarebbe meglio mollare la presa.
      Essere perseveranti è un bene; opporre resistenza non lo è. Io ho fatto entrambe le cose, ma ora sto imparando ad ascoltarmi, cerco di comprendere quando la testardaggine sta diventando distruttiva e - se necessario - mollo la presa. :-)

      Pensi che sia opportuno inserire una nota in cui spiego meglio cosa intendo? Salvatore ha dato un'interpretazione ancora diversa... forse stavolta ho toppato! :-D

      Elimina
    2. Non hai toppato: per quanto mi riguarda i concetti zen, o buddisti, o quel che è, sono alieni. Proprio per questo il confronto arricchisce: si impara a vedere le cose da un punto di vista che normalmente non si potrebbe adottare. :)

      Elimina
    3. Non avevo letto l'articolo del link! Comunque hai spiegato bene nei commenti. La resistenza in senso negativo, hai ragione, voler andare oltre i propri limiti spesso è controproducente, ma credimi non sei la sola...

      Elimina
    4. è una tendenza innata di molti esseri umani, che vivono nel mentale.

      Elimina
  4. Ho qualche problema a commentare.
    Questo è il terzo tentativo e per forza di cose sarà il più essenziale.
    A volte, nella vita e nella scrittura, sono andata controcorrente e ne è valsa la pena, a volte no. Una regola, secondo me, è difficile trovarla. Di certo, però, dobbiamo accettare il nostro passato non fermarci sugli errori che magari abbiamo fatto. In quel momento abbiamo agito come ci sembrava meglio, ora siamo diversi, ma forse era necessario alla nostra crescita passare da quei punti, anche da quegli errori.
    A volte mi sembri molto dura con te stessa. Anche la tua vita devi pensarla come un corso d'acqua. I fiumi più belli sono quelli con cascate e rapide. Percorsi difficili e ostacolati. E proprio per questo belli e preziosi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se usi Chrome, ultimamente ci sono spesso problemi a commentare. È successo anche a me di non riuscire a commentare il mio blog... spero si risolvano presto!

      Hai ragione: io parlo tanto di giudizio perché giudico TANTISSIMO me stessa. É un aspetto su cui sto lavorando. In fondo abbandonare la resistenza significa anche mollare un po' la presa. :)

      Elimina
    2. P.s. per scongiurare il rischio prima di inviare il commento faccio un "copia":)

      Elimina
  5. Per il momento la resistenza è data dal fatto che non ho ancora trovato, per il romanzo, il mio stile. Che a mio parere deve essere diverso da quello impiegato nei racconti. Però, forse... Ma non diciamo nulla, e torniamo a immergerci nella riflessione ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Perché dici che lo stile dovrebbe essere diverso in un romanzo piuttosto che nei racconti? Io penso che lo stile sia identificativo dell'autore a prescindere dalla forma narrativa a cui decide di dedicarsi. In "Fango" e in "Come dio comanda", Ammaniti è sempre riconoscibile. Con un buon esercizio e tanta consapevolezza, lo stile di un autore può emergere spontaneamente, non pensi? :)

      Elimina
    2. Vero, lo stile identifica. Ma credo pure che il romanzo sia un po' diverso dal racconto, e che sia necessario modificare qualcosa nella scrittura. Arrampicare un 3000 metri è diverso da un 8000; almeno credo! :)

      Elimina
    3. Quando una persona impara ad arrampicarsi, però, conosce la tecnica e sa come muoversi. Stesso principio vale anche per lo scrittore! :)

      Elimina
  6. 1: no, sei tu che devi creare un calendario editoriale adatto ai tuoi ritmi :)
    Non credo di avere capito cosa sia il mentale...
    E non ho capito la resistenza... a cosa?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Si, certo, il calendario l'ho creato io, però era troppo stancante! :)

      La resistenza (in generale) è l'atteggiamento ostinato che porta l'individuo a voler forzare le cose e/o a intervenire su questioni che non sono in suo potere. Per esempio, se io mi ostino a portare avanti un progetto che non ha futuro, sto opponendo resistenza al cambiamento (riferendomi alla citazione: l'acqua cerca di bucare il masso), ma se ammetto il fallimento, magari potrò aprire le porte a un progetto differente e destinato ad avere successo. In questo caso, l'acqua è fluita vicino al masso e se l'è lasciato alle spalle ...

      Per quel che riguarda il mentale, per lo zen rappresenta quella zona della mente umana più legata alla materia, e quindi più propensa ad illudersi e a rimaner coinvolta in emozioni negative. è la sede della paura, dell'ansia, del giudizio e di tutto ciò che si oppone alla coscienza che, per contro, può raggiungere la verità tramite l'intuizione, in quanto non subisce interferenze esterne.

      Spero che ora sia tutto chiaro, ma se hai altri dubbi chiedi pure. :)

      Elimina
  7. Io, il concetto della resistenza adattato alla scrittura, l'ho capito; quello di cui secondo me hai veramente bisogno è credere nell'equilibrio di cui parli: cerchi di superare gli ostacoli con l'intuizione e scrivi senza fermarti pagine intere della storia che tu vuoi portare avanti in un certo modo. Bene, subito dopo, però, ti assalgono le paturnie, quel mentale che ti frena torna a "torturarti" e tu, dopo aver fatto un passo avanti, ne fai due indietro.
    Fermati! Fregatene. Chiudi i file aperti: fuori quello del blog che non riesci ad aggiornare (che importanza vuoi che abbia, chi ti conosce può ben "sopportare" che tu non sia così puntuale nelle pubblicazioni); fuori anche gli assilli sul "non sono capace", "voglio di più", "non ce la farò mai!". Sei capacissima, non farti ossessionare dalle scadenze temporali precise, dalle responsabilità che pensi di doverti assumere come obblighi morali: non servono.
    Progetta con serenità e non mescolare la tua vita nel quotidiano, così stressante e avvilente (penso al tuo lavoro) al piacere della scrittura: la scrittura dev'essere la tua isola felice, non quella dove confluiscono tutte le tue ansie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Hai ragione! È evidentemente opportuno che io impari ad accettare i momenti in cui ho bisogno di riposo senza vederli come un venir meno ai miei propositi: quando un giocatore si allena con una gamba rotta finisce per mettere a rischio la salute e rovinarsi la carriera...
      Per fortuna, come ti accennavo via mail, il momento più duro, con la grossa scadenza di ieri, é passato: se da settimane faccio in ufficio più ore dell'orologio, adesso ci sono due ponti, e poi le ferie di Natale (2 settimane!) quindi sarò più rilassata e anche scrivere sarà più facile. :)

      Elimina
  8. Sono molto d'accordo con te (ma già lo sapevi!). L'intuito ti mette davvero in collegamento con il tutto. Imparare a riconoscerlo e ascoltarlo è fondamentale ma non facile, visto che l'intuito sussurra, non urla. E' anche importante non confonderlo con l'istinto, cosa molto diversa. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Per imparare ad ascoltare l'intuizione ci vogliono anni. Io stessa - nonostante mi dedichi a questa filosofia da sette anni - a voce mi lascio ingannare dal mentale. Però vale sempre la pena di provarci. :)

      Elimina
  9. Il mio problema principale è la costanza. Passo fasi di up, come in questo momento, in cui scrivo ogni giorno e riesco a combattere per tagliare fuori tutto il resto, almeno per un'ora ogni mattina, e fasi di down, come mi è già capitato tre o quattro volte negli ultimi due anni, in cui per un mese o due non riesco a tenere testa agli impegni, alle preoccupazioni e alle menate quotidiane. In quei momenti, per quanto possa sembrare assurdo, non trovo nemmeno un'ora di tempo al giorno per scrivere, non tanto perché non potrei, fisicamente, trovarla, quell'ora, ma perché "non ho la testa" per farlo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Capisco benissimo di cosa parli perché è una sensazione che ho vissuto di recente: volendo si potrebbe scrivere, ma la testa non ce la fa, dunque si preferisce rimandare e procrastinare. Forse è un bene, perché la forzatura non porterebbe nulla di buono. Però che rabbia! :-D

      Elimina
  10. La mia forma di resistenza si può sostanzialmente riassumere nella parola "dovere" che a volte mi condiziona anche nella scrittura, sia la scrittura di un post per il blog sia il romanzo o altro. Tendo a crearmi obblighi che non esistono e che solo io percepisco come tali.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il concetto di "dovere" è deleterio per la scrittura. Io stessa ne ho sperimentato appieno tutti i lati negativi. Cerco quindi di far leva il più possibile sulla mia volontà. :)

      Elimina
  11. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

La volontà di essere un Jolly

Appunti a Margine cambia casa

Freedom writers - il valore della scrittura di getto

La descrizione fisica dei personaggi

Letture che ispirano - La trilogia del male di Roberto Costantini

L'arco temporale di una storia: quando passano gli anni.

Con le mani nei capelli - manuali e guest-post

Sfida di scrittura - racconto di 1000 caratteri.

Liebster Award: un'occasione per conoscerci meglio.

Parolacce, gergo e regionalismi: usare con cautela.