Lo scrittore tra essere e divenire








Il talento è la tassa per l'esercizio dell'arte.
(Alessandro Morandotti)


La settimana scorsa, Salvatore Anfuso ha pubblicato il post Come si diventa scrittori, lasciando trasparire, fra i vari argomenti affrontati, anche un quesito che da anni attanaglia la blogosfera: scrittori si nasce o si diventa?
Credo che questa domanda non avrà mai una risposta oggettiva. Ogni volta che qualcuno dedica attenzione all’ argomento si creano due fronti contrapposti: c’è chi parla di dono divino e chi nega l’esistenza del talento, perché secondo lui solo la dura gavetta, la pubblicazione con una casa editrice tradizionale e il conseguente riconoscimento sociale ci consentono di distinguere chi è scrittore da chi non lo è.
A me non sono mai piaciute le posizioni troppo nette. La mia mente è abituata a contemplare i diversi lati della medaglia. Trovo quindi difficile accettare la dicotomia fra “essere” e “divenire” perché non vedo alcuna contrapposizione: per me il secondo punto altro non è che la naturale evoluzione dei primo.
Secondo il mio punto di vista, la nostra carriera di scrittori si struttura in tre atti proprio come un romanzo.

Il talento – Scrittori si nasce.
La grammatica e le tecniche narrative si possono imparare, ma senza una determinata propensione caratteriale non credo sia possibile intraprendere la carriera di scrittore. Quest’attività infatti non richiede soltanto di sedersi davanti a un computer e picchiettare sulla tastiera. È necessario aderire a uno stile di vita che prevede rinunce e sacrifici. È necessario non temere la solitudine e riuscire a considerarla una maestra illuminate. È necessario amare la lettura e saper cogliere ciò che i grandi autori cercano di comunicarci fra le righe dei loro romanzi. È necessario avere una fantasia incontrollabile, una mente naturalmente propensa al pensiero astratto. È necessario essere empatici e saper creare un contatto profondo con l’animo umano.  È necessario che l’istinto viscerale di raccontare storie ci scorra nelle vene al punto che il silenzio ci sembri contro natura. Ma soprattutto è necessario percepire tutta l’energia della parola, nutrirsi del suo suono e restituirla agli altri in una nuova forma, una forma pregna della nostra voce individuale. Tutte queste qualità non si creano dal nulla. Esistono da quando siamo nati, che noi ne siamo consapevoli o meno.
L’astrologia psicologica-evolutiva di matrice junghiana usa il tema natale per comprendere le propensioni naturali dell’individuo. Io, che negli ultimi dieci anni ho analizzato un centinaio di carte del cielo, sono ormai convinta che il talento non si trasmetta geneticamente ma faccia parte del bagaglio energetico con cui veniamo al mondo. So che molti non credono nella validità di questa disciplina, ma ritengo che le mie opinioni possano essere condivise da molti. Aggiungo inoltre che, se noi assecondassimo liberamente tutte le tendenze che animano il nostro essere, diventeremmo dei supereroi, ma il contesto sociale e l’educazione ricevuta creano una selezione che ci permette di sviluppare alcune doti piuttosto che altre, o di non svilupparne alcuna.  Non per altro si parla di potenzialità: per passare all’atto, occorre una decisione consapevole, senza la quale non possiamo diventare ciò che siamo. 

L’azione – Scrittori si diventa (per noi stessi)
Quando il talento naturale incontra la passione, inizia una fase di risveglio. Questo periodo può durare anni, addirittura decenni, e non è mai indolore. Io lo so bene, perché sono ancora invischiata fra le spire di questa gavetta che sembra non finire mai. Oltre a portare avanti la stesura del mio primo romanzo, sto studiando e facendo esercizi di varia natura. Inoltre, lavoro quotidianamente sulla mia psiche per crescere sia sul piano professionale sia su quello spirituale. Conoscere i propri punti di forza e le proprie debolezze  è un presupposto fondamentale per decidere se andare avanti o mollare tutto. A volte la percezione del proprio talento può anche essere un abbaglio, ma quando conosci a fondo te stesso l’obiettivo diventa chiaro: tu puoi, e soprattutto desideri con tutto te stesso diventare uno scrittore.
Ma cosa significa davvero diventare uno scrittore?
Penso che il significato di queste due parole debba essere chiarito.
Secondo la Treccani, diventare significa: passare a una condizione diversa dalla precedente, evolversi gradualmente acquisendo certe qualità o caratteristiche. In poche parole, si tratta di una trasformazione, non di una creazione dal nulla. Questo conferma la mia tesi iniziale: il talento è dentro di noi da sempre, dobbiamo solo mandarlo in palestra affinché sviluppi dei muscoli adeguati. Il bambino che scrive raccontini su fate e gnomi possiede già l’energia che lo renderà uno scrittore, così come il bruco è una farfalla in potenza e il brutto anatroccolo ha piume di cigno nascoste sottopelle.
Allo stesso modo, lo scrittore è: chi si dedica all'attività letteraria; chi compone o scrive opere con intento artistico. So che questo principio può fa storcere il naso a chi difende il proprio orticello traendo forza da un’assurda guerra fra poveri, ma nonostante il sangue che abbiamo sputato sulla tastiera dobbiamo comprendere nel gruppo anche certi auto-pubblicati che non sanno l’italiano. Tale definizione è oggettiva e strettamente legata al fare; non è meritocratica e, soprattutto, non ci parla di come debba avvenire la pubblicazione, del numero di opere presenti sul mercato e del ruolo dello scrittore in società. Ciò che conta, per il dizionario, è l’azione nuda e cruda, senza elementi di contorno.

Riassumendo, ci possono essere individui che:
- hanno un enorme talento letterario ma non lo sapranno mai perché si iscrivono a ingegneria gestionale;
- hanno un talento discreto ma credono di essere nati perfetti e bruciano le tappe auto-pubblicandosi;
- hanno lo stesso talento di un pesce che vuole arrampicarsi su un albero: o se ne accorgono presto e appendono la tastiera al chiodo, oppure non se ne accorgono mai e spammano racconti erotici sui social.
So che rosichiamo a chiamare questi individui scrittori, ma dobbiamo farlo.
Per fortuna, ci sono anche coloro che:
- sanno di avere discrete capacità e un ampio margine di miglioramento;
- sono disposti a lavorare sodo per diventare dei professionisti;  
- desiderano che anche la società riconosca il loro ruolo.
Per loro (noi?) scrittori si diventa solo quando si raggiunge questa terza tappa.

Il riconoscimento sociale - Scrittori si è diventati (per gli altri)
Viviamo in un sistema che si nutre di etichette. La nostra professione è scritta sulla carta di identità insieme al colore degli occhi e all’altezza.  Il ruolo di avvocato o di ingegnere non solo indica una determinata condizione sociale, ma lascia presupporre un modo di essere e di pensare, un’indole di un certo tipo, uno stile di vita coerente con la propria realtà professionale. Purtroppo però non sempre ciò che facciamo corrisponde a ciò che siamo. E io non amo essere classificata sulla base di un’attività che non mi rappresenta ma che vuole definire la mia qualità di essere umano.
Ciascuno di noi deve domandarsi: è importante essere identificati con l’attività di scrittori? Vogliamo essere riconosciuti come tali agli occhi del mondo intero? Desideriamo realizzare l’unione fra attività e identità? Se sì, dobbiamo muovere le chiappe e ritagliarci un buco in questo cazzo di mondo.
So che mantenersi con la narrativa in Italia è difficilissimo, però ci sono tante attività (parallele alla scrittura ma anche in ambiti completamenti diversi) che potrebbero far coincidere la mia professione e la mia identità. Riuscire a svolgerne una, anche part-time, sarebbe già una conquista, ma pubblicare almeno un paio di romanzi prima di morire è un obbligo morale.

Il lancio della patata bollente.

Semplicemente: cosa ne pensate del mio ragionamento? 


Commenti

  1. Come ragionamento, secondo me fila abbastanza bene :) . E' vero che non tutti possono scrivere, ma è anche vero che anche chi ha grandi potenzialità le deve coltivare, altrimenti non diventerà comunque un bravo scrittore.

    Non storco il naso, comunque, nell'includere negli scrittori anche gli auto-pubblicati di basso livello. Magari tra di loro si nasconde anche qualche talento, che però appunto non è mai stato coltivato a dovere. Dopotutto chiunque all'inizio ha scritto delle schifezze immonde. Io per esempio provo ribrezzo per i primi racconti che ho scritto: sono così brutti da far sembrare certe auto-pubblicazioni di Amazon dei capolavori della letteratura :D . Non riesco a capire come una volta invece mi siano sembrati buoni, e li abbia persino pubblicati sul mio blog, quando invece dovevano finire in un metaforico tritarifiuti.

    Eppure, anche quei racconti hanno avuto una loro utilità: dai loro commenti negativi sono partito per il mio percorso di miglioramento. A ora non so se ho talento o meno, se scrivo bene o meno, visto quanto sono insicuro. So però che rispetto a quei racconti sono migliorato. Forse ho talento, forse no, ma se ce l'ho era presente anche quando scrivevo quelle schifezze - e se non ce l'ho, non ce l'ho neanche conoscendo le varie tecniche. Questo per dire che, appunto, giudicare qualcuno senza talento quando invece è immaturo non si dovrebbe fare. E in special modo non dovrebbe farlo chi si crede uno scrittore provetto, anche se poi i suoi post sono pieni di "d" eufoniche a casaccio e di brutture grammaticali - ne conosco qualcuno. Un po' di umiltà non guasta mai :) .

    (E comunque scusa per la lunga digressione :D )

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    1. Quando scrivi commenti lunghi, ti scusi sempre: non ce n'è bisogno, davvero. A me piace l'interazione e non amo liquidare gli argomenti con quattro parole stitiche, quindi non preoccuparti, davvero! :-)

      Per quel che riguarda il contenuto del commento, sono d'accordo con te. Anche io "ripudio" i miei vecchi scritti e so che sono pieni di imperfezioni, ma so anche che la propensione per la scrittura esiste, devo soltanto coltivarla. So di essere meno brava di tanti altri e so anche di essere più brava di alcuni, non per "dono divino" ma perché mi sono esercitata molto. Questo però non mi ha mai portato ad assumere atteggiamenti arroganti e saccenti. Al contrario, mi piace condividere ciò che so e aiutare gli altri a coltivare i propri talenti. :)

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    2. Si, mi scuso perché vorrei essere sempre conciso nei commenti, e non sempre ci riesco. Lo faccio anche perché qualche commento lungo arrivato a me mi ha fatto anche rabbia, e preferirei non fare lo stesso :D .

      Per il resto, sono d'accordo con te ;) .

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    3. Sono d'accordo con te, Mattia. A mio parere alla base di un bravo scrittore - a cosa ne penso di questa definizione ci arrivo tra un attimo - deve esserci soprattutto l'umilta'. L'umilta' di riconoscere che si e' partiti, come dici tu, con lo scrivere delle emerite schifezze, sia che siano nate quando avevamo 10 anni o quanto ne avevamo 20; umilta' di saper accettare i consigli di chi ci vuole aiutare e che ci dice con sincerita' cosa va e cosa non va nei prodotti del nostro ingegno; umilta' di accettare che la strada su cui ci siamo messi potrebbe non essere facile, ne' in discesa, mai, a dispetto di quanto sia alta l'opinione che abbiamo dei nostri scritti. E' indispensabile, in quei casi, la loro onesta'. Senza quella, non sapremmo di dover correggere o migliorare quello che hanno letto, con il solo risultato di offrire a cinici, detrattori, lettori frustrati o annoiati pane fresco con cui fare la scarpetta ai nostri scritti.

      Le critiche degli estranei sono utili, come dici anche tu: aiutano a capire dove e cosa abbiamo sbagliato, e a fare uno sforzo per migliorare. Il problema e' che queste devono essere costruttive e, soprattutto, civili: due fattori di cui, purtroppo, spesso la gente si dimentica.

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  2. Il post che citi non si pone il problema se scrittori si nasca o si diventi; il mio post avverte il lettore del pericolo di classificare il mondo secondo categorie immutabili. Dire, ad esempio, che scrittori si nasce, significa sostenere che se non lo sei nato non lo puoi nemmeno diventare. La domanda è sempre la stessa: “perché, tra tutti, proprio noi lo nascemmo?”.

    Che serva una predisposizione naturale per esercitare la scrittura a livelli di “pubblicazione” è vero tanto quanto questa stessa verità si possa applicare a ogni altra categoria lavorativa, professionale o artistica. Per intenderci: se nasci stonato, puoi esercitarti ma difficilmente farai il cantante; se la vista del sangue ti fa svenire, puoi sforzarti ma difficilmente farai il chirurgo; se parlare alle folle ti fa traballare le gambe, puoi costringerti ma difficilmente farai l’attore, il politico o il conferenziere. Tuttavia autodefinirsi “nato per” nasconde un pericolo che va oltre queste blande e innocue osservazioni. Se si comincia a dire che scrittori si nasce, allora si nasce anche poveri, ignoranti, serial killer, ladri… senza alcuna possibilità di elevarsi.

    Edward Bunker forse scrittore lo nacque, ma cominciò a scrivere solo quando si ritrovò dietro le sbarre. Certamente aveva da sempre amato leggere. Forse allora non si nasce scrittori, si nasce lettori. E poi, con un po’ di passione e un po’ di buona volontà, magari scrittori lo si diventa anche.

    Vorrei aggiungere una cosa: io credo nel talento. Credo che al mondo ci sia gente in grado di dire: «Seguitemi», e di vedersi effettivamente una folla di persone che lo tallonano. Allo stesso modo, c’è gente che butta giù una frase e quella frase è semplicemente perfetta. Non solo da un punto di vista semantico o sintattico, soprattutto emotivo. Cioè tale da sprigionare una forza capace di scuotere gli animi. Chi è in grado di scrivere così, tuttavia, non si definisce scrittore: scrive e basta. Perché se sei un individuo così profondo da toccare il cuore delle persone, allora non puoi non accorgerti di quanto pericoloso e avvilente possa essere dire a una persona: tu, nato per scrivere, non lo sei.

    P.S. lo so che non intendevi dire questo e che le tue intenzioni, come sempre, sono buone: ci conosciamo direi. Ma la questione, dal mio punto di vista, merita di essere trattata con un certo riguardo. E non per il sostantivo – alla fine scrittori forse è meglio non nascerci affatto –, ma per tutto il resto.

    A proposito, quasi dimenticavo: di gente che annaffia il proprio orticello (e non mi riferisco ai presenti) ne ho conosciuta parecchia in questo ultimo anno e mezzo. Non c’è alcun orticello. Solo tanta ipocrisia, poco talento e molto autoreferenziale egocentrismo...

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    1. Non ho mai concepito l' "essere nati per" come una limitazione o un modo per circoscrivere l'identità di un individuo entro confini prestabiliti.

      Innanzi tutto, l'uomo ha il libero arbitrio. Può essere nato per scrivere, ma decidere di non farlo. Quante persone soffocano la propria identità e fanno rinunce in nome di chissà quale pseudo-valore? Tante. Troppe. La propensione non è predisposizione. Noi siamo liberissimi e perfettamente in grado di mandare il nostro talento a puttane, se ci va.

      In secondo luogo, noi siamo nati per fare tantissime cose. Avevo fatto l'esempio, nei commenti al tuo blog, degli sport di precisione, per i quali sembrerei naturalmente portata. Quando un mio amico astrologo ha notato questa cosa, io mi sono messa a ridere. Poi osservando me stessa ho capito che un fondo di verità in ciò che dice c'è. Ho sempre giocato bene a basket, a freccette, a bowling e a tutto ciò che richiede una buona mira. Non ho mai approfondito questi sport, perché non mi interessano, però chissà, magari sarei diventata una campionessa.
      Molte ricerche dimostrano che noi esprimiamo un 10% scarso dei nostri talenti, e forse è giusto così. Meglio specializzarsi in qualcosa, che diventare dei tuttologi.

      Infine, forse noi scopriremo di avere un dato talento in età ormai avanzata (come Julia Child, la celebre cuoca) oppure non lo scopriremo mai. Tutto dipende da ciò che il contesto riesce a tirare fuori da noi.

      Sono assolutamente d'accordo con il fatto che per qualunque attività ci voglia una propensione. Per quel che riguarda la musica, però, un amico che suona mi ha spiegato che la stonatura dipende da un'incapacità di ascoltare, e con tanto esercizio si può correggere. Il vero problema è avere una brutta voce. Ciò nonostante, ci sono cantanti che hanno fatto dell'essere leggermente stonati il proprio punto di forza: pensa a Vasco, Lucio Battisti e Jovanotti. Questo perché la loro propensione naturale per la musica è così forte da trascendere anche la tecnica. :)

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  3. Potrei dire che ho risolto la faccenda definendomi uno che racconta storie. A mio parere, dopo un po' di tempo non badi più a questo genere di questioni: scrivi e basta. Finché puoi, finché hai storie da raccontare, finché ne hai voglia. Il resto (essere uno scrittore; scrittore si nasce o si diventa?) diventa secondario. E non lo dico perché non ha peso né importanza: ma perché impari a gustare il semplice piacere di raccontare le storie. In fondo la gente, se ci segue, lo fa per quello, mica perché abbia sviscerato questo genere di interrogativi :)

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    1. La tua risposta è tipica di un individuo che ha maturato una piena, completa e totale accettazione di se stesso. I miei complimenti, davvero. :)

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  4. Io penso che ci sia del vero in ciò che dici e apprezzo soprattutto il fatto che tratti l'argomento dal punto di vista che probabilmente ti è più consono, ovvero quello dell'astrologia, di cui io sono totalmente ignorante, pur essendone molto curiosa.

    Dal mio punto di vista però ci sono molti aspetti in questa questione e credo che si incrocino e condizionino l'uno con l'altro in modo inscindibile.

    Voglio dire, appena nato un bambino ha certamente già delle caratteristiche proprie (il patrimonio genetico? il quadro astrale? etc. etc.) eppure già un minuto dopo (anzi, già nella pancia della mamma) inizia il suo condizionamento e il suo condizionare gli altri, tanto che noi genitori non facciamo che chiederci: da chi avrà preso quella caratteristica? l'ha imparato da solo? gliel'ho insegnato io?

    Cioè, ci poniamo costantemente il problema di ciò che è innato e ciò che noi genitori abbiamo insegnato, ma non lo sappiamo e non lo sapremo mai perché sono due cose troppo legate per poterle scindere.

    Sul tema scrittura, sono certa che ci sia un patrimonio genetico, delle caratteristiche innate almeno tanto quanto un condizionamento dovuto all'ambiente in cui si è nati e cresciuti e all'impegno che ognuno ha messo in campo. Ma dire quale delle quattro caratteristiche sia la principale è impossibile.

    Magari la predisposizione che un bambino inizia a mostrare fin da piccolo per la scrittura non gli arriva per nulla da un patrimonio genetico o da un quadro astrale, ma dal fatto di essere stato stimolato in tal senso. Almeno quanto, viceversa, un bambino dotato in tal senso può essere castrato da un insegnate poco capace.

    A me piace credere (perché ho bisogno di farlo) che in un modo o nell'altro a tutti vengano date delle opportunità. Poi ovviamente sta a ognuno il saperle cogliere.

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    1. Io non ho negato completamente l'influenza della genetica, ma credo fortemente nel tema natale (che si indaga comunque con metodo scientifico) e nel karma.

      Il tuo ragionamento è sensato e credo che "stimolare" i bambini per far sì che tirino fuori il proprio talento sia fondamentale ai fini della loro maturazione. Tuttavia, ritengo che cavare il sangue da una rapa sia impossibile. Ci sono persone "negate" o completamente disinteressate a questo o quell'altra attività, per le quali l'insistenza sarebbe davvero deleteria. Molti genitori questo non lo capiscono. Non aiutano il bambino a sviluppare i propri talenti naturali, ma impongono loro di seguire le proprie orme. Quindi in giro per il mondo ci sono tantissimi talenti sprecati. :)

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  5. Mi trovo molto in linea con il parere di Marco Freccero. Vorrei allargare il discorso parlando di artista e non solo di scrittore, quindi di arte e non solo di scrittura. L'arte (e l'artista) da sempre si pone l'obiettivo di trasmettere un messaggio, un'emozione. Quando qualcuno segue e ama le opere di un artista (quadro, scultura, romanzo, film, fotografia...), lo fa perché prova piacere e benessere, o anche solo divertimento. Punto. Poco importa se l'artista ha fatto discernimento, crescita, oppure se le opere che produce sono frutto di talento puro innato o di talento grezzo opportunamente raffinato e migliorato. E quando dico "poco importa" non intendo dire che le questioni illustrate nel post hanno "poca importanza" (anzi): possono avere peso e importanza per chi "produce" opere, ma per chi apprezza un'opera, l'apprezza punto, senza sapere cosa c'è stato dietro le quinte. Non è che se è frutto di discernimento, di crescita ecc... allora l'apprezzamento è maggiore. Ci saranno sempre Botticelli che tirano fuori capolavori con quattro pennellate. E ci sarà sempre uno sconosciuto Alessandro Filipepi che tirerà fuori capolavori dopo discernimenti (mi permetto queste citazioni che potrebbero essere sottilissime :-D ). Per chi osserva apprezza senza necessariamente conoscere la storia dell'uno e dell'altro.

    Per lo scrittore forse è diverso perché l'opera che produce, solitamente, ritrae un mondo parallelo nel quale il lettore decide di viaggiare. E qui mi ricollego al mio pensiero iniziale, quando ho accennato al fatto che l'arte si pone l'obiettivo di trasmettere un'emozione. La scrittura forse (dico forse) è più impegnativa perché lo scrittore, creando mondi e universi, non si impegna a trasmettere solo emozioni, ma anche viaggi in cui il lettore può conoscere personaggi, (ri)vivere situazioni, scoprire nuove dimensioni. Può darsi che lo scrittore scriva di mondi e personaggi che ha dentro da sempre...

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    1. Come ho lasciato intuire nella mia risposta a Marco, io penso che a una persona non interessino più le definizioni del sistema nel momento in cui maturi una piena consapevolezza di sé e si sente realizzato umanamente e, soprattutto, professionalmente. Chi sente la necessità di un riconoscimento (e io faccio parte della categoria) deve ancora rafforzare la percezione della propria identità ed è eccessivamente condizionato dall'opinione altrui. Non c'è niente di male in questo. Sono fasi della vita che una persona attraversa e che in un secondo momento si lascia alle spalle.

      Per quel che riguarda il talento, invece, penso esistano ancora molti ostacoli - mentali e sociali - che impediscono alle persone di esprimerlo al massimo.
      Quelli individuali (ansia da prestazione, timore di non essere bravi ecc.) si possono eliminare con lavorando su se stessi, o al limite si possono ridurre facendo sì che ci condizionino il meno possibile.
      Quelli sociali, invece, sono più duri a morire. Il sistema non agevola l'espressione del talento, al limite lo sfrutta per fini commerciali. E noi artisti dobbiamo resistere... o fare la rivoluzione culturale! :-D

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    2. Sono con te. Ma come? Con la maggioranza che abbiamo come si può resistere?

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    3. Con la guerra dei jolly!
      Ne parlerò in uno dei prossimi post! :)

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  6. Ci vuole pure un terzo occhio. E non è vero che chi ci nasce poi riesca a realizzare romanzi belli e originali. Io sono nata per il disegno ma non sono van gogh ma non butto niente, ma so che non sfondero mai nell'arte. So raccontare meglio delle storie anche se mi sono avvicinata a 14 anni alla scrittura e ai libri. Non sono una lettrice accanita ma leggo quello che mi ispira e quando voglio. Non si è tutti uguali. Tra chi nasce e chi diventa, la differenza è la diversità che è il nocciolo. Ciao bella.
    Veronica.

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    1. Il terzo occhio è fondamentale. Io credo di averlo molto sviluppato, e non so se questo sia un pregio perché mi sembra sempre di avere le antenne alzate. Alla lunga cogliere i movimenti impercettibili dell'animo umano può essere snervante.

      Concordo anche con la "diversità del talento": c'è chi ne ha di più e chi ne ha di meno, ma le potenzialità umane nel corso della vita possono evolvere. Con un forte richiamo interiori i limiti si possono superare, ma ci vuole la volontà di farlo, oltre che un gran pelo sullo stomaco.

      P.S.ieri sera ho visto che hai messo un commento, poi eliminato: io sono sempre curiosa come una scimmia e da ieri mi domando cosa tu abbia mai scritto! :-D

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  7. si diventa scrittori per noi stessi...
    si e no... nel senso che a me piace un sacchissimo scrivere e mi rilassa, e mi riempie svuotandomi, ma lo faccio anche per farmi leggere... sarà che sono superficiale e non scrittrice vera e propria, anche solo per questo

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    1. Veramente l'articolo dice proprio questo.
      Si inizia a scrivere per se stessi, poi si sente l'esigenza di un riscontro degli altri. Il bisogno di riconoscimento è quasi inevitabile.

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    2. si si, ho letto che diceva questo, ma letti commenti che la vedono diversamente, e percepito, anche altrove, opinioni dissonanti mi è venuta voglia di un commento chiaro e conciso, più per esprimere... la nostra idea!

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  8. Niente. Più o meno quello che ho scritto in un secondo momento. L'avevo solo spiegato male e così l'ho corretto. Ciao!
    Veronica. P.s. sei anche su Facebook?

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    1. Sì. Nella pagina "contatti" trovi il link sia alla fanpage del blog sia al mio profilo personale. Se vuoi aggiungimi pure, come Veronica o come Giacomo, non importa. ;)

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  9. Che nome dare al bisogno insopprimibile di scrivere?
    Potrebbe essere il talento che hai ereditato e che cresce dentro di te finché non viene fuori oppure la voglia di sperimentare qualcosa che a scuola ti hanno insegnato talmente bene da indurti a mettere alla prova le tue riconosciute capacità. Magari ti hanno fatto amare gli autori classici attraverso le loro opere e pensi di possedere gli strumenti per dimostrare di essere all'altezza di potere scrivere qualcosa di interessante.
    Come la chiami la chiami, è lei, la scrittura, alla fine, che viene a cercarti. Le basi non si inventano, poi esistono i modi di migliorare e migliorarsi, ma quel desiderio di mettere la penna in mano non si impara dal nulla. Eppure amare scrivere non significa essere scrittori, questa è un'altra mia convinzione. Lo scrittore ha una storia alle spalle, una crescita, dei validi riconoscimenti (e sottolineo validi), ha pubblicato, è stato apprezzato dai lettori (e parlo di apprezzamento oggettivo, non soggettivo, ché i gusti sono un'altra cosa). Amare scrivere crea dei presupposti per diventare scrittori, senza questo amore si è solo "scriventi" e molti selfpublisher sono a questo livello, sebbene non se ne accorgano o non vogliano ammetterlo.

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    1. Capisco il tuo punto di vista e credo valga per qualunque professione: l'esercizio continuo di un'attività e il riconoscimento del tuo ruolo da parte degli altri sembrano presupposti fondamentali. Di certo uno non è un idraulico perché sa riparare un tubo. Io però non riesco a trovarmi completamente d'accordo con questo presupposto, non in un mondo in cui tante persone hanno competenze professionali coerenti con la loro identità ma fanno tutt'altro, perché il sistema chiude la porta in faccia alle capacità reali... :-)

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    2. Ah, magari tutti potessimo fare ciò che realmente vorremmo fare!
      Sfruttare talento o passione o interessi primari non sempre da dietro le quinte!
      Con le capacità reali, purtroppo, spesso non si campa! :)

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    3. Antonio P. (come Melissa P.)9 aprile 2016 alle ore 15:57

      Ciao.
      Intanto complimenti per il blog, ho letto alcuni tuoi articoli e mi sono piaciuti molto, in particolare ho trovato molto interessanti quelli sulla postmodernità e sulla figura dello scrittore come outsider.
      Le cose che scrivi in questo post sono ragionevoli ma io non sono del tutto d'accordo.
      Non credo che tutti gli scrittori debbano ambire ad essere dei professionisti. Se l'ambizione è quella di scrivere narrativa di genere o narrativa mainstream, se uno riesce a ritagliarsi una nicchia di mercato penso che sia legittimo cercare di farne un mestiere.
      Se parliamo di Letteratura con la L maiuscola è già diverso. Come dici giustamente anche tu il riconoscimento degli altri è necessario, il fatto è che questo può arrivare addirittura dopo la morte dell'autore. Ad esempio "Il Gattopardo" è stato rifiutato da vari editori quando Tomasi da Lampedusa era vivo ed è stato pubblicato postumo. Tomasi da Lampedusa non ha mai fatto della scrittura una professione dunque, eppure secondo me è molto più scrittore lui che altri professionisti.
      L'altra cosa che secondo me rende incompatibile lo scrivere un'opera di letteratura con il farne una professione sono i tempi decisamente lunghi. Gli scrittori più importanti hanno scritto poche opere e con lavorazioni lunghe. Il caso più emblematico è il Manzoni, indubbiamente il romanziere più importante della nostra letteratura, che ha cominciato con il Fermo e Lucia nel 1821 ed ha finito l'ultima edizione dei Promessi Sposi nel 1840.
      Non ho tempo di rileggere, spero solo di non aver scritto stronzate :p
      Ancora complimenti per il blog

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    4. Per prima cosa benvenuto. Sono molto contenta che il blog ti sia piaciuto. :-)

      In secondo luogo, ciò che scrivi è ragionevole, e conferma ciò che io ho detto nell'articolo: a renderci scrittori è la pratica che dà forma al talento. Anche la definizione della Treccani si appoggia a tale definizione. Il riconoscimento da parte della società arriva in un secondo momento e fa sì che identità e attività coincidano. Questo non è possibile per tutti, e l'assenza di etichetta rischia di tagliare fuori tanti "Tomasi di Lampedusa" che sono "molto più scrittori" di tanti Volo o Moccia. :-)

      P.S. @Marina, spero che la mia risposta ad Antonio abbia chiarito meglio il mio pensiero anche a te.

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  10. Chiarissimo! :) Lo era anche prima.

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  11. Concordo con il pensiero di Salvatore, forse prima di tutto si è lettori, poi si può diventare anche scrittori, se la insopprimibile passione per la scrittura lo consente e si arriva a un miglioramento continuo sotto l'aspetto sintattico, grammaticale e stilistico. Poi c'è il talento innato, ma anche questo va coltivato, altrimenti non arriva da nessuna parte. Sul riconoscimento sociale dello scrittore credo sia l'aspirazione di tutti coloro che scrivono, ma non tutti ovviamente potranno arrivarci. A proposito non sarei così negativa nei confronti degli ingegneri, conosco un professore universitario di Bologna ingegnere meccanico che insegnava anche ingegneria gestionale, è stato anche preside di facoltà, ora in pensione, che ha scritto qualche anno fa due romanzi d'amore pubblicati da una grande editrice. Io personalmente non ho letto i romanzi, ma chi lo ha fatto mi ha detto che sono molto belli. Un articolo su repubblica tempo fa lo definiva l'ingegner e scrittore.

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    1. Anche Roberto Costantini, uno degli autori che ho maggiormente apprezzato, è ingegnere, così come il "nostro" Fabio Marchesi. La mia frase voleva solo esemplificare una situazione in cui un individuo con talento scrittorio decide di fare tutt'altro, senza voler generalizzare. Avrei potuto usare l'esempio di un medico o di un astronauta, e sarebbe stato lo stesso. Mi spiace che il mio intento non sia stato colto. :)

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    2. Sì avevo intuito, credo che molti prima di approdare alla scrittura facciano altri mestieri, visto che troppo spesso con la scrittura non si vive. Per continuare gli esempi abbiamo Hosseini che fa il medico, oppure Gianrico Carofiglio che faceva il magistrato. :)
      Io vorrei tanto vivere di scrittura ma credo resterà una chimera :(

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    3. Prima, certo, ma anche "invece di". Ed era su questo aspetto che volevo concentrarmi. :-)
      Carofiglio faceva il magistrato? Ero convinta fosse un avvocato. Dovrò correggere il post sui segni d'aria in cui l'ho menzionato.

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  12. Oddio, certe domande andrebbero fatte a periodi alterni per saggiare le diverse reazioni. Qualche tempo fa avrei risposto con una maggiore autostima del me scrittore, in questo momento mi sento di appartenere (modificando in parte una delle tue definizioni) a quelli che hanno lo stesso talento di un pesce che vuole arrampicarsi su un albero ma fanno finta di non accorgersene e spammano racconti sui social. Diciamo che sono in fase di dismissione come scribacchino.

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    1. È vero: la risposta a questa domanda cambia a seconda delle situazioni. Spero che tu torni presto a considerarti scrittore, perché credo che tu lo sia. :-)

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  13. Pubblicare a un certo punto diventa un obbligo morale!
    Sottoscrivo in pieno. La strada è lunga, faticosa e a volte snervante, ma se vogliamo in qualche modo avvicinarci a questa parola che tanto ci piace dobbiamo pur dare qualcosa da leggere agli altri!

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    1. Esattamente! :-)
      Sono contenta che tu abbia colto e gradito l'importanza di definire lo scrittore su tre livelli distinti. In fondo il diventare scrittore è un processo che trae origine da un modo di essere.

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  14. Sono d'accordo sul fatto che essere scrittori alla fine sia l'unione del talento con l'esercizio, uniti dalla perseveranza di voler migliorare e creare qualcosa di buono e valido.
    Sul fronte del riconoscimento sociale, sono meno d'accordo. Sto cercando di mettere a punto le mie opinioni, ora posso dirti che, dal mio punto di vista, non si tratta di avere successo per mantenersi con la narrativa, o essere riconosciuti come scrittore e avere a tutti i costi un posto nel mondo dal quale sprizzare per i 5 minuti di notorietà. Queste sono gratificazioni, certo, e avere successo ti permetterebbe di continuare a scrivere liberamente se non ti monti la testa. Dal mio punto di vista, essere riconosciuti come scrittori vuol dire che stai facendo ciò che esprime te stesso così bene che chi ti guarda dall'esterno si accorge che sei tu, autentico, libero da quei vincoli e convenzioni che altrimenti offuscherebbero te e il tuo talento.
    Anche se devi fare un altro lavoro per mantenerti, l'importante è riuscire ad esprimere se stessi, come dici tu: un obbligo morale.

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    1. Hai centrato il punto: il problema non è fare un altro lavoro per mantenerti, ma quanto quel lavoro ti rispecchi. Se le etichette a cui nessuno può sottrarsi stanno strette, è necessario trovare altri modi per ribadire al mondo la propria identità. :)

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  15. Scrittori si nasce, si diventa e si muore.
    Naturalmente scrivere presuppone conoscere regole grammaticali e sintattiche di una lingua e quindi dirai tu, ecco eliminato un problema. Eh no. Perché se tu sei nata scrittrice fin da piccolissima proverai a raccontare le tue storie infantili a tua madre, a tua nonna, alla tua sorellina, insomma inventerai senza saper né leggere né scrivere. Vuol dire che hai quel talento che occorre e il desiderio di dire agli altri quello che immagini, che è il fondamento per ogni scrittore vero.
    Si diventa e non perché finalmente si è andati a scuola e si sono imparate le regole della scrittura articolata, ma perché si intuiscono le proprie ambizioni e le proprie vocazioni e si cerca trovandolo ad ogni costo il coraggio di iniziare a scrivere la prima poesia, il primo racconto ed infine il primo romanzo.
    Si muore perché è una malattia inguaribile che esaurisce le tue energie e ti fa dimenticare di mangiare e di dormire. Chi, nel punto culminante di una situazione del suo romanzo pianta tutto lì e va a tavola?Chi sente la stanchezza e il bisogno di andare a letto? Ecco chi lo fa, chi mangia a quell'ora e va a dormire a quell'altra tutto è meno che uno scrittore.

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    1. Sono d'accordo. Si nasce scrittori perché si ha un'inguaribile necessità di esprimersi che corrode dentro se non assecondata. Lo si diventa nel momento in cui questa necessità diventa azioni. E si muore quando qualcuno soffoca la tua voce. :)

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  16. Secondo me invece l'arte si eredita.
    La pratica se non sei portato serve a ben poco, anzi quasi a nulla. Altrimenti saremmo tutti artisti.

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    1. Io non ho ereditato da nessuno la mia arte.In famiglia sono tutti scienziati. Unica cosa: i miei genitori sono entrambi istruiti e mi hanno indirizzata fin da piccola alla lettura. Fine. :)

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  17. Io sono dell'idea che scrittori si nasca, esattamente come si nasca portati per l'arte, la musica o lo sport. E lo si potrebbe anche indicare facendo riferimenti neuroanatomici precisi, come già sottolineava la teoria di Howard Gardner. Poi l'esercizio è fondamentale per affinare. Secondo me ci sono 4 casi:
    1) chi non ha talento e non intende lavorarci su
    2) chi non ha talento, ma si applica lo stesso
    3) chi ha talento, ma non si applica
    4) chi ha talento e ci lavora su molto.

    Se i quattro si proponessero di diventare scrittori avremmo:
    1) scrittore self-publisher che pubblica un immondezzaio
    2) scrittore che cerca nei blog, forum, libri, perchè scrivere è il suo sogno, ma alla fine non produrrà mai nulla di memorabile
    3) scrittore sprecato, se solo ci lavorasse un po' di più farebbe faville
    4) il potenziale scrittore che emerge dalla massa.

    Poi ci vanno anche altre competenze (marketing, fortuna, originalità, capacità di cogliere i tempi e il momento storico-culturale...)

    Non è detto poi che tutto questo si debba necessariamente tradurre nella scrittura. L'ingegnere gestionale (che hai un po' bistrattato nel tuo esempio) magari non scriverà un libro, ma questo non vuol dire che non possa usare lo stesso il suo talento in modi altrettanto valevoli.

    Concludo dicendo che Edison affermava che "Il genio è per l'1% ispirazione e per il 99% traspirazione" e credo che la stessa cosa possa essere applicato alla scrittura. Ovvero: senza il 99% di traspirazione (in cui metto il talento intrinseco e il lavoro costante per esprimerlo) non ci sarebbe il prodotto (il libro, insomma), ma serve ancora quell'1% che fa la differenza tra un banalità e un'opera valevole.

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    1. Penso che il mio esempio sull'ingegnere gestionale sia stato frainteso, non solo da te. Infatti non era mia intenzione bistrattare la categoria. Avrei potuto utilizzare qualunque professione. Il senso del discorso era semplicemente che non tutti i talentuosi scelgono di fare gli scrittori. Molti non scoprono mai il proprio talento e/o decidono di seguire altre strade. Tutto qui. :-)

      Penso che il ruolo dell'ispirazione sia bistrattato. Il fatto di applicarsi e di studiare non esclude che ci possa essere un agire intuitivo. Forse parlo così perché io ho una visione dell'ispirazione differente da quella del senso comune. Avevo anche scritto un post al riguardo tempo fa... :)

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    2. Intendevo dire che si tratta di competenze trasversali, per cui anche se l'ingegnere non userà mai quel talento per scrivere un libro, potrebbe comunque farvi ricorso in altri modi e contesti, comunque validi.

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