Il Jolly e le parole socialmente scorrette #1
Il Jolly ha deciso di
lasciare temporaneamente l’isola di Jostein Gaarder per fare un giretto nella
provincia postmoderna italiana. Siccome è un personaggio socievole, interagisce
con tutte le persone che incontra e ne studia il linguaggio. Non è stato molto
contento di scoprire che il nano inconsapevole apprende per imitazione e si
nutre di automatismi verbali: le sue frasi spesso nascondono un messaggio fra
le righe di cui non si rende conto, ma che non può sfuggire a un ascoltatore
attento.
“Alt, fermati un secondo e rifletti. Tu stai
affermando che…”
“non volevo
dire questo!”, si difende il nano con la sua arroganza qualunquista.
“Però l’hai
detto, bello mio. L’hai detto. Hai parlato di successo e non di
autorealizzazione, quindi mi hai fatto capire che dai un peso eccessivo
all’opinione degli altri, che vuoi nutrire il tuo ego e non la tua anima. Hai affermato
che le polacchine senza stringhe sono di moda, non che ti piacciono: allora
perché le indossi? Vuoi essere accettato dal gruppo o vuoi sentirti a tuo agio?
Vuoi esprimere la tua personalità o conformarti alla massa? Inoltre quella
ragazza è “una figa”, vero? Dubito che la tua sia una sineddoche voluta: non
hai mai aperto un libro in vita tua, cosa vuoi saperne di figure retoriche…
Piuttosto penso che tu abbia preso una donna e l’abbia ridotta a squallido
oggetto del tuo desiderio sessuale dando un bel calcio in culo non solo alla
parità di genere, ma anche alla dignità umana. È così, amico mio, o mi
sbaglio?”
Non c’è malafede
nell’ignoranza dei nani: spesso si tratta di semplice superficialità. Ma la
superficialità può essere molto pericolosa. La parola, essendo materia, ha un potere enorme. Tutto ciò che ripetiamo con frequenza si
imprime nel cervello del nostro interlocutore e genera convinzioni, sia consce
sia inconsce, che con il tempo si trasformano in coscienza collettiva. I
vocaboli che utilizziamo non si limitano quindi a esprimere un concetto, ma
veicolano la mentalità della società di cui facciamo parte.
Noi scrittori
lavoriamo con le parole: abbiamo il dovere di comprendere cosa si celi
dietro le abitudini verbali maggiormente diffuse. Il Jolly ha deciso di provare
a spiegarvelo. E io, Chiara, sarò la sua portavoce.
“Rossi” vs. “La Rossi”
L’articolo determinativo davanti ai nomi propri è
piuttosto diffuso al Nord Italia, ma negli ultimi anni alcune parlamentari
hanno fatto notare che i media e l’opinione pubblica lo utilizzano soltanto al
femminile. Abbiamo Berlusconi e la Merkel, quindi. La Rowling e Baricco. La Pausini
e Baglioni.
Perché accade questo, secondo voi?
Per rimarcare una differenza, ovvio. Quelle due
paroline vogliono far capire che si sta parlando di una donna, come se questo
dettaglio potesse condizionare il giudizio dell’interlocutore. È stato pertanto
chiesto di dire “Renzi e Boschi ” anziché “Renzi e la Boschi”. Televisione e giornali si sono adeguati; il
senso comune non ancora, specialmente dalle mie parti.
Nella vostra
zona come siete messi?
Il “lei” e il “tu”.
Premetto che io sono una persona molto informale: in
linea di massima preferisco che le persone mi diano del “tu”, perché non mi
piace mettere delle barriere fra me e gli altri. Ciò nonostante ritengo che il “lei”
sia un’importante dimostrazione di rispetto. La decisione di utilizzarlo o no mi
dice molto sulle gerarchie esistenti e sulla considerazione che l’altro ha di
me, quindi tengo sempre le antenne alzate.
Nell’azienda in
cui lavoravo quando vivevo a Milano si usava il “tu” anche per il Direttore
Generale perché era considerato un primus
inter-pares. A Imperia, invece, noto tre diverse categorie di persone, e
non solo in ambito lavorativo. Chi si fa dare del “tu” e mi dà del “tu” è
tendenzialmente un individuo alla mano, che riesce a rompere il ghiaccio dopo
poche battute. Chi si fa dare del “lei” e mi dà del “lei” anche se mi vede
tutti i giorni è una persona educata, che vuole distacco ma mi rispetta.
Infine, c’è chi si fa dare del “lei” e mi dà del “tu”. Una sola domanda:
perché? L’età non c’entra niente: non ho più dodici anni, ne ho trentaquattro.
Sarà forse a causa della mia posizione nella piramide sociale? Ricordati che sul
piano umano io e te siamo pari, quindi comportati come si deve. E se invece
vuoi fare il piacione perché sono donna cerca di non prenderti troppa
confidenza: devi vendermi un pacchetto di Camel, non portarmi fuori a cena.
Titoli professionali honoris
causa
Si sa che noi italiani
siamo cerimoniosi e attaccati all’etichetta: solo qui si usa il titolo
professionale per rimarcare il ruolo sociale di un individuo, all’estero sono
tutti “Mr.” o “Mrs.” senza troppe seghe mentali. Okay, è un’abitudine linguistica
che abbiamo da sempre e non sarò certo io ad abolirla; cerchiamo almeno di fare
le cose con criterio. Voglio rivelarvi un segreto… Anche le donne si laureano,
sapete? Eh già! Noi possiamo avere dieci quadretti appesi sopra la scrivania e
diventare Amministratrici Delegate (al femminile, sì! Tiè!) , ma in certi
ambienti saremo sempre e soltanto “signora”. Il collega maschio invece può essere chiamato “dottore”,
a patto che sia almeno capoufficio. Spesso a definire chi sei non è il tuo
curriculum, non è quanto hai studiato, ma in quale quadratino dell’organigramma
risiedi. Chi se ne frega se hai passato
anni a ingobbirti sui libri: il titolo di “avv”, “ing” o “kaz” lo merita di più
il signor Felice Mastronzo, che ha
ottenuto a fatica un diploma dieci anni in uno ma grazie al cugino senatore è
diventato dirigente…
Per concludere…
Esistono altre
parole e altri concetti che il Jolly ha già portato alla mia attenzione, e dei
quali vi parlerò nelle prossime puntate di questa nuova rubrica. Come
evidenziavo prima, penso infatti che sia fondamentale per uno scrittore riflettere
sul valore sociale delle formule linguistiche utilizzate abitualmente. Nell’attesa
del prossimo appuntamento, vi domando: avevate mai fatto caso prima d’ora agli aspetti che ho messo
in evidenza? Vi vengono in mente altri termini socialmente scorretti?
Se sì, scriveteli e riflettiamoci insieme. Potranno essere un ottimo punto di
partenza per i prossimi post.
Su “Rossi” vs. “La Rossi” credo che sia dovuto più al fatto di distinguere tramite il cognome se ci si riferisce a un uomo o una donna. Se dico Ferri, Contrao, ho l'impressione di nominare uomini. Se dico La Ferri so che si sta indicando una donna.
RispondiEliminaIo il lei e il tu, l'ho risolto passando al tu quasi in tutti i contesti. Dico quasi. Preferisco di gran lunga l'inglese. Vedere ad esempio negli Stati Uniti che un dipendente chiama per nome il ceo dell'azienda è eccezionale.
Sui titoli professionali non so, non conosco la vita d'ufficio, quindi non saprei dire se le donne vanno per signora e gli uomini in honoris sono tutti dottori. Però conoscendo il sessismo diffuso credo sia probabile.
Io ad esempio nella scrittura detesto la forma del lei. Far parlare i personaggi col lei mi dà una sensazione di freddezza. Appena posso mi trovo escamotage per passare al tu.
P.s. stavolta informato in diretta, sono arrivato per primo. ;)
Hai centrato il punto: perché si deve far capire che ci si riferisce a una donna? Se un giornale dice "la Boschi ha proposto una legge che..." cosa cambia sapere che si tratta di una donna anziché di un uomo? è tutto questo bisogno di puntualizzare che, a mio avviso, fa venir meno il principio di parità. Usare "la Boschi" andrebbe bene se tale affermazione fosse neutra, ma purtroppo non lo è, perché rimarcare il genere della persona che compie l'azione genera aspettative sociali di un certo tipo.
EliminaIo quando scrivo non ho problemi con il "lei": lo utilizzo se, nella medesima situazione, vi farei ricorso anche nel reale.
Per i titoli professionali, ciò che ho raccontato si basa sull'esperienza nell'ufficio in cui lavoro. Non so se alla base, oltre al sessismo, ci sia anche una mentalità provinciale. Però le cose stanno così. Io sono laureata dal 2007 e fino a quattro anni fa non me ne fregava niente di essere chiamata "dottoressa". Adesso, da quando mi è stato detto che il titolo si usa solo per i "capi", è diventata una questione di principio. Ho un'indole anarchica per natura, che vuoi farci! :-D
La marcatura dell’articolo davanti ai cognomi, quando ci si riferisce a una donna, non è un fenomeno recente. Recente, invece, è la sua sistematica abiurazione a favore di altre marcature – come, ad esempio, lo scrivere il nome per esteso (nome + cognome), o la desinenza in -a o in -essa per le professioni le cariche i titoli che accompagnano il cognome –; moda nata, dalla proposta della Sabatini, più o meno negli anni settanta. Ricorderai che ci avevo scritto un articolo: Il sessismo della lingua italiana. Diversamente dagli altri elementi contenuti in quella famosa proposta, questa sembra aver avuto successo. Tuttavia, poiché l’articolo davanti al cognome secondo me caratterizza molto la parlata e rende più confidenziale il tono, anziché eliminarlo nelle marcature che si riferiscono a persone di genere femminile, ho cominciato ad usarlo anche davanti ai cognomi appartenenti a persone di genere maschile: «il Serianni». Per rimanere al tuo esempio: «il Renzi», «la Boschi».
RispondiEliminaPer educazione sono abituato a dare il “lei” a persone cronologicamente più grandi di me. Per deformazione professionale lo uso con i clienti, tutti, in segno di rispetto e deferenza. All’inizio, quando il cliente passava facilmente al “tu”, provavo imbarazzo a mollare il “lei”. Adesso, che di carriera alle spalle ne ho accumulata un po’, il passaggio non mi fa né caldo né freddo. Con gli anni mi sono capitate cose anomale: ad esempio il cliente che prima ti dà del “tu” e poi, con la stessa naturalezza, torna al “lei”: «Ciao, come sta?». In casi equivoci come questo resto inchiodato al “lei” finché non si è sviluppata almeno un po’ di confidenza. Alcuni, tuttavia, guardano con diffidenza all’uso della terza persona, come se dietro si lambiccasse una qualche marachella.
I titoli professionali, invece, li detesto; sono il sintomo evidente che chi ne fa sfoggio ha la necessità di auto-referenziarsi, di accrescere, cioè, la propria autorità con dei vuoi suppellettili verbali anziché con una dimostrazione palese di quella stessa professionalità di cui si aggettiva.
Nell'articolo ho utilizzato il termine "amministratrice" in modo scherzoso, consapevole (anche grazie ai tuoi articoli sulla formazione del femminile) che questa formula può essere considerata grammaticalmente corretta. Espressioni come "chirurga" e "ministra" invece non mi piacciono per nulla: forse perché poco utilizzate, mi sembrano vere e proprie storpiature.
EliminaNel mio articolo avevo scritto un capoverso, poi tagliato, nel quale evidenziavo come l'articolo davanti ai cognomi maschili abbia una valenza diversa. In quelle righe, facevo l'esempio di espressioni come "il Blasco" per indicare Vasco Rossi, oppure "il Liga". In questo caso, l'articolo ha valenza di "proprio lui" e vuole rimarcare l'unicità del soggetto. Usarlo sia al maschile sia al femminile secondo me è democratico, è corretto. Usarlo solo al femminile, invece, è discriminatorio.
Anche io tendo a dare del "lei" a persone più vecchie di me. Non mi infastidisce che loro mi diano del "tu", se loro non hanno una pretesa di superiorità nei miei confronti. Per esempio, il dottore che mi ha fatto nascere ha 93 anni, è la prima persona che ho conosciuto nella mia vita, sarebbe ridicolo se mi desse del "lei". Altre persone invece si fanno dare del lei e ti danno del tu per "tirarsela", e la cosa non mi piace per niente...
I titoli dovrebbero essere aboliti anche per me. Ma se proprio si devono utilizzare almeno lo si faccia in modo giusto, non con intento discriminatorio. :)
Davanti ai soprannomi (il Blasco), agli etnici (il Perugino, il Veronese), alle metonimie (il Dante di Foligno) l'articolo è addirittura obbligatorio.
EliminaAnch'io non sopporto chi dà del "tu" aspettandosi in cambio del "lei". Devo dire che mi capita raramente, anzi che non mi capita affatto da almeno un decennio: dev'essere una cosa legata all'età. Quando accadeva, passavo al "tu" sbarazzino. ;)
Davanti ai soprannomi non è utilizzato proprio sempre. Vorrei cercare qualche caso celebre ma non ho tempo, mi viene in mente solo "rombo di tuono", Gigi Riva, che non è mai stato chiamato "il rombo di tuono". Nei casi che tu hai citato, comunque, l'articolo vuole rimarcare l'identità del soggetto. Come dicevo prima, il messaggio implicito è: si tratta proprio di lui.
EliminaA te non capita che ti diano del "tu" e vogliano il "lei" perché sei uomo. A me capita spesso. E quelli che usano il "tu" sono sempre maschi. :)
Probabilmente perché "rombo di tuono" è già un costrutto, ma non conoscendo bene il calcio non posso approfondire.
EliminaPuò darsi. Comunque ci tenevo a puntualizzare, in merito al tuo primo commento, che non ho definito recente il fatto che si usi l'articolo davanti ai nomi femminili: recente è il fatto che le donne della politica abbiano messo in evidenza l'intento discriminatorio. :)
EliminaIn Toscana, dalle mie parti, l'articolo determinativo si usa sempre davanti al femminile, ma non serve a specificare il sesso perché si usa davanti ai nomi propri come davanti ai cognomi. Diciamo per esempio "Andiamo a trovare la Maria" nel caso di una donna e "andiamo a trovare Mario" nel caso di un uomo.
RispondiEliminaAnche qui in Liguria si fa così. Però il parlato quotidiano, come tu ben sai, si limita al privato. Il fatto che i media nazionali usino questi termini dà alla cosa una valenza completamente diversa.
EliminaBell'articolo anche questo!
RispondiEliminaHai ragione sull'articolo davanti ai nomi femminili, infatti ho letto anche qualche giornalista che rimarcava quanto fosse scorretto. La verità è che non ci dovrebbe interessare se il personaggio X è maschio o femmina, perché in politica (o in giurisprudenza o in medicina o in qualsiasi ambito lavorativo) questo non influenza le capacità.
Però purtroppo a me capita di farlo, senza rendermene conto, perché in Veneto si mette abitualmente l'articolo davanti ai nomi femminili. Ci sono la Sara, la Maria e Marco. A scuola ho imparato che non bisogna scriverlo nei temi, ma quando si parla colloquialmente lo fanno tutti. Non so da dove arrivi quest'usanza.
Per quanto riguarda il "lei", io do del lei a tutte le persone che non conosco, perché qualcuno potrebbe offendersi. Mi piace quando anche l'interlocutore mi dà dai lei: mi considera o almeno finge di considerarmi una sua pari. Però ho ventitré anni, sono troppo giovane perché certa gente mi prenda seriamente.
Ma tu pretendilo, sei una professionista, mica una stagista appena arrivata come me!
Sui titoli professionali ho poco da dire: hai ragionissima. E' giusto che si usi lo stesso trattamento sia per le donne che per gli uomini. E, se una donna è laureata e ha anche fatto l'esame di stato, chiamatela ingegnere, ché non esistono più solo gli ingegneri uomini.
Grazie, sono contenta che ti sia piaciuto!
EliminaIn ufficio da me c'è molta educazione. Non mi è mai capitato, qui, che qualcuno mi dia del "tu" e pretenda il "lei". Ai colleghi do del "tu", ai dirigenti del "lei", ma la cosa è reciproca. Mi capita più spesso quando sono in giro, nei negozi, per esempio. In compenso, con i titoli professionali si fa un gran casino...
Anche qui da noi si usa l'articolo davanti ai nomi femminili. Io stessa, nel parlato, ne faccio spesso ricorso. Nello scritto, invece mai, anche se forse dovrei, visto che il mio romanzo è ambientato a Milano... ci penserò! ;) Comunque non trovo corretto che lo facciano i media.
Problemi che tra un po' cesseranno di esistere: siamo nell'epoca dei titoli e delle professioni fighe, quelle da spiattellare in inglese su LinkedIn. E il "genere" non sarà più un problema.
RispondiEliminaProfessioni tipo il "web influencer" (leggesi: colui che clicca sui link di Google), intendi? :-D Non so, sinceramente, se il passaggio di cui parli sia un bene o un male...
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaEh, io sospetto che quella roba che m'han messo sul biglietto da visita esca dritto dritto da qua: http://www.phibbi.com/generatore/qualifiche-stronze-web/
Elimina:D
Ciao! Da veneta posso assolutamente confermarti il primo punto. Da noi è talmente diffuso l'uso dell'articolo davanti al nome femminile che ci viene ancora più naturale usarlo anche nei contesti pubblici o formali. Sarà un vizio duro a morire, temo, essendo insito nella lingua.
RispondiEliminaPer quanto riguarda il secondo punto, io sono sempre stata abituata a dare del lei alle persone più grandi, in segno di rispetto, almeno finché non si raggiunge una confidenza tale che mi permette l'uso del tu, o di ricambiare se l'altra persona si rivolge a me con questo timbro, ma sto notando che l'utilizzo del tu è sempre più diffuso, forse anche nelle situazioni e nei contesti in cui non dovrebbe. Da una parte è apprezzabile infrangere certe barriere, ma ci sono anche momenti in cui la troppa confidenza stona ed è di cattivo gusto, secondo me.
Al terzo punto non avevo mai pensato. In effetti è vero che c'è questa sorta di discriminazione, ma nel mio ahimè precario ambito lavorativo sono abituata molto anche all'utilizzo dei titoli con le clienti. Mi è capitato spesso di trovarmi di fronte ad una dottoressa tal dei tali. È vero che però continua ad essere un'eccezione in molte realtà, purtroppo.
Ciao, benvenuta! :)
EliminaCome accennavo negli altri commenti, anche qui in Liguria si usa molto l'articolo davanti al nome femminile, però non è insito nella lingua, in quanto l'italiano non contempla quest'abitudine: è un regionalismo diventato prassi.
Le donne che ottengono il titolo di "dottoressa" honoris causa spesso sono mogli di uomini importanti... o sbaglio? :)
Grazie! :)
EliminaSì, mi sono spiegata male io, intendevo che è insito nella lingua dialettale. Poi è stato, come dici tu, trasportato all'italiano.
Mah, guarda, ci sono sicuramente gli esempi di cui parli. Indubbiamente. Ma ti dirò la verità, quelli a cui avevo pensato io nel mio ambito lavorativo comprendono anche dipendenti di aziende clienti (che magari hanno un ruolo importante al loro interno) che si sono laureate e per prime si presentano come la dott.ssa Tal Dei Tali. Da cui chiamarle con il loro titolo quando ci si rivolge a loro viene spontaneo. Oppure mi era venuta in mente la titolare di un qualche studio.
P.S. Chiedo venia per quel "cui" che doveva essere "qui", sto scrivendo dallo smartphone e probabilmente il correttore automatico è riuscito a combinarne una delle sue senza che me ne accorgessi. ��
EliminaUna volta mi hanno detto che per il galateo uno non deve presentarsi come il "dottor tale" perché è maleducazione: devono essere gli altri a usare il titolo. Non so se sia vero, però nemmeno io sono solita presentarmi come "dottoressa". :)
EliminaDavvero? In effetti non è molto carino da sentir dire. :P
EliminaCiao Chiara, sai che è vero? Che bisogno c'è di dover sottolineare con l'articolo il genere. Nel dialetto è comune, accettabile, ma forse i giornalisti potrebbero evitare. In merito al tu o al lei, io tendo al tu, quasi sempre a prescindere dal ruolo sociale, a meno che il mio interlocutore non parta per primo con un lei molto formale, ma anche lì risolvo quasi subito. I titoli professionali prima del nome sono una mania tutta nostra, siamo pomposi e bizantini, il paese di dottò, dottò, ridicoli. Termini socialmente scorretti? Credo siano tantissimi: sessisti; razzisti; omofobi; sminuenti le professionalità; ecc..
RispondiEliminaSì, hai ragione, sono tantissimi! Infatti io li sto elencando in vista dei prossimi post, e me ne stanno venendo in mente un'infinità. Quello più odioso di tutti, comunque, è: femminicidio! Persino il programma di scrittura me lo segna come errore... Quanto allo sminuire le professioni mi hai fatto venire in mente mia nonna, nata nel 1912, che diceva "la serva" per indicare la colf. XD
EliminaUn classico. Sono tanti i termini sgradevoli, molti, in effetti, in relazione alle donne. Voglio vedere nel prossimo post cosa tiri fuori dal cilindro. Ho in mente termini da aggiungere all'elenco, ma a questo punto aspetto il prossimo post.
EliminaNo, dai, dimmelo: mi interessa! :)
EliminaAllora...da noi a Napoli non si usa l'articolo indeterminativo "la" per indicare una donna su questo punto siamo abbastanza informali. Quindi non esiste dire Esposito e "la"Esposito, avendo vissuto molto fuori regione per motivi di vita e di lavoro posso dirti che effettivamente al Nord ho notato questa differenza, in Veneto ad esempio l'articolo si usa anche davanti al nome proprio femminile e non solo al cognome, quindi io per gli amici sono Nicola, mia moglie Venusia invece è diventata "la" Venusia.
RispondiEliminaP.s
Lo sai che esiste davvero un ex parlamentare della Democrazia Cristiana che si chiamava Felice Mastronzo?
A Napoli la cosa era diventata quasi una barzelletta, fino al giorno in cui il malcapitato, per evidenti motivi si fece cambiare il cognome in Mastranzo.
Ciao
Sì, lo sapevo, è una celebrità su tutti i libri dedicati ai nomi strani.
EliminaInvece Venusia è un nome che non può non piacere agli appassionati di astrologia! :)
Anche qui in Liguria, come dicevo anche in altri commenti, si usa spesso il "la" davanti ai nomi femminili. Però questo è un regionalismo che non ha intento discriminatorio, per questo non l'ho citato nel post. Diverso è il caso in cui a usare queste espressioni sono i media...
Ciao a te!
Non mi piace molto il Lei, trovo che crei troppa distanza e non so mai quando usarlo. Ho come l'impressione di dire: non sei più tanto giovane. Nell'ultima storia che ho scritto ho fatto un piccolo, piccolissimo riferimento proprio a questo, alle difficoltà di scegliere quando utilizzare l'uno e quando l'altro.
RispondiEliminaQuanto all'articolo, dalle mie parti, e credo in tutta la Toscana, lo usiamo davanti al cognome anche se si tratta di un uomo (il Paolini, la Paolini), ma per i nomi lo facciamo solo con le donne, dunque "la Laura", "Marco". Che strano.
Nemmeno a me piace il lei quando è "affettato".
EliminaE non mi piace il "tu" quando è irrispettoso.
... che personcina complicata! :-D
Questo post è per un verso illuminante. E concordo su tutto.
RispondiEliminaConfermo che in Veneto si usa il LA davanti ad ogni nome e cognome di donna. Ho notato però che via via verso Milano c'è anche chi usa IL davanti a nome e cognome di uomo, ma non tutti. Non so se come nei film di Vanzina, sia una caratteristica degli imprenditori di un certo calibro (alla Guido Nichele che ne I ragazzi della 3ª C interpretava "il Zampetti").
Sul Lei e Tu: in azienda solo il capo supremo dà e pretende il Lei, tutti gli altri si parlano con il Tu. Fino ad una certa età ho continuato a dare del Lei, finchè non mi richiedevano il Tu espressamente. Ora che sono senior è bestiale sentirsi dare del Lei dai ragazzini.... :/
Con i clienti, senior o non senior, del Lei se non richiedono loro il Tu. Tempo fa un neoassunto trentenne è stato castrato subito perchè si è permesso di dare del Lei ad un cliente, alla prima trasferta, solo perchè erano entrambe ingegneri (io gli ho sempre dato del Lei). Il cliente non la prese bene, da parte mi disse "Ma io sono ingegnere da 40 anni, però!" Qui entra in campo il rispetto per l'età oltre che il ruolo.
Sul titolo aziendale...io non lo uso, nemmeno in azienda, perchè in effetti in Italia è abusato. Son tutti dottori, sulla carta. Preferisco la prova dei fatti.
Anche da noi, come scrivevo in un commento precedente, nella maggior parte dei casi si usa il "tu" fra colleghi e il "lei" per dirigenti e direttori. Facendo una carrellata, direi che sono tutti rispettosi perché mi danno a loro volta del "lei". Però mi chiamano "signora". Il problema con chi da del "tu" è più che altro fuori dall'ufficio. Del titolo non me n'è mai fregato nulla, finché non mi è stato "consigliato" di non usarlo perché non sono né capoufficio né dirigente. Siccome da buona bilancina odio le ingiustizie e le discriminazioni ho iniziato a ficcarlo nella signature aziendale. Nessuno si è potuto permettere di dirmi nulla: in fondo la laurea non me l'hanno data loro. :-D
EliminaP.s. il "lei" dai ragazzini è umiliante! :-D
Capisco il tuo punto di vista e mi ritrovo molto in quello che dici. E mi irrito esattamente come te quando usano il tu in maniera irrispettosa o, nel mio ambiente di lavoro, mi chiamano signora invece di dottoressa (parlo ovviamente degli esterni perché tra noi interni ci diamo quasi tutti del tu). La società italiana sotto l'aspetto parità di genere ha molto ancora da recuperare rispetto agli altri paesi, nella forma ma ancora di più nella sostanza.
RispondiEliminaMi piace molto l'ultima frase del tuo commento: quando parli di "sostanza" mi fai venire il mente proprio le convinzioni a cui facevo riferimento nel mio post. È ciò che un individuo ritiene vero a condizionare le formule che usa. Quindi, chi chiama "signora" una "dottoressa" è perché dentro di sé non ritiene che meriti il suo titolo. Questo secondo me è vergognoso.
EliminaNon mi sono mai fermata a riflettere sull'uso dell'articolo di fronte a nomi femminili. Fondamentalmente perché in Sicilia non si usa e comunque ho sempre pensato che fosse una tipica consuetudine del nord Italia.
RispondiEliminaSul "lei" e "tu" mi sono pronunciata in altre occasioni e ribadisco che anche il "lei" dato a una persona sconosciuta è un segno di rispetto e di giusta distanza: qui a Roma, vai a comprare la frutta e ti senti dire "ciao bella" e attenzione! È proprio un modo di rapportarsi, perché riservano la stessa espressione anche per le nonnine! Poi sono d'accordo con te e l'ho anche raccontato: a me non interessa il titolo conseguito con la Laurea, ma se in un dato contesto ci sono altri laureati uomini e io sono soltanto la "signora" rispetto a loro che sono "ingegneri" o "dottori" m'incazzo. (Mi è successo quando lavoravo con tanto di targhetta di Avvocato sulla mia scrivania).
E dove lo mettiamo il luogone comunissimo che se un uomo ha l'amante è uno che sa vivere, se lo ha la donna è quello che è? (O l'ha già detto qualcuno?)
No, non l'ha ancora detto nessuno, però effettivamente è una storia vecchia come il mondo. Me ne hai fatta venire in mente un'altra: l'appellativo di "segretaria" attribuito a qualunque donna che lavori fianco a fianco di un direttore, a prescindere da quello che effettivamente fa. Quest'abitudine sociale sopravvive perché molte donne si "gasano" a essere considerate il braccio destro del capo. A tal proposito, dice bene una mia collega: "esistono tre tipi di donne: quelle che vogliono essere le segretarie di un capo, quelle che vogliono essere IL capo, e quelle che il capo vogliono sposarselo..." Sembra una definizione riduttiva, ma c'è un gran fondo di verità! :)
EliminaSpesso finiscono persino per coincidere: le segretarie di un capo vogliono sposarselo per poi comandarlo a bacchetta! ;D
EliminaIo non mi offendo per queste piccole cose. Dipende dalla persona. Magari ti dà del lei ma sulla sua faccia vi è tutto un vocabolario di offese. Mi offende l'ipocrisia.
RispondiEliminaL'intuito aiuta a distinguere chi è in buona fede da chi non lo è. Per questo riesco spesso a vedere dietro l'immediato...
EliminaL'articolo davanti al cognome di una donna si usa anche da noi, Roma, io lo sento da sempre. Non credo però che si usi per condizionare un giudizio, ma solo per far capire appunto il sesso della persona.
RispondiEliminaPer quanto riguarda il "dottore", io chiamdo dottore solo i medici, non i laureati in genere, uomini e donne che siano. E se mi fossi laureato, sarei stato il signor Imperi e non il dottor Imperi, perché non mi sarei laureato in Medicina, appunto.
Se due persone parlano fra di loro nel privato non c'è niente di male a usare l'articolo, ma quando lo fanno i media è discriminatorio: se due ministri propongono una legge, è davvero così necessario rimarcare con l'articolo che una delle due è donna? Se lo è, allora, usa il nome e il cognome: il "la", di solito, si usa per le cose...
EliminaConcordo con te a proposito del titolo "dottore": ho scritto anche nell'articolo che non mi piace. Però in Italia si usa, questo è innegabile. E dovrebbe essere usato in modo corretto. Nell'azienda in cui lavoro solo gli uomini ne hanno diritto. Può sembrare esagerato, ma è così. Non ho mai sentito il mio capo chiamare "dottoressa" una donna. Una volta, l'ho pure corretto rimarcando: "guardi che la signora X è ingegnere come lei..."
L'articolo femminile davanti al cognome secondo me corriponde al naturale desiderio di sapere se si parla di una donna o di un uomo. Non serve a nulla, ma mi aiuta a immaginare la persona in questione. Al lei preferisco il tu, ma con le persone molto anziane fatico a usarlo, spesso perché loro stesse sono più formali per abitudine. Sul titolo professionale per gli uomini hai ragione, dà una connotazione di rispetto che nel "signora" non c'è. In generale considero importanti i termini che usiamo, ma non sono molto accanita nel voler ripulire completamente il linguaggio, che nasce comunque da un contesto, non solo dalla volontà di discriminare. Magari bastasse trasformare i ciechi in non vedenti e i negri in neri per crescere degli esseri umani migliori!
RispondiEliminaIl politically correct ipocrita non serve a niente, se non è accompagnato da un sentimento di rispetto reale: su questo siamo perfettamente d'accordo. Il desiderio naturale di sapere se si tratti di un uomo o di una donna si può assecondare usando il nome e il cognome, anziché affiancare gli articoli, come nelle cose. Non sempre comunque c'è questa esigenza: il mio capo parla di me come "la Solerio" (ormai mi ha tolto anche il "signora", mentre il "dottoressa" non è mai stato contemplato :-D), ma in azienda tutti mi conoscono, e tutti sanno che sono una donna. Quindi l'articolo non è necessario, secondo me. Si tratta forse più di un'abitudine, che di una necessità reale. :)
EliminaDalle mie parti a volte si usa mettere l'articolo davanti anche al nome proprio. Con le donne ha più o meno la stessa valenza che col cognome, mentre per gli uomini hanno tutto un sottotesto, spesso ironico. A volte lo si fa anche col cognome, ma piuttosto raro.
RispondiEliminaPer quanto riguarda il lei, trovo fastidioso che persone che non mi conoscono e a cui non ho concesso di darmi del tu, mi si rivolgano per nome. Spesso lo fanno quelli del call center o gli scusa-una-domanda, ma lì è questione di marketing psicologico.
Anni fa un professore universitario ironizzava sul fatto che in una mail mi fossi firmato dottore. Ne ho tutto il diritto, essendo questo un regio decreto e confermato da un decreto ministeriale di una decina di anni fa.
Anche a me una volta avevano detto che il titolo non va usato riferito a se stessi, ma devono essere gli altri a usarlo per rivolgersi a te... Beh, se io dovessi aspettare che mi chiamino "dottoressa" morirei, considerato il maschilismo dilagante. :)
EliminaCiao Chiara, leggere l'articolo è stato piacevole ed interessante, come i commenti lunghi il doppio (ovviamente questo magnifica l'articolo). Essendo anche io delle tue parti condivido questo uso improprio dell'articolo per sottolineare la differenza uomo donna. Nell'ambiente di lavoro che ho spesso affrontato, soprattutto se con italiani il senso di distanza tra i sessi non l'ho mai provato, venendo trattata con cortesia pari alla mia, ma forse qui si tratta di persone intelligenti con cui ho avuto a che fare, mentre con l'unico esempio di lavoro con stranieri (spagnoli) ho trovato molto rispetto e nessun genere di rimarco per i titoli. Io ero la chica Nadia ed il mio capo semplicemente Victor, mentre il capo dei capi con il suo nome (ing. tal dei tali solo nelle lettere) ma tutti democraticamente uguali. Intendo dire che l'intenzione espressa di distanza con un titolo è inevitabilmente fastidiosa in quanto cerca di sminuire o ingigantire l'ego e nulla dimostra se non un mero vanto (le persone a volte nascondono grandi qualità nonostante la mancanza di laurea). Per il resto tv, giornali, web hanno deformato l'uso abituale di molte usanze lessicali regionali facendole diventare nazionali. Non sopporto comunque i ragazzini che mi danno del lei, così come non mi piace che i miei figli dicano ciao maestra...ecco io alla maestra e prof davo il rigoroso lei e le distanze servivano eccome se servivano.
RispondiEliminaIo ho finito il liceo da 16 anni, ma sono amica su Facebook del mio professore di storia, che ai tempi aveva all'incirca l'età che ho io adesso, quindi sarà ora sulla cinquantina. Sai quante volte mi ha detto: "Ma basta con questo lei!", eppure ho difficoltà a dargli del tu, faccio un miscuglio strano, sebbene sia una persona giovane. Detto ciò anche a me dà fastidio che i ragazzini mi diano del lei perché mi fa sentire vecchia, anche se penso che questo dimostri la presenza di una buona educazione in un'epoca in cui spesso i giovani sono accusati di essere dei cafoni (e talvolta lo sono davvero). Dopo tutto, so di non essere più una ragazzina! :-)
EliminaCiao, Chiara, interessante questa serie di post!
RispondiEliminaUna riflessione sul passaggio in cui scrivi che ci sono persone che esigono il "lei" ma ti danno del "tu"... no no e poi no.
Nella scuola dove insegnavo precedentemente, il preside aveva questo "vizietto" e io me ne sentivo assai infastidita. Quando attaccava col "tu", beh, cominciavo pure io. Chissene.
Scusa Luana, ho visto solo ora il tuo commento.
EliminaIdem con patate. Se qualcuno mi dà del "tu", rispondo con il "tu". ;)