Guest post (3). Le oscure trame dello scrittore.


Questo è un periodo d'oro per i guest-post su "Appunti a Margine". Dopo Salvatore Anfuso, oggi è il turno di un'autrice alla quale mi sento (anche se ci conosciamo solo virtualmente) particolarmente legata: Grazia Gironella
Forse non sapete che lo scorso inverno, dopo un rocambolesco tentativo di riprendere a scrivere dopo anni, ho ripassato le tecniche narrative stampando articoli dal suo blog e leggendo il suo manuale "Per scrivere bisogna sporcarsi le mani". Credo quindi che abbia avuto un ruolo importante nell'aiutarmi a togliere un po' di ruggine dalla mia tastiera. Ammiro moltissimo la precisione e la chiarezza con cui spiega tattiche e strategie per scrivere al meglio, senza mai salire in cattedra ma mantenendo viva la sua umiltà e la sua grande disponibilità al dialogo. 
Ne approfitto per comunicarvi che fino a metà novembre potrei non riuscire a rispettare alla lettera gli appuntamenti del lunedì e del giovedì, in quanto ho una scadenza legata al mio "lavoro vero" che mi terrà parecchio impegnata. Cercherò comunque di mantenere due aggiornamenti settimanali perché mi diverto tantissimo in vostra compagnia!


Quando Chiara mi ha chiesto di scrivere un articolo per il suo blog che avesse per argomento la trama, mi sono presa qualche giorno per riflettere. Che argomento sentito e risentito! L’incidente scatenante, la tensione che cresce fino ad arrivare al climax, la risoluzione nelle ultime pagine… cosa posso aggiungere a ciò che mille altre persone, più qualificate di me, hanno già detto?
La mia esperienza personale, forse. Per questo non disegnerò linee, puntini, picchi e valli, ma vi racconterò gli elementi che per me si stanno dimostrando cruciali, nella speranza che siano utili anche a voi.
Qual è il primo intoppo relativo alla trama? Inventarla.
Io, che come vulcano di idee sono abbastanza quiescente, questo problema me lo pongo per forza. L’ipotesi di mettermi a scrivere un romanzo di trecento pagine o più senza sapere cosa racconterò non mi sfiora nemmeno. Con un racconto potrei sperare che lo spunto iniziale sia sufficiente a farmi arrivare alla parola fine, ma con un romanzo… L’idea di sprecare mesi su un lavoro incompiuto mi fa rabbrividire. D’accordo, non è tempo sprecato ma sano esercizio… un esercizio un po’ troppo ingombrante in termini di tempo, per i miei gusti.
È facile credere che la trama possa nascere a tavolino dal nulla; io, almeno, per un certo tempo l’ho creduto. Ma se mi metto davanti a una pagina bianca di Word pensando a cosa far succedere a dei generici Tizio e Caio, meglio che mi prepari provviste e giaciglio. Anche ammesso che nasca qualche idea, di solito fa schifo. Perché? Manca la scintilla, quella vera, che accende interesse in me per prima e forse – nella migliore delle ipotesi – lo accenderà nel lettore.
C’è di bello che la scintilla, quando non è già scoccata, non c’è bisogno di attenderla sotto forma di dono della Musa. Libri, film, quotidiani, canzoni, incontri, sono tutte ottime fonti di spunti. C’è sicuramente una tematica, una persona, un evento che suscita in noi sentimenti netti e ci fa riflettere o commentare con calore. Eccola lì, la scintilla. Quando l’abbiamo trovata, dobbiamo accostarle una pagliuzza. Niente pagliuzza, niente fuocherello.
Se la scintilla è una persona che ci piacerebbe avere come protagonista della nostra storia, la pagliuzza sarà la risposta alla domanda: “qual è la cosa peggiore che potrebbe trovarsi ad affrontare questa persona?”. Se la scintilla è una situazione o un evento, la domanda diventerà: “chi, in questa situazione, sarebbe il più drammaticamente coinvolto e perché?”
Insomma, avete capito: il motore si avvia quando le due si combinano. Ci serve però un terzo ingrediente per far partire il mezzo: chi/cosa può ostacolare gravemente il nostro personaggio nel raggiungimento dei suoi intenti?
Ed eccoci qui con un bel piatto pronto, energetico ma a basso contenuto di grassi. Abbiamo un problema serio da risolvere, un buon “chi” e un buon nemico per questo “chi”. È ancora poco, naturalmente, per reggere centinaia di pagine, ma è più che sufficiente per dare il via alle mille domande sul “dove”, il “come”, il “quando” e il “perché”.
Per ogni domanda è utile buttare giù (sì, proprio in questi termini) tutte le risposte che ci vengono in mente, anche le più assurde, come ci insegna l’intramontabile brainstorming. Solo così possiamo andare oltre le prime idee, che spesso sono basate sul cliché e sul già sentito, per arrivare a qualcosa di più interessante. Questo non significa che la prima idea sia per forza da scartare; ma non lo scopriremo mai, se non esploriamo seriamente tutte le possibili alternative.
Un altro punto che trovo importante è una chiara consapevolezza del rapporto causa-effetto. Quando iniziamo a stendere una scaletta dei nostri punti di trama, può venirci la tentazione di ragionare in termini di “X fa questo e Y fa quest’altro”. In fondo se i due fatti si susseguono in un modo plausibile, qual è il problema? Che dovremmo riuscire a collegare gli eventi con un perciò, piuttosto che semplicemente con un e. Nella storia, da cosa deve nascere cosa. Non è sufficiente che a noi faccia comodo creare quella determinata sequenza di eventi; bisogna che essa sia la più logica all’interno della storia (e magari anche un tantino originale, ma non iniziamo ad arrampicarci sugli specchi). Se così non è, il lettore inizierà a domandarsi perché il personaggio non ha scelto di comportarsi diversamente, se questo gli era possibile e risolveva il problema. In pratica lo distrarremo dal sogno narrativo per attirare l’attenzione sulla nostra incompetenza, e non è una bella cosa. Ma le sorprese, i colpi di scena? Anch’essi devono possedere una certa logica, o al lettore non comunicheranno molto.
Dite che anche ne “Il Signore degli Anelli” Gandalf avrebbe potuto chiamare la regina delle aquile e chiederle di prendere l’anello per gettarlo negli abissi del Monte Fato? Eh sì, avete ragione. Questi problemi capitano anche ai grandi autori. I grandi autori, però, sono tali anche perché sanno creare il contesto in cui queste possibili incoerenze diventano invisibili. Magari lo sappiamo fare anche noi. O magari no…
L’ultimo elemento che vorrei sottolineare è l’importanza dello sviluppo dei personaggi principali nel pianificare la trama. Questa bella frase, che suona molto professionale, può lasciare del tutto indifferenti.
Lo so, molte persone si annoiano a lavorare in profondità sui personaggi prima di iniziare a scrivere, lo trovano inutile o persino dannoso; ma facciamo un’ipotesi calata nella realtà: qualcuno vi chiede, di una persona che conoscete appena, cosa ne pensa della fame nel mondo oppure se di fronte alla morte della madre si strapperebbe i capelli o si chiuderebbe in un silenzio di pietra. La domanda deve riguardare un argomento che tocchi i suoi sentimenti, non una banalità quotidiana. Credo che chiunque allargherebbe le braccia. “Come faccio a saperlo, se lo conosco solo di vista?”
Appunto. Conoscere bene i personaggi principali significa essere in grado di farli reagire agli eventi nel modo più profondamente coerente con ciò che sono. Questo non impedirà loro di crescere nel corso della storia, così come conoscere bene noi stessi non è di ostacolo al nostro sviluppo personale, ma semmai ne è l’unica base possibile. E poi si sa, le varianti in corso d’opera sono la normalità. I personaggi possono e devono sorprenderci, anche quando crediamo di conoscerli bene. Non succede anche con le persone reali? La differenza è che le persone reali reggono il timone della propria vita mentre, nella storia, al timone c’è – giustamente – l’autore.

La guest blogger.
Grazia Gironella è autrice del manuale di scrittura creativa "Per scrivere bisogna sporcarsi le mani", del romanzo "Due vite possono bastare"e del racconto lungo fantasy "Tarja dei lupi". I suoi racconti sono inoltre presenti in diverse antologie. Sul suo blog, Scrivere è Vivere, ci racconta quanto è bello scrivere, e ci dà importanti dritte per poterlo fare al meglio. 

Commenti

  1. Bel post, brava Grazia. Ha attirato la mia attenzione soprattutto quel "perciò" che non è affatto banale né così scontato come si potrebbe pensare. Scrivendo, o progettando, spesso si perde di vista lo scopo: raccontare una bella storia al lettore. Che la sequenza di eventi debba anche essere logica in un divenire costante (da cosa nasce cosa) è una di quelle cose che l'autore poco esperto potrebbe perdere di vista. Grazie per averlo ricordato! ;)

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    1. In effetti il "perciò" non è sempre istintivo; o almeno non lo è stato per me. :)

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  2. Post interessante, Grazia :) E' piaciuto molto anche a me il discorso causa-effetto, è una cosa da non sottovalutare. Condivido moltissimo anche l'accento sui personaggi e sul fatto che solo conoscendoli a fondo si può tratteggiare una buona storia.

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    1. Quando leggo, un protagonista che mi prende è il vincolo più forte per finire il libro. Mi piacerebbe riuscire a fare lo stesso effetto a chi mi legge.

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  3. Una piccola riflessione sullo "scrivere di getto". Mi rendevo conto, proprio poco fa, di quanto sia vago questo concetto. Cosa significa veramente? Sedersi davanti alla pagina bianca senza avere nemmeno una vaga idea di quello che si andrà a scrivere oppure seguire la così detta scintilla per vedere dove ci porta?
    è impossibile scrivere un romanzo nel primo dei precedenti modi, e ci possono essere difficoltà anche con le singole scene mentre credo che seguire la scintilla possa condurre a risultati magnifici anche senza una progettazione nel dettaglio, sebbene ogni tanto sia fondamentale fermarsi e comprendere dove si voglia andare a parare per non brancolare nel buio.
    Il bello della scrittura è che ognuno, con il tempo e con l'esperienza, può arrivare a creare un metodo coerente con la propria personalità. :)

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  4. P.S. Le schede dei personaggi, invece, sono fondamentali!

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    1. E' vero, ognuno deve arrivare a crearsi un proprio metodo, che può anche funzionare per lui e per nessun altro. Solo che si va per tentativi, e occorre pazienza, oltre a un po' di voglia di mettersi in discussione.

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  5. niente pagliuzza, niente fuocherello: sarebbe da twittare! Un consiglio così semplice, così ovvio, e tuttavia spesso dimenticato, anche da autori pubblicati che ci propongono storie noiose e banali.

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    1. Per gli autori famosi forse nascono altre difficoltà: in teoria sono già professionisti, perciò non hanno più bisogno di pensare agli argomenti di cui parliamo noi, ma magari mettono il pilota automatico... e non sempre funziona.

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  6. Come sempre un bel post! Quello che pensavo leggendo (con la scarsa concentrazione che una giornata di lavoro + 4 ore di corso sulle nuove tecnologie applicate alla scuola mi hanno lasciato) è che alla fine la trama deve sembrare al lettore fluida e necessaria. Di tutto questo di cui noi autori parliamo, il lettore meno ne vede e meglio è. Non deve pensare in termini di conflitto del personaggio, né a tutti i nostri problemi. Deve scivolare nella storia, fluire con essa, senza pensare se questa avrebbe potuto svoltare su altri corsi. Mi chiedo a volte, e rimpallo a voi la domanda, se a volte non ci mettiamo troppa tecnica (io in primis, che mi sono sparata due anni di master su questo), dimenticando che ci siamo innamorati anche di trame imperfette (Il Signore degli Anelli, appunto), che però ci hanno portato via con loro

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    1. Può succedere di dare troppa importanza alla tecnica. Ci penso spesso anch'io. Bisognerebbe ricordare sempre che sono concetti utili, ma non sono il fulcro di tutto. Le storie sono sempre esistite, anche quando l'espressione "scrittura creativa" avrebbe suscitato soltanto un grugnito.

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    2. Quella sull'eccesso di tecnica è una riflessione sorta qualche giorno fa. Magari, ne trarrò un post. Mi capita, infatti, di leggere scritti di autori poco esperti che vogliono applicare in modo pedissequo le tecniche apprese sui vari manuali di scrittura, dando al tutto un sapore vagamente artificioso: un cliffhanger buttato lì come il cavolo a merenda, segreti attribuiti ai personaggi dei quali la storia potrebbe tranquillamente fare a meno e così via.
      Sinceramente penso che questi stratagemmi siano paragonabili al trucco di una donna: mi diceva una mia amica estetista che per un look acqua e sapone occorre almeno un'ora di lavoro, ma il risultato è estremamente naturale. Inoltre, lei consiglia alle clienti di evitare trucchi vistosi, perché hanno un impatto negativo e trasmettono un'idea di "finzione" fin troppo visibile.
      Il nostro impegno come scrittori, secondo me dovrebbe essere finalizzato ad utilizzare la tecnica in modo costruttivo senza perdere di vista naturalezza e spontaneità. Dopo tutto siamo artisti, e non ingegneri.
      Siamo poi veramente sicuri che tutto debba essere assolutamente armonico? Tornando al paragone con la moda, molti stilisti tendono ad inserire volutamente delle stonature all'interno dell' outfit, che danno personalità e scardinano l'omologazione. Esempio: un look total-black con una bella borsa arancione! Qualche "sbavatura" ci sta purché sia voluta, consapevole, e finalizzata a migliorare il tutto.
      A proposito di trame carenti, ieri sera mi è capitato di rivedere per la terza volta il film "Piccolo Buddha", del 1993. Il conflitto è praticamente assente, a parte qualche perplessità del padre del bambino nel lasciarlo andar via con i monaci (5 minuti di dubbi) ed i tormenti del principe Siddharta prima di unirsi agli asceti. Ci sono anche alcune forzature legate al tema della reincarnazione, che chi come me è vicino al buddhismo non può non notare... Eppure rimane sempre uno dei film più belli che abbia mai visto. :)

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    3. Il nostro tentativo di capire i meccanismi della narrazione è per forza un'operazione artificiale. Di fatto ci limitiamo a osservare gli ingranaggi e cercare di intuire come funzionano. Ma una storia è molto più della somma degli ingredienti che ci metti dentro, così come una persona è molto di più di una serie di organi cuciti insieme. Eppure questo imperfetto tentativo di conoscenza è utilissimo, perché ci dà le consapevolezze necessarie ad andare oltre con più sicurezza. C'è chi "oltre" ci sa andare anche da solo. Io non so se ne sarei capace e in quanto tempo, perciò ringrazio per questo aiuto, ma so che scrivere non si riduce a questo. E' come nel taiji: impara le regole, così poi potrai ignorare le regole. Dove puoi arrivare, chi lo sa?

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  7. Complimenti! Un articolo ben fatto e molto analitico che si intreccia benissimo con quello di Lisa Agosti sulle motivazioni dei personaggi. Avete tramato insieme?
    Secondo me, l'impegno e la bravura dello scrittore sta nel tenere accesa la fiamma della storia proteggendola con le mani dalle folate di vento.

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    1. Se ti va, anche qui si parla di motivazioni :) http://appuntiamargine.blogspot.it/2014/10/un-piccolo-gesto-crudele-e-le-sue.html

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    2. Sì, tramiamo ma inconsapevolmente :)
      Deve essere telepatia!

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    3. Grazie dell'apprezzamento! Sai che la metafora della fiamma da proteggere mi è molto cara? Non soltanto in ambito scrittura, in realtà.

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  8. Ho subito letto il tuo articolo perché se l'avessi messo in coda, chissà quando l'avrei letto.
    Il tuo articolo rafforza l'idea che un personaggio vive nella storia solo se è motivato e rafforza anche la mia convinzione che sono sempre i libri più brutti che ti insegnano a scrivere meglio.

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    1. E' proprio vero. Quando leggo qualcosa che non mi convince, mi trovo a fare la radiografia della storia per capire cosa non va. Per fortuna quando la lettura mi convince riesco a gustarmela senza fare osservazioni scientifiche. (Le faccio lo stesso, in realtà, ma solo a posteriori.)

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