Gli effetti della mia clausura creativa

Immagine scattata il 5 novembre 2017, durante il viaggio di ritorno da Novello.

Noi perdiamo tre quarti di noi stessi per essere come le altre persone.
(Arthur Schopenhauer)

Per ritrovare la connessione con il nostro sé creativo è a volte necessario come se fossimo le uniche persone sul pianeta. Ma ciò ci fa sentire degli stronzi. Solo qualcuno che ci ama può comprendere quanto abbiamo bisogno, noi scrittori, di rimanere soli con la nostra opera. Ringrazio quindi il mio compagno, Beppe, per avermi convinto a fare quanto ipotizzato nel post #imieiprimipensieri – caos: sono partita per il Piemonte mercoledì 1° novembre con l’intento di dedicarmi esclusivamente al nuovo romanzo e sono rimasta sola nella casa di famiglia fino alla mattina del 4 novembre, quando lui mi ha raggiunto. In queste settantadue ore mi sono sottoposta a un rituale di passaggio che ha trasformato ogni mio atomo. Prima ero una persona che si dilettava con la scrittura. Ora sono una scrittrice vera. Non ancora "pubblicata", ma consapevole del mio scopo. Non ho più bisogno di costruire un mondo parallelo che mi consenta di dedicarmi all’arte senza bisogno di giustificazioni, perché le molteplici sfaccettature della mia esistenza si sono fuse in un'unica e inequivocabile realtà: io scrivo. Perché mi rende felice. E nonostante i miei mille difetti, lo faccio con orgoglio. 

IL ROMANZO SENZA TITOLO
Mettere in stand-by il libro cui sto lavorando da anni non è stato facile. All’inizio mi sentivo come se avessi tradito l’amore della mia vita per una sveltina da quattro soldi. Ma è stata una decisione necessaria. La scorsa estate stavo attraversando un periodo di crisi creativa che mi aveva fatto perdere lo smalto. Non mi divertivo più. Consapevole del tempo che ancora mancava (e manca tutt’ora) affinché il cantiere del super-tomo potesse essere chiuso, il mio bisogno di semplicità aveva fatto nascere in me il desiderio di concentrarmi su un progetto creativo più semplice, così da poter affrettare il mio esordio e attenuare la paura di essere un’incapace. Mentre rimuginavo sul da farsi, Antonella mi ha segnalato un concorso che secondo lei poteva interessarmi. Ho letto il bando. Cinque minuti, non di più. Subito dopo mi sono trovata a saltare per la stanza, inneggiando alla sincronicità di Jung e alla benevolenza del Karma: l’universo aveva appena infilato le sue mani dentro i miei dubbi, suggerendomi la risposta che mancava. La tematica dell’elaborato da consegnare al concorso, infatti, rispecchiava perfettamente un’idea che mi ronzava in testa da circa un annetto e alla quale mi sarei dedicata non appena avessi archiviato la pratica del “mattonazzo”. Siccome la mole di lavoro non mi sembrava eccessiva, pur avendo a disposizione solo pochi mesi, ho deciso di provare. L’ho fatto a modo mio, come sempre. E credo che abbia funzionato.
A luglio mi sono buttata sulla stesura del nuovo romanzo con un metodo che farebbe rabbrividire qualunque guru di scrittura creativa, compresa la vecchia me stessa: dopo aver definito le caratteristiche dei personaggi e aver fissato i principali snodi della trama, ho iniziato subito a scrivere. Il lato positivo di questa metodologia rocambolesca è stato l’aver proceduto con una discreta velocità, cosa che non era successa con l’opera precedente. L’assenza di blocchi ha confermato che la mia scrittura è più produttiva ed efficace quando sono libera di muovermi al di fuori di una progettazione troppo serrata e di seguire la mia ispirazione. Sicuramente farò tesoro di quanto appreso. Tuttavia, la fretta non mi aveva ancora concesso abbastanza tempo per innamorarmi della storia.  Mancava l’entusiasmo che aveva guidato le mie mani nella stesura del super-tomo, perché non avevo ancora avuto l’occasione per buttarmici a capofitto.
Dedicarmi a questo progetto dalla mattina alla sera ha cambiato le carte in tavola. Sono riuscita a scrivere di getto, come piace a me, senza concentrarmi sulla performance ma solo sul processo creativo. Se un pensiero limitante cercava di sviarmi, lo mettevo a tacere senza troppi complimenti. Rinunciando a giudicare me stessa, ho lasciato alla storia la possibilità di disegnarsi da sola. L’energia che trattenevo in gola è stata liberata. Il terzo occhio è riuscito a vedere tutto ciò che il mentale, con il suo chiacchiericcio, mi aveva sempre nascosto. Due personaggi, in particolare. Mi sono sembrati umani come non mai. Perché li ho tenuti così poco in considerazione? Forse perché il concorso chiede di concentrarsi sulle donne, e loro sono uomini? Sì, è per questo. Però hanno entrambi delle potenzialità e un messaggio importante da trasmettere. Anche se la struttura non mi consente di “consegnare” loro il punto di vista (almeno per ora: le idee malsane non mancano mai…) forse vale la pena di farli parlare un po’ di più. Così come l’ambientazione. Anche Sanremo può parlare e diventare un personaggio a sé stante. Inizialmente ho scelto questa location per essere agevolata sotto il profilo documentale, ma la mia città ibrida, né metropoli né paesino, può mostrare una realtà sconosciuta ai più, fatta di mare e di montagna, di imprenditori rampanti e di coltivatori. Forse vale la pena mettere in evidenza il mondo che si dipana al di fuori del teatro Ariston, un universo molto più contraddittorio di quello filtrato dalle telecamere della RAI, una realtà sociale che merita di essere messa in scena. Come i dialoghi. Come quegli episodi che all’inizio mi faceva tanta paura raccontare. Come tutta la storia. Sì. Tutta quanta. Desidero davvero raccontarla. Lo desidero tantissimo. I temi che affronto mi stanno a cuore, mi appartengono. Quindi, mi sono posta una domanda: il limite di parole imposto dal concorso non rischia di penalizzarmi? E la risposta (sì!) invece di mandarmi nel panico, mi ha rincuorato. Voglio partecipare lo stesso, sia chiaro. Ma arrivata a un passo dalla conclusione della prima stesura mi sono accorta che una cinquantina di pagine in più mi consentirebbero di arricchire i contenuti, rendendo il mio messaggio ancora più forte. Alla luce di tale consapevolezza, la paura di non terminare la revisione per tempo svanisce. Ora so che, se dovessi bucare il termine del 31 dicembre, con qualche mese di lavoro in più potrei avere tra le mani qualcosa di ancor più valido. Con il part-time il tempo non è più una scusa. Ce la posso fare. Anzi: ce la farò! E sarà un buon lavoro.

SENZA SOVRASTRUTTURE
A Novello non ho dato importanza a nulla, se non alla scrittura. Eliminare il superfluo: chissà perché chi spiega agli altri come superare i blocchi creativi non dà mai questo consiglio. Secondo me è la prima cosa da fare per mettersi a nudo davanti alla propria creatività. Quando decidi di farti terra bruciata intorno, niente e nessuno ti può interrompere, nemmeno il wi-fi. Perché il wi-fi non c’è: hai solo la connessione dati del telefono. E non te ne fai nulla, intanto lo smartphone è in un’altra stanza, in modalità silenzioso. Nelle pause guardi le montagne dal balcone, chiami la mamma e il fidanzato, mandi un messaggio all’amica che ti ha invitato a cena per dirle che sì, magari un’oretta tra un capitolo e l’altro lo trovi, giusto per ravvivare un attimo i neuroni. E ci vai, dalla tua amica. Cerchi di vestirti in maniera decente ma, mentre svuoti la valigia, capisci che l’eleganza non ti interessa. L’importante è avere i capelli puliti, le ascelle profumate, dare l’idea di essere una creatura civilizzata. I tacchi non ti servono.  Per tutto il giorno sei stata comoda, dentro una felpa, e non ti sentivi brutta per niente: quando gli occhi brillano il corpo aumenta il proprio livello di energia, cambia postura e finisce per illuminare tutto.
Viviamo di bisogni posticci, di ideali sballati, di necessità che trascendono l’essenziale. Ma abbiamo davvero bisogno di rifugiarci in mezzo al nulla per trovare la nostra autenticità? Non sempre si può scappare. Deve pur esistere una strada intermedia che ci consenta di essere liberi e creativi anche nel quotidiano. Occorre trovare un equilibrio per impedire a stimoli fuorvianti di separarci dall’ispirazione, alle routine di compromettere l’autonomia mentale che infiamma l’espressione artistica e alle convinzioni limitanti di metterci le manette ai polsi. Io in passato l’ho fatto. Anche di recente. Ho relegato la mia passione in un cantuccio, per dedicarmi ad attività che la società ritiene più utili. Ho trasformato la creatività in una sorta di premio da concedermi quando ho lavorato bene, ho fatto la spesa, spolverato i mobili, steso le mutande e stirato tutto ciò che c’era nel cesto, compresi gli stracci per la polvere. Mi sono illusa che essere una persona per bene richieda di scendere a patti con il Sistema, ma questa connivenza silenziosa ha avuto su di me un unico e devastante effetto: allontanarmi da me stessa. Adesso però mi sono ritrovata. E non mi lascerò più andare. Perché ho capito una cosa importante: il “vivere come se” di cui parlavo tre anni fa è solo un punto di partenza. Poi è necessario compiere una scelta. Bisogna decidere di essere. E basta. Io ho deciso di essere una scrittrice, con tutto ciò che ne consegue. Uno sguardo lucido e disincantato sul mondo. La rinuncia alla superficialità. Il distacco da tutti i bisogni posticci che il Sistema ha creato per me. La ricerca dell'essenza. Della verità. L'onestà sopra ogni costo, anche a costo di essere impopolare. Il sorriso strafottente del Jolly, che però non occulta la sua filantropia e il bisogno di essere solidale con gli altri esseri umani, perché dal contatto tra anime nascono le storie più belle, quelle che più di tutte le altre meritano di essere raccontate. E io voglio raccontarle, anche se ciò toglierà tempo e spazio a situazioni socialmente accettabili, ma deleterie per la mia anima.  

Il lancio della patata bollente.
So che questo post sembra troncato sul più bello. Se continuo a scrivere, la conversazione scivolerà inevitabilmente lungo un sentiero periglioso, che non dirà nulla di nuovo rispetto ai precedenti post sul Jolly e sui Nani. Lascio quindi a voi la possibilità di concludere il discorso. Fatelo seguendo la vostra intuizione, l’ispirazione. Chissà: magari ciò che direte fungerà da spunto per qualche nuovo articolo…

Commenti

  1. Ti sei trovata a saltare per la stanza: immagine buffa, ma anche a me capita :D, è quando si 'rimbalza' da un angolo all'altro della camera, in presa all'entusiasmo e alla felicità. Ad ogni modo questo post non è affatto troncato, anzi. Credo che per uno scrittore recuperare la propria essenza, nella società moderna, sia davvero complicato. Per il sottoscritto invece alla fine è sempre più facile 'rimanere se stesso' e dedicarci a cosa ci fa essere noi stessi, dopo il lavoro e messi da parte gli altri doveri. Sono pienamente d'accordo sul fatto che non sia una cosa positiva l'isolarsi in senso 'fisico', perché 'dal contatto tra anime nascono le storie più belle'. Ecco, anche noi 'non scrittori' possiamo comunque vivere e ripensare queste storie più belle, magari raccontarle in modo più semplice, ma pur sempre attraverso la scrittura. Le relazioni sono un valore. Per certi versi io sono il più socievole di tutti, forse perché (perdonami la lode, pur sapendo che chi si loda si imbroda) nel mio approccio al prossimo cerco sempre di essere costruttivo e di vedere il meglio nel prossimo.

    ps
    Mi hai davvero incuriosito, vorrei saperne di più di questo romanzo. Penso che ti manderò una mail :D.

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    1. Certamente, mandami l'email, ti dirò tutto ciò che desideri sapere. :)

      Credo che la scrittura assecondi una duplice tendenza del mio carattere, perché da un lato apprezzo la solitudine, dall'altro do grande valore ai rapporti con le altre persone. Servono entrambe le cose. Un socio-dipendente avrà difficoltà a guardarsi dentro e non riuscirà a trovare il silenzio e il contatto con se stesso, fondamentali per infiammare la creatività. Un misantropo non riuscirà a creare un contatto animico con gli altri, e le sue relazioni saranno viziate da profondi pregiudizi. Io (non per lodarmi) credo di essere riuscita a trovare un sostanziale equilibrio, ma ho dovuto lavorarci anni, non tanto per diventare così, ma per tornare quella che ero da giovane. C'è stato un periodo, una decina di anni fa, in cui alcune circostanze della vita mi avevano portato a temere e detestare la solitudine, perché la vivevo come un abbandono. Inutile dire che la scrittura ne abbia molto risentito. Per fortuna però ora sono tornata alle origini.

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  2. Giusto: serve una vita praticabile nel quotidiano che rispetti la propria anima. Non basta sognare l'occasione speciale, e nemmeno metterla in pratica e poi aspettare quella successiva. Sono assolutamente convinta anch'io che quello che conta sia come siamo nella nostra normalità.

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    1. Esatto. La scrittura è uno stile di vita. Il "vivere come se" serve se non si limita a essere un punto di partenza, ma diventa la base per un cambiamento. Se non si fa questo salto di qualità, e non si vive assecondando le proprie naturali tendenze, si finisce come quelli che durante la lezione di yoga guardano il telefonino (c'è una al corso con me che lo fa): si fa una cosa, senza coglierne lo spirito.

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  3. Ah, eri nelle Langhe? A solo una cinquantina di chilometri da dove vivo io. :)
    Comunque credo che sia tipico e molto funzionale lavorare a più progetti contemporaneamente (il termine multitasking che va molto forte oggi...), compreso nella scrittura. Può capitare che uno vada anche a influenzare positivamente l'altro se ciascuno di essi rappresenta una crescita.

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    1. Sì. Il paese dove ho la casa, Novello, è a circa un'oretta di strada da Torino e a soli 3 km da Barolo (così è più facile capire la sua collocazione esatta). Mi trovo molto bene lì, e ci vado almeno quattro o cinque volte l'anno. Tornerò molto probabilmente per il ponte dell'8 dicembre. La scrittura trae grande giovamento dall'atmosfera che si respira lì, non solo per la tranquillità delle colline, ma anche per le caratteristiche della casa, che fa pensare un po' a Dowton Abbey. :)

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  4. Non avevo dubbi sul fatto che questi giorni a contatto con te stessa ti avrebbero fatto bene. E mi hai fatto anche venire una gran voglia di leggere la tua nuova opera

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    1. Se ti va, arruolo anche te nei beta. :)

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    2. Avrei bisogno del cartaceo, però, perché spesso lascio il computer al lavoro per evitare che la pupattola ci metta mano...

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  5. Sapere con chiarezza ciò che si vuole e andare con energia verso il proprio obiettivo è un ottimo
    punto di partenza.
    Certo non ci si può sempre isolare per ritrovare se stessi e la sfida più difficile è essere se stessi
    in un contesto fuorviante.
    Buona prosecuzione del tuo lavoro di scrittura che sicuramente sarà ottimo.

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    1. Quello che citi (la difficoltà di essere se stessi) è secondo me uno dei problemi più seri della post-modernità. Siamo tutti prigionieri di ruoli e di aspettative che non riusciamo a sentire completamente nostri.

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  6. Il post non è affatto troncato, non potevi esprimere meglio il tuo pensiero, che è anche il mio. Sai cosa penso? che la scrittura richieda semplicemente dedizione. E tu l'hai concessa con questo tuo piccolo ritiro. E' bello poi che tu stia amando questa storia al punto che il limite di pagine o di tempo non siano ostacoli. Comunque vada, aver ritrovato l'armonia è già un traguardo memorabile. Tra parentesi, la scrittura sta cominciano a chiamare di nuovo anche me...

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    1. Già, è vero. La scrittura richiede dedizione. Ma non solo mentale, altrimenti diventa un lavoro come tanti. Ci vuole un vero e proprio richiamo interiore, che ti spinge a dedicare tutta te stessa a una storia, vivendola e respirandola come se non esistesse altro. Questo era accaduto con il mio romanzo precedente, ma non con questo. Ora sono felice che la fiamma si sia riaccesa. :)

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  7. Felicissima che tu abbia ritrovato te stessa e che questi giorni di clausura scrittoria siano stati tanto fecondi. L'incontro col nostro io più autentico non è facile ma va perseguito con costanza, nel nostro caso anche attraverso la scrittura.
    Un abbraccio con sincero affetto.

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    1. Il tuo commento anticipa il post che presto scriverò sull'autenticità.
      Ricambio l'abbraccio. :)

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  8. Ma che bello leggere post come questo che mi fanno sentire meno sola, proprio dopo essermi sentita dire che mi sono fatta fare il lavaggio del cervello da chi mi ha fatto pensare di iscrivermi alla formazione in danza terapia 😅grazie davvero mi serviva leggerti soprattutto oggi.

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    1. Il tuo commento, più che a questo post, sembra far riferimento a quello precedente: #imieiprimipensieri - caos. Secondo me ti farò bene anche quello. :)

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    2. Sono andata a leggere..hai ragione..sono in una fase simile perché ho iniziato proprio ora con la nuova formazione e sto cercando un part time per vivere una vita con dei ritmi più umani. Ho frequenti sbalzi d'umore e insicurezza ma cerco di non farmi abbattere dal giudizio altrui.

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  9. Non avevo dubbi che i giorni che ti sei dedicata sarebbero stati produttivi, la pioggia poi a me concilia parecchio
    😁 Hai avuto la giusta intuizione a lavorare sodo per uscire. Da qualche parte bisogna cominciare, pubblicare è una bella messa in discussione e tu sei nel classico gioco win-win : se finisci entro il 31 dicembre partecipi al bando che ti ti ha fatto danzerellare dí gioia. Se vai oltre avrai il romanzo che vuoi tu come lo vuoi tu. Sei in una botte di ferro 😉

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    1. Bella la tua prospettiva. Non ci avevo pensato, ma effettivamente è così. E questa cosa rincuora. :)

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  10. Non ho nessuna intenzione di essere un portasfiga, ma l'immagine di te che salti per la stanza mi è piaciuta e mi ha ricordato simili salti fatti da me nel 2012 all'apprendere di un concorso letterario di una Casa Editrice molto seria, che un paio di anni prima in una rivista di primo piano da loro edita aveva pubblicato tre miei racconti con una recensione ogni volta molto lusinghiera.
    Avevo un'idea nel cassetto, ma solo l'idea ma in quel momento mi sembrò più che ottima. I limiti di tempo erano ristretti. Eravamo ai primi di settembre e l'ultimo giorno utile per spedire il testo cartaceo era il 15 aprile. So essere velocissimo quando la storia ce l'ho dentro tutta, ma alla mia mancavano alcuni dettagli. Confidando di trovarli strada facendo mi sono immerso nella scrittura, che con grande soddisfazione non tardò a mettersi a correre.
    Chiuso nel mio studio da mane a sera, applicando un metodo eleborato oramai da anni, ho scritto almeno la metà del romanzo in due mesi.
    Nella notte del 13 novembre un tubo dell'acqua nell'appartamento sopra il mio, poco dopo la mezzanotte è andato in malora. Suonavano come pazzi alla mia porta e non erano nemmeno le cinque del mattino. Smoccolando metto i piedi a terra in camera da letto e li infilo in dieci centimetri di acqua. Kurz und Schmerzlos. In poco meno di cinque ore erano precipitati in casa mia, allagando il pavimento e penetrando nelle pareti nord -combinazione dove era il mio studio- trentadue metri cubi di acqua.
    Da quel momento ho perduto i primi tra giorni per portare la mobilia al sicuro nella nostra soffitta.
    La scrivania messa nel corridoio dinnanzi alla porta di ingresso con il viavai degli operai che frequentavano il nostro appartamento. Ridotti a vivere in 60 metri quadrati (dagli originali 124) e io ridotto a lavorare spesso con la porta spalancata sulle scale, con quattro grosse idrofore accese 24 ore su 24 e dio solo sa che razza di casino che fanno.
    Insomma malgrado tutto ce l'ho fatta a spedire il manoscritto in tempo.
    Avrebbero, come da bando di concorso, comunicare entro la fine di maggio il nome dei quindici finalisti, da cui sarebbero stati presi i cinque che avrebbero partecipato alla serata finale a Vicenza nel famosissimo Teatro del Palladio.
    Alla fine di maggio sul sito della Casa Editrice apparvero i risultati.
    Il mio nome non c'era.
    C'erano però i dati generali ed i nomi dei quindici prescelti.
    Dunque: manoscritti pervenuti 6.431
    Togliamo quell'uno, che è il mio romanzo. Mi chiedo se è possibile che su 6.430 scrittori non ce ne fosse UNO in grado di arrivare in quel gruppo dei quindici.
    Ne leggo i nomi: I SOLITI NOTI, tra cui uno che era figlio di un direttore della Casa stessa.
    Visto che ho ancora qualche santino in Paradiso pure io ho chiesto di informarsi.
    La risposta è stata nauseante. Il tizio -mio amico di cui mi fido- mi rivela che quei quindici nomi già erano noti a tutti quelli della Casa.
    "Il tuo non lo hanno nemmeno letto, come tanti altri"
    Non parteciperò mai più ad un concorso italiano, mai più. Me ne ero sempre astenuto ed avevo fatto bene, ma ci tenevo e mi sono dato questo cazzotto in faccia da solo.
    Presentato il mio romanzo ad una importante casa editrice tedesca con una traduzione fatta da me, è stato preso in considerazione per la fine del prossimo anno. Nel frattempo faranno una nuova traduzione a loro spese. Stlisticamente non all'altezza del testo, è stata la loro motivazione. Beh, non ho frequentato il Gymnasium qui in Deutschland. Però il giudizio è stato immediatamente positivo. Non so se ridere o piangere.
    Spero che tu abbia più foruna di me, che cioè ti leggano prima di scartarlo, almeno.

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    1. Non ti preoccupare, Vincenzo: non penso che tu porti sfiga, perché non penso che la sfida esista. Esistono solo scelte giuste e scelte sbagliate. A me non interessa vincere il concorso e non mi interessa forse nemmeno più partecipare, perché le mie perplessità sono le stesse che hai fatto notare tu, oltre alla percezione di una limitazione nella gestione dei contenuti. Lodo però la sincronicità che mi ha portato ad avere una risposta che mi serviva, nel momento in cui mi serviva. Senza quest'idea probabilmente starei ancora arrovellandomi sui miei dubbi. Invece ho potuto lavorare seriamente e con una scadenza, cosa che mi ha molto sbloccato. La fortuna ce l'avrò comunque vada. Non scrivo per farmi leggere da loro, ma scrivo per farmi leggere in senso lato. E qualcuno di sicuro lo farà.

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    2. Bellissimo! Hai capito il senso del mio intervento.
      Comunque tanto per precisare neanche io credo alla sfiga ma alle scelte. Però la mia era più che giusta, dato che la Casa Editrice era Neri Pozza.
      Ma come vedi ci si può anche sbagliare coi grandi nomi.
      Hai sperimentato un nuovo metodo? Molto bene. Aggiungilo al tuo bagaglio.
      Adesso sai che puoi fissare un termine ben preciso al tuo lavoro. Un'arma in più non fece mai male. E stanne certa più d'uno leggerà ciò che scrivi.
      Buona serata.

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  11. Bisogna decidere di essere, bellissima frase che assolutamente condivido. È vero viviamo di bisogni "posticci" ma tutto quello di cui abbiamo bisogno è essere (noi stessi)!

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  12. Sei stata in perfetta sintonia con te stessa e ti sei saputa regalare ciò di cui avevi davvero bisogno, già solo per questo c'è da batterti le mani. Sono certa sia sulla giusta strada per trasformare la scrittura nella parte migliore della tua vita, finalmente in pieno allineamento con i tuoi desideri.

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  13. Come ti dissi nel messaggio prima della tua partenza, sapessi quanto darei io per una tre giorni in solitaria da qualche parte, senza figli e marito! Dedicarsi a tempo pieno alla scrittura resta il mio desiderio più grande, invece posso concederle solo poche ore, pochissime, al giorno. Comunque, sono contenta che l’esperimento sia riuscito e che ti abbia fatto bene avere tempo e spazio tutti da dedicare al nuovo progetto. Avrò molto da leggere, allora! 😉

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  14. vedo con piacere che qui si parla di Scrittura, in giro ci sono persone che hanno difficoltà con il congiuntivo e il condizionale ma sono preparatissime su cellulari e play station.
    Ritengo che per uno scrittore, vedersi pubblicato un libro, sia il massimo delle soddisfazioni....lo auguro anche a te.
    Cordialmente

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