5 bizzarrie e 3 convinzioni impopolari di cui non mi vergogno (I)


Noi perdiamo tre quarti di noi stessi
per essere come le altre persone.
(Arthur Shopenhauer) 

Qualche giorno fa, quando Mattia L. mi ha invitato al meme 5 bizzarrie di cui non mi vergogno, ho accolto l’iniziativa con entusiasmo, poiché la considero coerente con quanto scritto più e più volte negli articoli della serie dedicata al Jolly: ogni individuo ha caratteristiche che lo rendono unico, quindi rinunciare al proprio modo di essere per conformarsi ai dettami della società non è soltanto stupido, ma è un vero e proprio atto di autolesionismo. A meno che uno, per esercitare la propria libertà, non finisca per ledere quella degli altri, ciascuno ha il diritto, se non addirittura il dovere (v. convinzione n.2) di mostrarsi agli altri per ciò che è. L’autostima non ha nulla a che fare con l’arroganza, è puro istinto di sopravvivenza.

Anche stavolta, come in passato, ho deciso di personalizzare il gioco. Parlando con Mattia, gli ho fatto notare che alcune delle voci da lui elencate non trattavano bizzarrie ma idee anticonvenzionali, e anche le mie rientrano in tale frangente. “Perché non scrivi due post, allora?” mi ha proposto lui. “Uno sulle bizzarrie.” Non male, come idea. In effetti ci ho pensato. Però le mie stranezze non necessitano di grandi spiegazioni, come per esempio la sua sull’abitudine di programmare la giornata nel dettaglio. Poiché liquidabili in poche righe, non sono in grado di reggere da sole un intero post. Per contro, ho trovato almeno una decina di convinzioni impopolari che, per essere comprensibili e scatenare un bel confronto nei commenti, richiedono un minimo di approfondimento. Determinata a salvare capra e cavoli, ho quindi deciso che gli articoli saranno sì due, come suggerito da Mattia, ma così suddivisi: il primo tratterà delle mie stranezze di tre convinzioni impopolari. Il secondo, invece, di altre convinzioni impopolari. Non so ancora quante. Dipenderà dalla lunghezza e dalla mia necessità di parlarvene.  Seguirò l’ispirazione, come sempre!

LE MIE BIZZARRIE

1 – Non mi piacciono le parole orfane. Quasi ogni riga che scrivo supera quindi la metà della pagina. L’unica eccezione sono gli articoli del blog perché li scrivo in word, e al momento di trasferirli su blogger non ho voglia di preoccuparmi di risistemare il testo per fare in modo che le righe siano tutte lunghe uguali. Inoltre, ogni lettore ha le proprie impostazioni di visibilità, quindi non servirebbe a nulla. Sempre per lo stesso motivo, i titoli dei miei post devono stare su una riga. Questa è un' eccezione: ho provato a modificare la frase, ma nessuna versione mi piaceva.

2 – Non ho mai imparato a sbucciare la frutta con il coltello. Ho una scarsa manualità e  faccio fuori metà polpa. Quindi uso il pelapatate. Anche per pelare le patate, ovviamente, uso il pelapatate.

3 – Porto la frangetta da circa 20 anni. All’inizio l’intento era quello di nascondere una cicatrice causata da una porta in faccia. Ora invece mi dà fastidio aver la fronte scoperta (e soffro di sinusite).

4 – Non sopporto le ante degli armadi aperti e le sedie disallineate rispetto al tavolo.

5 – Quando vado al ristorante, devo sedermi rivolta verso la sala per vedere ciò che mi succede intorno.

LE MIE CONVINZIONI IMPOPOLARI
Qui ci sarebbe da parlare un po’ di più. So che dovrò sudare sette camicie per evitare di scrivere un papiro che non finisce più, ma ogni approfondimento sarà riservato ai commenti, o ai prossimi post.

1 – IL NOSTRO RUOLO SOCIALE NON CI RENDE MIGLIORI DEGLI ALTRI
Uno dei luoghi comuni che le generazioni precedenti ci hanno lasciato in eredità è questo: lo status sociale definisce la nostra identità e il nostro valore. Una giacca, una cravatta, una divisa e una tonaca ci proteggono da qualunque critica, da qualunque aggressione. Non per altro, l’offesa a un pubblico ufficiale è reato. E, se puoi fregiarti di un titolo (dottore, ingegnere, pelapatate) sei comunque superiore a chi questo titolo non ce l’ha. Quindi, meriti un tappeto rosso ai tuoi piedi, rispetto e devozione incondizionati da tutti i “poracci” che fanno parte della tua schiera di sudditi. Chi sgarrerà, sarà punito severamente.

Devi obbedire ai tuoi genitori perché sono i tuoi genitori.

Devi obbedire ai professori perché sono i tuoi professori.

Devi obbedire al capo perché è il capo.

Ma perché? Cosa vi fa pensare che questi individui abbiano sempre ragione? Cos’ho io in meno di loro? Meno esperienza? Da bambina, forse. Ma oggi no. Sono un essere umano profondamente consapevole. Ho una testa pensante. Quindi, ho il diritto di contraddire l’autorità, se non sono d’accordo con le fregnacce obsolete che dice. Con educazione, certo, ma anche con fermezza. Probabilmente non sarò ascoltata, ma se restassi in silenzio non sarei pace con la mia coscienza, quindi parlo. Sempre. E ne pago il prezzo.

Il sistema gerarchico ha portato  esseri abietti a sedersi sugli allori e a sentirsi in diritto di trattare gli altri a pesci in faccia solo perché… boh! Vai a capire perché! Rappresentano l’autorità, mi dicono. Ma permettetemi un bel chissenefrega! Mi sé salito il sangue al cervello quando, qualche settimana fa, ho sentito una collega dire: “L’ing. Tizio mi ha chiesto di dargli del tu, ma io non ci riesco”. E perché non ci riesci? Perché è un dirigente, e poi? Cos’ha fatto per guadagnarsi la tua sudditanza? Ha salvato il mondo dalla guerra nucleare? No. è una persona che ha trascorso tutta la sua vita seduto dietro una scrivania, pagato 10.000 euro al mese solo per mettere una firma ogni tanto e trattare i dipendenti come se fossero schiavi. Io non mi inchino al cospetto di uno così. Lo tratto educatamente e lo rispetto, come rispetto ogni essere umano, ma la stima è un’altra cosa. Va guadagnata, la stima, con azioni utili per la collettività. Sarò anche su un gradino più basso della scala sociale, io, però sono un essere umano come lui, e mi sono sempre sbattuta per il bene del prossimo. Quindi, se vengo trattata in un modo che offende la mia dignità e le mie competenze,  sono pronta a entrare in guerra, anche se davanti a me c’è il padreterno in persona.

2BISOGNA SEMPRE DIRE IL VERO
Bugia bianca? Mentire a fin di bene? Frasi di questo tipo altro non sono che le classiche paraculate ipocrite che tanto piacciono ai baciapile e ai codardi:

“Non dico ai miei genitori che fumo perché ci rimarrebbero male”.

“Non dico al mio compagno che l’ho tradito perché voglio proteggerlo”.

“Non dico alla mia amica che quel vestito le sta male perché altrimenti si fa i complessi”.

Dai, ragazzi, non raccontiamoci frottole. A voi non importa mettere al riparo l’altra persona da una delusione. Tutto ciò che vi interessa è portare le chiappe a casa, illese. Evitare un cazziatone. Ma esistono mille modi per dire la verità senza ferire il prossimo. Per riuscirci, non servono pozioni magiche: potrebbe essere sufficiente usare il cuore.  Se questo non dovesse funzionare, non c’è nulla di sbagliato in una sana litigata. Una porta sbattuta non la fine del mondo. La rabbia e la frustrazione si superano. Sì: se la persona dall’altra parte è intelligente, dopo un po’ comprende la nostra posizione, ed evolve insieme a noi. Farla vivere dentro una campana di vetro non è un atto d’amore. Mentendo, condanniamo il prossimo a una visione parziale della realtà, il che significa non dargli opportunità di crescita. O, peggio ancora, tradirlo.  

Inoltre, dire la verità è anche un atto di responsabilità verso noi stessi, un atto di coraggio. Se siamo convinti di ciò che abbiamo fatto, perché dobbiamo nasconderlo? Mentire è come ammettere di essere dalla parte del torto. Invece, con la sincerità, affermiamo il nostro diritto all’autodeterminazione senza nasconderci dietro un dito. Comunichiamo agli altri ciò che siamo veramente, senza vergognarcene.

3 – IL MONDO DEL LAVORO DIPENDENTE DOVREBBE ESSERE RIFONDATO DA ZERO

Se il mondo cambia e tu rimani ancorato a vecchi schemi, non sei soltanto un cretino: sei un criminale. Parola forte? Certo, lo è. Però è la parola più opportuna per descrivere una realtà sociale che ha rinunciato completamente all’evoluzione e, ormai da decenni, imputridisce nel proprio marciume.

Questo discorso si adatta a qualunque ambito della società italiana, ma il mondo del lavoro dipendente rappresenta la quintessenza dell’immobilismo. Fosse per me il lavoro d’ufficio sparirebbe, ma so che molti ci tengono, quindi dovrebbe diventare un po’ più a misura d’uomo. Trovo assurdo che nel ventunesimo secolo, invece di proporre un modello professionale basato sugli obiettivi e sui risultati, si debba ancora aderire a una logica capitalista che ormai ha fatto il suo tempo, e obbligare le persone al giogo del cartellino. C’è il premio presenza, addirittura. IL PREMIO PRESENZA! Ciò significa che, se vai in ufficio e trascorri otto ore a fissare il muro, guadagni il triplo del tuo collega che è stato investito da un camion e ha dovuto passare sei mesi ingessato dalla testa ai piedi. Cosa aspettate a rendere il telelavoro obbligatorio in ogni azienda? Molte realtà, specialmente all’estero, hanno già adottato questo modus operandi. Ovvero, per una o due volte a settimana il dipendente può lavorare da casa, dalla spiaggia, da dove diamine vuole lui, perché ciò che conta è fare, non scaldare la sedia. E non tirate fuori la scusa che questa operazione ha un costo, perché basterebbe tagliare i pesi morti, eliminare i benefit dei dirigenti, lasciare a casa gli scalda-poltrone, e abolire il lavoro ereditario che ancora è molto più frequente di quanto non sembri.

Mi riprometto, per uno dei prossimi post, di portarvi esempi concreti di aziende virtuose, specialmente estere. Questo vi aiuterà a comprendere tutto ciò che non funziona nel nostro paese. Per ora mi limito a farvi notare che il paradigma sociale è cambiato, e il mondo del lavoro deve fare i conti con questa nuova realtà. Se prima eravamo nell’ambito dell’attivismo costruttivo (mi spacco la schiena in fabbrica e porto a casa lo stipendio) oggi domina l’individualità espressiva. La pagnotta non basta più. Un lavoro deve farci sentire gratificati, soddisfatti, e adeguarsi alla nostra giornata affinché ci sia tempo per la famiglia, per i propri interessi e le proprie passioni. Sì, avete capito bene: è il lavoro che deve adeguarsi a noi, non noi a lui. E ciò non significa lavorare la metà, ma essere flessibili, poter ascoltare il corpo e assecondarne le esigenze, gestire il tempo affinché la creatività individuale e le relazioni sociali siano tutelate.

Ne avevo parlato nel post #imieiprimipensieri – Schiavi: sono stufa di vedere persone che si ammalano per il mobbing o perché sono imprigionate in routine alienanti. Questo secondo me è un insulto alla vita, che invece è un dono importantissimo (proprio come la verità!) e dovrebbe essere onorato ogni giorno.

Il lancio della patata bollente.
Non sono riuscita a essere sintetica. Ciò dimostra che ho fatto bene a dividere il post. Prossimamente scriverò la seconda parte. Intanto, ditemi…
Quanto sono strane le mie stranezze e quanto impopolari le mie convinzioni?


(Segue…)  

Commenti

  1. Questa patata bollente merita assolutamente la risposta in un post (oddio, uno solo? Sono piena di bizzarrie)

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    1. In realtà il mio lancio chiedeva di commentare le mie bizzarrie, però ben vengano tutti i post che vuoi. :)

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    2. Il fatto è che, se penso a me stessa o alle mie conoscenze, ne esci come un esempio di normalità (per non parlare delle tue idee , del tutto condivise). Quando mi ha conosciuto il mio attuale marito mi ha detto "guarda che io conosco un sacco di gente strana". Io ho risposto serafica "mai quanto me". Sei mesi dopo non solo mi dava ragione, ma teorizzava che io in qualche modo attirassi stranezza, stranezze simpatiche e interessanti, ma non proprio esempi di normalità.

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    3. Forse la differenza sta negli ambienti che frequentiamo. Nel mio ufficio il mio pensiero è da mettere alla gogna, e vengo considerata "strana". Si vede che questo non è il mio posto. :)

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  2. Anche se forse tu pensi che molti avrebbero pensato il contrario, trovo più strane le tue "bizzarrie" vere e proprie che le idee impopolari :D . La prima e la terza le condivido al cento percento. Sulla seconda ho qualche riserva: a volte una piccola bugia per fare una sorpresa positiva a una persona - tipo, dire un regalo di natale e poi farne un altro - può essere positivo. Però in linea di massima sono d'accordo ^_^ .

    Comunque in realtà potevi spiegare meglio anche le bizzarrie: per esempio, potevi raccontare perché ti danno fastidio le ante aperte. Ma ovviamente a me va benissimo anche così: mi è piaciuto molto questo tuo svolgimento del mio esercizio e leggerò con interesse la seconda parte ^_^ .

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    1. In realtà non ho scritto una spiegazione perché non c'è una ragione precisa del mio "odio" per le ante aperte. È una cosa che mi genera uno stato di agitazione generalizzata, forse riconducibile a un'idea di noncuranza: quanto ci vuole a chiudere lo sportello dopo aver preso o riposto qualcosa? Nulla. Stesso discorso vale per i cassetti.

      Le bugie dette per tenere nascosta una sorpresa hanno come scopo ultimo la verità, quindi non contano. Non servono a proteggersi ma a fare felice una persona. :)

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  3. Cinque bizzarrie? Se io ci penso come minimo ne trovo una dozzina XD. Però mi vergogno un po' :D.

    Ad ogni modo per me bizzerrie e convinzioni impopolari in fondo sono sinonimi..

    Veniamo alle tue scelte:

    1) questa non è bizzarria: sui titoli che stanno su una riga fai bene :D, è una cosa ordinata. Titolo deve essere sintetico e di impatto;

    2) anche io faccio pasticci :D;

    3) la frangetta non è cosa bizzarra;

    4) questa è già una bizzarria, ma comunque un po' in bilico perché siamo nell'ambito dell'ordine. Poi per il discorso delle sedie. Perché il discorso dell'armadio aperto..beh è anche una questione di non fare entrare polvere e cose analoghe...

    5) SIIIIIIIIIIII anche io sono così: odio dare le spalle alla maggioranza dei tavoli.

    Veniamo alle convinzioni impopolari:

    1) Il ruolo è tutto nella società. Il valore delle persone è determinato dalla corrispondenza ai punti fermi individuati dal pensiero della società stessa. Comunque molto peso ha il denaro. Un laureato senza lavoro ovviamente sarà inferiore a un bifolco che comunque ha fatto i soldi, anche se questo posta su Facebook le 'fake news'.

    2) Sottoscrivo ogni parola...

    3) Anche su questo punto mi trovi molto d'accordo. Il telelavoro può essere una risorsa importante che permette un impiego più costruttivo delle energie della persona. Io lavoro sia in sede che da casa. Ecco, se fai pausa nell'ufficio guardi il muro e cazzeggi su Internet, in casa magari puoi toh, sistemare la libreria, per dirne una...o leggere un fumetto in quei 15 minuti...sto facendo ovviamente un discorso terra-terra, sono curioso di leggere quando approfondirai questa tematica.

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    1. Vergognarsi delle proprie bizzarrie è naturale. Naturale, sì, ma non positivo, visto che come dice anche Chiara, sono proprio queste stranezze a renderci unici, e reprimerle porta solo all'infelicità. Proprio per questo ho creato questo esercizio: per imparare a sconfiggere la vergogna e la paura del giudizio altrui. Perciò se vuoi svolgerlo anche tu, sei il benvenuto ^_^ .

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    2. Sono d'accordo con Mattia: uscire dalla propria zona comfort può essere sempre utile, quindi ti consiglio di aderire al post, è divertente. :)

      Per me, invece, bizzarrie e convinzioni sono due cose diverse. Le prime appartengono alla sfera del "fare", le seconde a quelle del "pensare". Sono partita in modo soft, perché le convinzioni che analizzerò nel prossimo post saranno molto più controverse, specialmente un paio. Idem quando parlerò nello specifico del mondo del lavoro...

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  4. Non trovo veramente strano niente di quello che hai detto; personale sì. Però... oh oh, quella delle porte degli armadi deve avere un significato. Io mi alzo anche da mezza addormentata per chiuderle, se mi accorgo che non sono sigillate. Condivido anche la preferenza di posto a sedere al ristorante, ma tutta la mia famiglia è così: se andiamo di fretta, finisce che sembriamo sul punto di sederci uno in braccio all'altro. Deve essere l'istinto di sopravvivenza animale che richiede un punto di osservazione vantaggioso. ;)

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    1. Io ho la fortuna di avere un marito a cui va sempre bene tutto, quindi si adegua alle mie esigenze, che sono sempre più complesse.

      Il fatto che nessuno trovi strano ciò che ho scritto un po' mi rincuora. Per molti, queste convinzioni sono fuori dal mondo. Ho discusso con parecchie persone, su questi fatti, specialmente nell'ambito dell'ufficio, dove molti credono che il capo meriti più rispetto degli altri e che timbrare il cartellino sia giusto. Non parliamo poi delle bugie dette a fin di bene (il proprio) che in certi contesti sono all'ordine del giorno.

      Le idee che proporrò la prossima volta, però, saranno molto più impopolari. ;)

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  5. Anch'io non so sbucciare la frutta con il coltello, se lo faccio resta un bel po' di polpa attaccata alla buccia, le ante degli armadi aperte non le sopporto, vanno richiuse assolutamente. Abbiamo delle bizzarrie in comune :) anche al ristorante mi piace avere la visuale aperta...
    la frangetta è un modo di essere e le righe tutte uguali è una questione di ordine del testo su cui spesso mi incaponisco anch'io. Per il resto condivido pienamente le tue idee impopolari!

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    1. Mi fa piacere! :)
      Chissà se ti piacerà anche il prossimo post...

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  6. La 1.1 mi sa che non l'ho mica capita...
    La 1.2: io la frutta la mangio sempre con la buccia, se la devo rimuovere (per arance, mandarini...) lo faccio a mani nude usando le unghie.
    Sulla 1.5 un comportamentista ne avrebbe molto da dire. :)
    Io invece al ristorante cerco sempre una posizione che non dia su specchi o altre superfici riflettenti, perché come ti ho già detto non sopporto lo specchiarmi.

    Sulla 2.1 potrei anch'io dire un sacco di cose...
    Come l'essere stato definito con disprezzo "sindacalista" dal capo (come se questo fosse disprezzabile), per aver cercato di far valere i diritti miei e dei miei colleghi. Io invece sono orgoglioso per quanto ho cercato di fare. E per questo ne sto pagando il prezzo, eh, perché come ben sai, le persone piccole si sentono grandi elargendo punizioni e cercando di smontare la positività altrui. Ecco perché mi presento sempre educato, cortese e sorridente. Ovviamente non lo faccio per loro, ma perché mi piace quello che faccio di lavoro, ovvero il sorriso è solo per me.

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    1. La 1.1. non saprei come spiegarla diversamente, ma ci provo. Mi piace che la pagina su cui sto scrivendo (si parla ovviamente di "scrittura elettronica" sia "piena". Quindi, a meno che la frase non lo richieda, le righe corte non mi piacciono esteticamente, quindi cerco di spingere le parole oltre la metà della pagina. Ad esempio:

      - Così no.

      - Così invece lo preferisco, perché mi sembra più ordinato.

      Per la 2.1 sono perfettamente in linea con il tuo pensiero. Pensa che il mio capo una volta mi ha detto che non sono pagata per pensare perché (in quanto donna, dico io) sono solo una segretaria. In realtà, faccio tutt'altro.
      Poi, tu sai bene cosa ho passato, compreso il richiamo disciplinare arrivato una settimana dopo aver chiesto il part-time, per motivi inesistenti (leggi: ripicca).
      Anch'io comunque cerco di essere sempre positiva e sorridente, non perché il mio lavoro mi piaccia, ma perché sono una persona dal carattere solare e non voglio che quattro stronzi mi rendano ovvero triste e rabbiosa, quindi in conflitto con la mia natura. Sono già riusciti, in passato, a trasformarmi in peggio, e non succederà mai più.

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  7. Sì, le bizzarrie sono bizzarrie.
    Ma le tue convinzioni "impopolari" mi paiono abbastanza condivise ormai. Certo, non ovunque. Che il lavoro dipendente debba essere rifondato lo penso da anni e sta avvenendo: grazie alla tecnologia. In Italia ci vorrà di più perché le resistenze sono maggiori, perché il posto fisso è stato usato per creare consenso e adesso è dura difendere quello che sarà spazzato via. Però alla fine accadrà.
    Le altre due opinioni impopolari: la condivido (abbastanza) ;)

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    1. Perdonami Marco, ho visto soltanto adesso il tuo commento. Sono comunque d'accordo con tutto ciò che scrivi. L'Italia è un paese che rifiuta l'evoluzione e finché non si schioderà dalla propria mediocrità non ci sarà alcuna evoluzione.

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  8. Non sapevo che si facessero ancora i meme (o è memi). Devo averne fatto qualcuno una decina di anni fa. per quanto mi riguarda la mia maggiore bizzarria è quella di essere ancora sul blog dopo dodici anni (un po' però me ne vergogno, a differenza di quanto prescrive il meme). Ciao :-)

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