Personaggi: le qualità che possono alimentare stereotipi


La bellezza non è una qualità delle cose stesse:
essa esiste soltanto nella mente che le contempla.
(David Hume)


L’idea per questo post è nata da un articolo pubblicato da Antonella Mecenero sul suo blog, “Inchiostro fusa e draghi”. Il pezzo, intitolato Vipresento Mary Sue, evidenziava la tendenza di molti scrittori esordienti a creare personaggi stereotipati e apparentemente privi di difetti, con i quali condividono alcuni tratti psicologici e biografici.
Esistono generi che hanno costruito una fortuna intorno a Mary Sue e al suo corrispondente maschile Gary Stu ma, se vogliamo creare personaggi di spessore, dobbiamo prestare molta attenzione alle caratteristiche che rischiano di trascinarci nella banalità dei cliché di basso livello.


Bellezza

Nei romanzi, il rischio di creare un bello stereotipato è sicuramente minore che non nei film, in quanto il lettore non vede il personaggio ma può soltanto immaginarselo. Ciò nonostante, è meglio evitare di tirare in ballo bellocci palestrati e sosia della Barbie, a meno che la loro bellezza non abbia una stretta attinenza con la trama. In tal caso, si dovrà fare in modo di donare spessore psicologico al personaggio, affinchè la sua essenza non si riduca ad un mero ideale di perfezione fisica.

A livello di progettazione, preparo sempre una descrizione fisica dei personaggi trovando per ciascuno di loro almeno uno o due difetti da mettere in evidenza a livello descrittivo. L’idea di normalità è la mia guida principale. Non esistono, al giorno d’oggi, persone che possono essere considerate belle o brutte in senso assoluto. Ciascuno di noi può avere tratti che generano attrazione ed altri che sono fonte di complessi. Il vostro protagonista può essere un ragazzo alto e atletico, ma farsi crescere i capelli per coprire le orecchie a sventola. Oppure, la protagonista ha dei meravigliosi occhi verdi…terribilmente miopi. Questo è ciò che intendo per realismo estetico.

Alcuni manuali suggeriscono di cercare delle fotografie che possano essere fonte di ispirazione. C’ è chi preferisce prelevare immagini di attori conosciuti, ma io preferisco spulciare il web e i social network alla ricerca di persone comuni. Per carità, avere un protagonista con la faccia di Raoul Bova o Luca Argentero non mi farebbe tanto schifo. Ma, se così fosse, non lo troverei di certo a litigare con la fidanzata in un bar di periferia. Al massimo, potrei trasformarlo in un modello di Dolce e Gabbana.
Personalmente, ho riscontrato due fattori che mi aiutano ad evitare lo stereotipo:

1) la scelta di utilizzare una terza persona limitata che si spalma su più punti di vista crea un filtro: i personaggi sono descritti in base a ciò che altri soggetti vedono di loro. L’ l’idea che emerge del loro aspetto fisico, quindi, non è oggettiva, ma frutto dell’interpretazione di chi guarda, dei suoi sentimenti e delle energie che percepisce.

2)la storia che racconto copre un lasso di tempo piuttosto lungo, per cui i personaggi subiscono notevoli cambiamenti a livello fisico. Passano da momenti di “splendore” ad altri di “declino”. Ci sono gravidanze, incidenti, depressioni, dimagrimenti notevoli dovuti a fattori esterni… Come nella realtà, il tempo crea una cassa di risonanza e le esperienze trasformano.

In generale, cerco di far leva più sul fascino che non sulla bellezza intesa in senso lato.


Ricchezza 

Gary Stu, oltre ad essere generalmente un belloccio palestrato, va a prendere la biondina con il Ferrari, abita in una villa sulla collina, organizza feste ed eventi mondani. Non rifiuta mai di offrire da bere. 

Soprattutto in un momento di crisi economica come quello che stiamo attraversando, un soggetto del genere può rendere difficile l’immedesimazione o irritare il lettore. 

Nel caso in cui, ai fini della storia, sia importante inserire un personaggio benestante, come tutelarsi dai rischi di cui sopra?
Ho lavorato parecchio su tale aspetto. Sto scrivendo un romanzo che comprende molti personaggi, appartenenti a contesti socioculturali diversi. Il mio intento fornire una panoramica piuttosto ampia della realtà italiana, dunque ho anche il “riccone”.
 
Con soggetti di questo genere, si rischia di cadere in due differenti stereotipi: lo “sborone” e il “ribelle”. Esiste però anche una via di mezzo che esclude sia l’ostentazione sia il rifiuto: la spontaneità.  

Spesso, chi nasce ricco non ha alcun bisogno di farlo notare. A tirarsela sono prevalentemente i parvenu. Alcuni dettagli possono informare sulla sua condizione, ma non dobbiamo darci troppo peso, a meno che il punto di vista non appartenga ad un osservatore esterno che ne rimane colpito in modo positivo o negativo. Se la nostra protagonista apre l’armadio, non dice certo “toh, oggi mi metto questo tallieur di Armani”. La mente di una ragazzina viziata esclude che, nel proprio guardaroba, possa esserci una maglietta di cinesi. Afferra il completo e se lo butta addosso, con naturalezza. La sua mente si concentra su altri dettagli, ad esempio il colloquio di lavoro che dovrà sostenere.

Anche noi dobbiamo focalizzarci su ciò che è realmente importante e domandarci quali aspetti, del personaggio benestante, sia opportuno evidenziare in relazione alle nostre finalità narrative.  Conoscerà l’amore della sua vita durante un viaggio? Offriamogli la possibilità di acquistare un biglietto aereo. Deve mettere a disposizione il suo castello per il matrimonio di un amico? Perfetto. Scriviamo la storia, di questo castello. Spieghiamo come l’ha avuto. Evidenziamo solo ciò che serve In questo modo, la ricchezza cessa di essere un tratto distintivo del personaggio ma diventa funzionale a spiegare determinate scelte fatte nel corso della storia, un certo tipo di educazione e linguaggio, uno stile di vita. 

Se non esiste una reale utilità, per quale ragione dovrei comunicare al lettore che Mario Rossi è milionario? Perché non dire anche, quindi, che nel tempo libero gioca a calcio?

Abbiamo bisogno di evidenziare ogni quattro righe che indossa camicie di Dolce e Gabbana? Assolutamente no, a meno che queste camicie non siano tutte identiche, stile Man in Black.

Successo/Popolarità 

Esiste un  retaggio inconscio tale per cui il successo è automaticamente associato alla forza caratteriale. Vogliamo un personaggio determinato? Ecco che subito spunta fuori il carrierista senza scrupoli che non sbaglia un colpo, il  donnaiolo impenitente, il goleador, il cantante rock acclamato dalle folle.

Potrebbe essere sufficiente riequilibrare i due piatti della bilancia facendo in modo che, in un altro settore della vita, il nostro eroe sia un fallimento totale. Un classico (anch'esso sul confine del cliché) è l'imprenditore di successo che trascura la famiglia.

Io ho preferito andare oltre: anche nel proprio habitat naturale, il personaggio va incontro a piccole frustrazioni e fallimenti che pongono interrogativi, generano conflitti, alimentano dubbi. Accade a tutti noi, del resto. Prendiamo ad esempio la scrittura: a chi non è mai capitato di toppare una scena o fare errori stupidi, da prima elementare? La realtà è questa e, se scaviamo nel profondo, possiamo trovare moltissimi esempi di questo tipo. La donna incantevole si sveglia, prima di un appuntamento importante, con un brufolo sulla fronte. calciatore si rompe un ginocchio o colpisce la traversa. Il secchione prende 4. Il cantante super-popolare ha una nutrita schiera di detrattori.
 

La perfezione assoluta non esiste ed il successo si ottiene grazie alla lotta, alla gavetta e ai sacrifici. Non per grazia divina o botta di culo. Ogni medaglia, anche quella più lucida, ha un lato ombroso e sporco. Mettiamolo in evidenza, dunque. Ed il risultato sarà una figura sfaccettata e complessa. 

Talento

Per il talento, vale lo stesso principio di cui sopra. 
Molti individui hanno una o più capacità particolarmente evidenti, spesso non assecondate o espresse fino in fondo. In altri frangenti, tuttavia, possono risultare decisamente negati. Mettiamo in luce tale mancanza. Facciamolo con ironia. Poniamoci come obiettivo quello di garantire un completo equilibrio fra le forze.
Può darsi che il genio del computer non sappia nuotare, il talento musicale sia dislessico, lo scrittore abbia la forza fisica di un bambino di sei anni.

Per concludere.
Il mio suggerimento è quello di estrapolare più informazioni possibili in sede di progettazione. Già ne ho parlato qui, in uno dei primi post. Se, mentre scriviamo, ci vengono in mente altre idee, prendiamone nota. Può darsi che alcune di esse non usciranno mai dalla scheda. Può darsi che cambino, strada facendo. Ma è meglio tenersi a portata di mano numerose alternative a cui far ricorso in sede di stesura e di revisione, in modo da poter aggiustare il tiro qualora ci si dovesse render conto di avere una Mary Sue o un Gary Stu per le mani. 

Magari il nostro personaggio non è stereotipato in senso lato, ma ci sono elementi a rischio: occorre quindi armarsi di cesello ed intervenire sulle caratteristiche che lo banalizzano. È un dono che facciamo a lui e anche a noi stessi.

E voi, ditemi un po', come affrontate tali caratteristiche? Vi vengono in mente altre caratteristiche a rischio stereotipo oltre a quelle da me elencate? Proprio ora, che mi accingo a concludere l'articolo, ho pensato al carisma. Sarà per la prossima volta!

Commenti

  1. Adoro (e invidio) davvero molto come affronti i temi, ci sono moltissime informazioni utili eppure l'esposizione non ti sommerge. Al solito, da te si impara. E con piacere.

    Sai cosa mi sento di aggiungere? La bontà assoluta. STU sa bene cosa fare, e in ogni situazione sa consigliare al meglio. Se dice "Fai", l'amico fa, perché lui è il bene. Non ha oppositori, i nemici sbagliano, sono pazzi, e per lui una rondine fa la primavera. Non cresce, non ha dubbi. Insomma, STU è uno che la sa sempre lunga ;).
    Chi non apprezza STU, nasconde qualcosa!

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    1. Per scrivere in questo modo ho trovato un mio metodo, ma il rischio è sempre quello di essere prolissi... e, in narrativa, di rallentare molto.

      L'aggiunta è validissima: spesso Mary Sue e Gary Stu sono intrisi di buonismo, specchio mediocre di una società che predica bene.

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    2. Ma possiamo creare uno Stu bello, ricco, di successo e buono per il puro gusto di farlo morire tra atroci sofferenze?
      Ehm... Mi sa che è uscita la parte sadica della giallista...
      A parte questo, ottimo post!

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    3. Grazie Antonella! :)
      Ovviamente, dopo la morte fra atroci sofferenze, si scopre che Stu in realtà era un sadico, dedito al bondage, la sua ricchezza derivava da traffici illeciti e il suo corpo fighissimo era passato più volte sotto i ferri del chirurgo!

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  2. un po quello che ci rinfaccia la tivvi. tutti al top.

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  3. Ottimo post, come sempre. In una frase, direi la mancanza di sfumature. Per lui il mondo o lui stesso è tutto bianco o tutto nero senza campiture di grigio. Gary Stu non è solo ricco, è sfacciatamente ricco, non è solo bello, è stupendamente bello, non è solo buono, è terribilmente buono... Che noia!

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    1. Io conosco un Gary Stu che di sfumature di grigio ne ha cinquanta... però è ugualmente odioso (ce l'ha mia mamma e sono arrivata a pagina 5 per pura curiosità). Scherzi a parte, bella osservazione :)

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  4. Terminando la lettura del tuo post molto interessante e approfondito, mi viene da pensare che forse i personaggi nascono sempre nella nostra mente sotto forma di Mary Sue e Gary Stu, perché corrisponde al suo funzionamento storare tipi e informazioni varie sotto forma di categorie. La differenza la facciamo quando andiamo oltre... o non lo facciamo.

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    1. Ti ringrazio per i complimenti e concordo con te. Spesso inconsciamente ci si basa su "categorie universali", acquisite quasi inconsciamente. Spetta a noi saper trascendere, acquisire consapevolezza di ciò che stiamo facendo ed approfondire...

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  5. Chiara, la tua analisi è molto precisa. Sono d'accordo con Grazia circa la nascita dei personaggi come stereotipi su cui bisogna lavorare molto. Mi ricollego alle parole di Nuvole Prensili per quanto riguarda le caratteristiche degli stereotipi, in genere i personaggi stereotipati hanno un'autostima incrollabile, non si pongono mai dubbi, non vacillano mai, sanno sempre cosa fare.

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