Maledetta primavera. La cultura... con la "Q" maiuscola.


Bisognerebbe leggere tutto. 
Più della metà della cultura moderna 
dipende da ciò che non si dovrebbe leggere.
 (Oscar Wilde)


La riflessione di oggi scaturisce dalla lettura di un romanzo su cui ho opinioni alquanto ambigue. Non intendo scrivere una recensione perché non l’ho ancora concluso. Però, avendo ormai oltrepassato la metà, penso di avere le idee abbastanza chiare.

Ho acquistato “Maledetta primavera”, dell’esordiente Paolo Cammilli, perché incuriosita dalle recensioni discordanti trovate online. Il pubblico dei lettori è scisso in due tronconi distinti:

- quelli che lo considerano un capolavoro e lo paragonano ad Ammaniti, autore che fra l’altro adoro

- quelli che lo affossavano senza alcuna pietà accusandolo di mostrare l’ Italia peggiore.

Quando trovo pareri diametralmente opposti, voglio sempre metterci il naso. Salvo mirabolanti colpi di scena o improvvise cadute di stile nelle pagine che mi mancano, penso di poter collocare il mio giudizio a metà strada fra questi due estremi.

Innanzi tutto, io penso che questo romanzo sia penalizzato dal fatto di non essere stato sottoposto ad un editing professionale. È un dettaglio che salta immediatamente all’occhio. Alla terza pagina avevo già intuito che la revisione era stata sommaria. Ho fatto un paio di ricerche ed ho scoperto che si tratta di un self-publishing che, grazie ad un ampio successo di pubblico, ha attirato l’attenzione di una casa editrice tradizionale. L’intervento sul testo è stato quasi nullo. Ci sono alcuni refusi e parti che potrebbero essere approfondite. Ho trovato anche un errore di grammatica pesantuccio: “lo consigliò di fare”.

Forse con un lavoro di fino si sarebbe potuto creare un prodotto di maggiore qualità, rendendo possibile il paragone con Ammaniti. La struttura è la stessa di “Come dio comanda”: figure losche che si muovono nella notte oscura ed alcuni misteri da svelare. L’autore romano, tuttavia, sa creare personaggi indimenticabili. Approfondisce i moti della loro anima. Crea empatia. Cammilli, invece, galleggia sulla superficie. Non si addentra nella loro psicologia. Il risultato è la creazione di figure stereotipate prive di spessore. C’è la ragazzetta bellissima di cui tutti si innamorano. L’amica meno bella e quindi invidiosa. Il trentacinquenne in crisi esistenziale. E ci sono anche figure che inevitabilmente fanno appello al nostro immaginario collettivo richiamando eventi mondani e fatti di cronaca di cui dovremmo essere tutt’altro che orgogliosi. Abbiamo, ad esempio, uno sciatore “in pensione” che si chiama Umberto Barà (sono l’unica ad aver pensato ad Alberto Tomba?) ed uno studente assolto dall’accusa di aver ucciso la fidanzata, caso che ricorda molto quello di Chiara Poggi ed Alberto Stasi.

Che dire? Peccato. Con l’intervento di un esperto si sarebbe potuto trasformare un ammasso di luoghi comuni in un’opera significativa. Questo non è avvenuto. Il risultato è stato un romanzetto mediocre. Se dovessi dargli un voto, opterei per una sufficienza stiracchiata. Il classico 6- che tanto piaceva alla mia professoressa di matematica.

Dopo questo ampio incipit che mi è servito ad inquadrare l’opera, voglio entrare nel merito del dibattito. Alcuni critici hanno considerato “Maledetta primavera” un prodotto culturale a tutti gli effetti in quanto mette in luce – seppur senza adeguato approfondimento – il lato più mediocre e becero dell’ Italia. Rappresenta il mondo delle discoteche, elogia l’apparenza, propone personaggi che puntano verso i propri obiettivi in modo spregiudicato, pronti a distruggere senza pietà qualunque oppositore. Offre una panoramica della nostra società. Anche se questa immagine non ci piace, dobbiamo prenderne atto: è un ambiente che esiste. Noi stessi, involontariamente, contribuiamo ad alimentarlo ogni volta che accendiamo la tv.

Proprio per la sua attenzione alla mondanità, altri lettori l’hanno considerato anti-cultura: è diseducativo, hanno detto. Mostra una vita che ruota intorno alle feste vip, ai mass-media, alla cocaina. È da evitare, dunque. I difensori della patria dovrebbero combattere ed osteggiare romanzi del genere.

Per comprendere chi possa aver ragione in questa diatriba, credo sia necessario fornire una definizione di cultura. Io ho sempre condiviso l’opinione del sociologo francese Edgar Morin, che riconduce a questo termine “l’insieme dei miti, dei riti e dei simboli che danno forma e struttura ad una collettività”. Siamo nell’ambito del popolare, dunque. Dell’universalmente condiviso. Del senso comune. Della contingenza. Solo alcuni, fra questi contenuti, avranno il diritto di sopravvivere. Quali? Questo lo stabilisce la”civiltà” in quanto essa trascende la contingenza e colloca il libro/film/programma in un arco temporale più ampio.  

Se consideriamo buono questo principio, ci accorgiamo che anche “Fantozzi” e “Il grande fratello” possono essere considerati cultura, così come Drive In, i film di Boldi e De Sica, Fiorello e Checco Zalone. La Divina Commedia, i Promessi Sposi e la pietà di Michelangelo, invece, oltre ad essere simboli culturali, strutturano la nostra civiltà. In poche parole, tutto ciò che è civiltà è anche cultura, ma non il contrario.

Ovviamente, non possiamo paragonare Dante a Federico Moccia. Esiste una differenza sostanziale nella qualità dei contenuti e nella consapevolezza del lettore. Cambia l’intento di fruizione, che può essere ludico, intellettuale e così vita. Non tutto ciò che è cultura produce un valore e garantisce un salto di qualità mentale. La differenza fra elitario e popolare non è mai scomparsa. Non tutto ciò che fa parte della “cultura” può essere posto sullo stesso livello. 
Per questo motivo, alcuni studiosi hanno tirato in ballo il termine Qultura. Io personalmente non amo la connotazione spregiativa che assume questo termine ma comprendo la sua utilità nel permetterci di operare dei distinguo.
 
In che modo dovrebbe porsi lo scrittore nei confronti della Cultura e della Qultura?

Mi è capitato di riscontrare, in molti cosiddetti "intellettuali", un atteggiamento un po' snob. Credo che una persona di cultura debba sapersi muovere, con la medesima dimestichezza, in ogni ambito del sapere. Se ci si trova fra le mani un romanzetto becero, occorre saperlo leggere, analizzare, comprenderlo ma soprattutto relazionarlo con il contesto socioculturale che l’ha partorito. Solo in questo modo diventa possibile prendere le distanze.

Se un autore ha la pretesa (o l’esigenza) di rappresentare la realtà, non può esimersi dall’essere sociologo. Deve conoscere l’Italia, l’Europa e il mondo. Deve essere informato sulle tendenze musicali, culturali, editoriali. Deve saper esprimere un’opinione su qualunque argomento e farlo con cognizione di causa. Deve avere visto almeno il Gieffe almeno per cinque minuti su tredici edizioni, allo scopo di comprendere perché piace e cosa la gente cerca in dieci deficienti che girano in mutande. Deve leggere le peggiori boiate pubblicate su Facebook e, poi, saperle criticare. Deve essere nel mondo. Non può leggere solo i classici dell’ottocento, nemmeno se scrive romanzi storici.

Apprezzo molto Gianni Biondillo proprio per la sua capacità di raffigurare, nei gialli incentrati sull’ispettore Michele Ferraro, l’Italia in ogni sua piega sociale. C’ è sempre attinenza all’attualità. C’è una profonda sensazione di vicinanza. Nel penultimo volume della serie, ad esempio, si indaga su un suicidio, forse innescato dall’arrivo di una cartella esattoriale dell’Equitalia. In altri libri si parla di immigrazione, di padri separati, di mafia. In tutti, di Milano. Biondillo conosce la gente, conosce i luoghi, conosce i nonluoghi (vedi qui) e descrive in modo magistrale le dinamiche che lì si svolgono. Dopo tutto, è architetto.  

Ammaniti, di cui parlavo poco fa, è un altro autore-sociologo. Ho citato “Come dio comanda”, ma anche “Io non ho paura” e “Ti prendo e ti porto via” meritano un plauso quando a valore culturale. Non ho gradito altre opere (fra cui “Fango” e “Che la festa cominci”) perché erano troppo splatter per i miei gusti, ma rimane un autore di grande valore.  

Guardando fuori dai confini di casa nostra, cito Nick Hornby. La sua opera più famosa è sicuramente “About a boy”, da cui è stato tratto l’omonimo film con Hugh Grant, ma la mia preferita è “Come diventare buoni”. Di questo scrittore apprezzo soprattutto la capacità di puntare il dito contro il buonismo e il qualunquismo, l’ignoranza ed i pregiudizi.

È importante (soprattutto se ci occupiamo di determinati generi) essere agganciati alla società, conoscere le tendenze culturali che serpeggiano al suo interno, le correnti sotterranee e, soprattutto, la storia. La storia è civiltà. Come possiamo staccarci da essa? Siamo il frutto delle tendenze narrative passate. Siamo figli di Giulio Cesare e Garibaldi. Siamo quel paese in cui i partiti litigavano per decidere di entrare in guerra e in cui, fin dai tempi dei guelfi e dei ghibellini, sono sempre esistite fazioni. E dobbiamo conoscere il presente. Leggere i giornali. Riconoscere una fonte onesta da una faziosa. Evitare il gossip. Ecco: questo non è civiltà, né cultura, e forse nemmeno Qultura. È qualcosa di ancor peggio, che ci taglia le mani e inchioda la mente. 

Ho divagato, come al solito. Tornando a bomba, come classifichiamo “Maledetta primavera”? è cultura oppure no? Secondo me sì: sarà pur cultura popolare, o forse qultura, ma il mondo che rappresenta esiste. Esiste il gergo giovanile che impregna il linguaggio dei personaggi. Esistono le discoteche, gli sciatori in pensione che si comportano da celebrità, i bocconiani di buona famiglia assolti ai processi per omicidio. Esiste il mondo rappresentato da Cammilli e, leggerne qualche riga, ci aiuta a comprenderlo. Non è un bel romanzo, questo l’ho già detto. Anche se questa cosa non ci piace per niente, parla di noi.

Ora tocca a voi: vi invito ad esprimere la vostra opinione sull’argomento. Fatemi sapere se vi va che approfondisca, con qualche recensione, i libri di Biondillo, Hornby e Ammaniti. Li ho già recensiti altrove e lo faccio di nuovo, se volete, con molto piacere.

Commenti

  1. Che post denso e, come sempre, interessante!
    Allora, iniziamo dal punto uno. Non ho letto "Maledetta primavera" se è un'accozzagli di luoghi comuni nessun editing potrà trasformarlo in un capolavoro. Il 6- potrà diventare 7+, non 8, non me ne voglia l'autore, che predo come esempio alla cieca, ma l'editing migliora la fruibilità di un testo, non fa di un berillio un diamante.
    Ciò nonostante si tratta senza dubbio di un prodotto culturale. Solo il tempo dirà di quale spessore. Se tra 5, 10, 20 anni sarà ancora letto, vorrà dire che questa descrizione della becera attualità italiana ha un interesse che va oltre al contingente.
    Oggi, è evidente, sono un po' lapidaria nei miei giudizi.
    Non conoscevo, invece il significato di Qultura e questa parte del post è stata, per me, davvero interessante.
    Non so cosa dire, invece, sullo scrittore sociologo. Che lo scrittore debba vivere nel mondo con occhi e orecchie ben aperte e autonomia di giudizio sono perfettamente d'accordo. Che tutti gli scrittori debbano essere sociologi non lo so. Cerco di esserlo nel mio piccolo? Sì, sicuramente, anche se mi concentro su dei tipi particolari, senza voler analizzare la società nel suo insieme.
    Alla fine, secondo me, un buon romanzo deve avere una bella storia ben raccontata, tutto il resto è un valore aggiunto. Del resto non penso che, butto un nome a caso, un Tolkien si possa definire uno scrittore sociologo. Però lo leggo con piacere.

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    1. Per prima cosa, ti ringrazio sia per i complimenti sia per l'assiduità della lettura. è davvero bello avere dei "fedelissimi" che mi seguono con costanza. Siete davvero uno stimolo :)

      Tornando a "Maledetta primavera", c'è un altro aspetto che mi sono scordata di menzionare nel post: è possibile che sia stato pensato per un target che ha una decina di anni in meno di me. Non lo dico con certezza, ma è l'impressione che ho avuto leggendo di questa studentessa, Carlotta, che diventa il fulcro di un paesino di provincia, facendo perdere la testa ad un bel gruppetto di maschi, rappresentati come dei "babbi" (perdonami il gergo, ma è la parola che meglio rende l'idea) senza cervello. Forse l'autore voleva portare le ventenni ad immedesimarsi (con un pizzico d'invidia) questa Mary Sue bellissima, ricchissima, amatissima. A me, personalmente, sta un po' sulle palle...

      Forse il libro non mi sta piacendo proprio a causa della mancanza di empatia con i personaggi. Ciò nonostante, quando esprimo un'opinione, cerco di ergermi il più possibile sopra il mio giudizio, e di essere oggettiva.

      Per quanto riguarda, invece, lo scrittore sociologo, ho evidenziato fra le righe che molto dipende anche dal genere e dalla connotazione realista che l'autore vuole dare alla propria opera. Uno scrittore di fantasy o fantascienza non ha la necessità di essere "sociologo", ma ciò non è da escludersi a priori. Premettendo che non seguo molto tali due generi, molti "mondi fantastici" sono una metafora di quello reale e diventa facile, per il lettore, operare collegamenti. Anche Tolkien, in fondo, crea meccanismi di identificazione, altrimenti si rimane sospesi nel nulla :)

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    2. Sì, scusa, intendevo "sociologico" nel senso che analizza la realtà sociale del presente.

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  2. Secondo me si tratta di pornografia vestita. Tutto qui. Può piacere, per carità, holetto un libro dove un pezzo di legno parlava e correva, tutto può essere. Ma sempre sul torbido si cerca di andare, e mi sa che di "sociologico" qui ce n'è quanto il libro di Siffredi.

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    1. Perdonami, Gas, non ti seguo: a cosa ti riferisci quando parli di "pornografia vestita"? Al romanzo che ho citato? Non pensavo l'avessi letto, sinceramente. E non mi sembri certo il tipo che esprime un giudizio su qualcosa che non conosce. In tal caso, mi piacerebbe approfondire il discorso con te. Io non l'ho ancora finito... ma non voglio "mollarlo".

      Anche io ho letto un libro dove un pezzo di legno parla e corre. Certo che se adesso "sputtaniamo" anche Pinocchio, il concetto di cultura si riduce all'osso. Non possiamo proprio salvare niente. :)

      Buona serata

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    2. La pornografia è il modo di venderti nulla. Cosa ti da la pornografia? Niente. Soddisfa un desiderio del momento. Quando finirai, leggendo le ultime 15/30 pagine, capirai. Tu credi veramente che la trama avrà un senso? Che ci sia questo "denuncia"? Non c'è nulla di tutto questo!

      Qui sotto ha commentato una signora che la sa molto lunga, e ha capito tutto.

      Pinocchio è fantasia, ma è una bella fantasia. Non tutti i testi hanno bisogno di essere socialmente approfonditi per essere belli, possono essere fantastici, fiabeschi, irreali. Se vogliono essere di indagine o critica, che lo siano però. Questo libro (3 euro e 90 in offerta e era meglio mangiarseli) è una truffa. Sarà piacevole per me argomentarne se mi darai spazio, perché magari qualcuno capisce le truffe cui siamo soggetti ogni giorno.
      Quando l'ho comprato io, era di Porto Seguro Editore. Beh, di proprietà dell'autore... E' un caso di promo ben riuscita, tutto qui.

      Tutta fuffa, Chiara. Tutta fuffa.
      Vai su GoodReads, intanto, e guarda che ne dicono. Là non ci sono quelli del Circle che recensiscono ;).

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    3. L’ho terminato ieri sera, ed effettivamente il giudizio è diventato da intermedio a negativo. Ma il mio giudizio non conta: questo non è un libro di denuncia perché l’autore si è soffermato su dinamiche superficiali e frivole, senza scendere in profondità. Ha rappresentato “il tappeto” e non la polvere che ci sta sotto. Il risultato è una completa mancanza di empatia. Te lo giuro, non c’è un personaggio, uno solo, al quale mi sia sentita vicina e per il quale avrei potuto fare il tifo, anche solo per un attimo. Forse quello sfigato di Montagner, ma nemmeno poi tanto…
      In ogni caso, la definizione “sociologica” del concetto di cultura è praticamente onnicomprensiva. Spetta poi al lettore/fruitore/spettatore operare una selezione e scegliere prodotti di qualità, prodotti dal valore elevato, prendendo le distanze da certa robaccia. Sono stata io a decidere di acquistare questo romanzo perché mi aveva incuriosita. Non mi è piaciuto per niente, e mi preoccuperei del contrario, considerato di cosa parla… però non mi pento di averlo fatto né mi sento stupida, ignorante o cosa. Per quanto di basso livello, arricchisce il mio bagaglio. Già da domani, ricomincerò a leggere altre cose. Il problema si porrebbe nel momento in cui io leggessi SOLO opere del genere. Molti lo fanno. E questo spiega molte cose sul livello generale dell’italiano medio.

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    4. P.S. Sono andata su goodreads ed ho trovato i lettori fin più buoni rispetto a quelli di IBS, sito che mi aveva incuriosita.
      Questa è, fra tutte, quella che maggiormente si avvicina al mio pensiero sul libro. L'autrice è una certa eccentrika.

      "Lo stile di scrittura di questo libro è colloquiale, talmente colloquiale, che sembra quando un amico al bar ti racconta una storia, parte magari da un certo punto, poi non si ricorda più bene e dice: "no, aspetta un attimo, torniamo indietro di un anno perché prima era accaduto che...". Questo è quello che accade di continuo durante tutto il libro, continui rimandi al passato, ritorni al presente, cambi di personaggi, "...e poi no, torniamo ancora indietro per farvi capire cosa era successo prima..."
      Oltre a questo la scrittura non è affatto scorrevole, pur essendo moderna e colloquiale, perché è frammentata, ci sono capitoli brevi di appena una facciata, o anche meno, che si rincorrono l'un l'altro e in ognuno il punto di vista in terza persona cambia, poi l'assiduo intercedere dal presente al passato non aiuta ad avere un quadro preciso della situazione e, soprattutto all'inizio in cui non si è ancora imparato a conoscere i personaggi, risulta tutto piuttosto ingarbugliato. (segue)"

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    5. (segue da precedente) Questo è solo per dire che il libro è opera di un principiante e si vede, dalla scrittura si capisce subito, non che io abbia nulla in contrario riguardo a stili alternativi, anzi, ci sono autori capaci di farlo e li adoro, nulla in contrario neanche ai flashback al passato... perché se sono riusciti e se sono congegnati bene possono fare di un romanzo un capolavoro, ma purtroppo non è questo il caso.
      La storia in realtà non sarebbe male, nel senso... ci sono sicuramente delle buone idee, anche se messe insieme in modo alquanto maldestro, ma non posso negare che se si ha la tenacia di superare le prime 30-40 pagine (che sono le più pesanti proprio perché non si capisce ancora quali sono i personaggi e c'è un continuo passare convulsamente da un nome ad un altro) la trama sembra interessante, si ha la curiosità di proseguire, anche se i bramati colpi di scena che fa intravvedere l'autore fin da subito tardano ad arrivare, e quando arrivano, non sono mai quelli che ci si aspettava ma sono di minore portata.
      Ma passiamo ad un altro punto dolente: i personaggi! Mi stupisco che vengano definiti come un ritratto generazionale, perché in realtà sono solo il ritratto del mondo televisivo, sembrano usciti da una puntata di "Uomini e donne", un mix tra tronisti, calciatori, veline, subrettine e presentatrici tv, non vedo proprio come personaggi del genere possano ricalcare un modello in cui riconoscersi. Sono senza spessore alcuno, ritagliati nella carta velina. Io non mi lamento della mancanza di ideali, o della loro superficialità, questo ci può stare, non speravo di trovare modelli di virtù o dai nobili obiettivi di vita (sai che noia...) ma per rendere interessanti dei personaggi odiosi e pieni di sé come quelli che campeggiano nel libro ci vuole una certa maestria di linguaggio, cosa che qui manca. Quello che rimane sono solo personaggi senza personalità, senza spontaneità, sembrano studiare a tavolino ogni piccolo gesto, ogni frase, non si riesce ad affezionarsi a loro. Sono tutti, nessuno escluso, degli "scemarelli", parola che piace all'autore al punto da ritrovarsi più e più volte nel testo.
      "Maledetta primavera" vuole essere un romanzo di vendette del passato, vuole mischiare al suo interno il mistero, il thriller e l'immancabile rosa, ed è sicuramente un progetto ambizioso, ma ancora troppo acerbo per considerarsi un romanzo vero e proprio. Avrebbe potuto essere un'ottima bozza per la formulazione di un romanzo in futuro se l'autore ci avesse dedicato sopra ancora un po' di tempo, dato che comunque le basi di una buona trama c'erano tutte, ma per quel che mi riguarda anche il tanto chiacchierato finale non mi è piaciuto, il colpo di scena che svela finalmente il mistero l'ho trovato debole, l'epilogo della "love story" davvero insoddisfacente.

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  3. La tua valutazione mi sembra negativa più che intermedia, no? Non conosco l'autore, ma le tue parole sul ritratto di quella specifica Italia mi hanno fatto pensare che faccio bene a tenermene alla larga. Come lettrice, non c'è niente che io detesti di più dei ti-faccio-il-quadro-della-becera-realtà. Francamente mi basta leggere il giornale o accendere la tivù per farmi un bel bagno di beceraggine. Da un libro mi aspetto decisamente qualcosa di diverso. (Persino gli horror mi piacciono di più, ed è tutto dire!)

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    1. Come accennavo prima a Gaspare, ho terminato ieri di leggere il libro ed il tuo commento mi fa riflettere sul concetto di realismo.
      Da cosa è dato il realismo in un’opera letteraria? Dalla possibilità di generare empatia a più livelli: con i personaggi, con il mondo rappresentato, con determinate emozioni.
      Questo, quindi, non è un romanzo realista.
      Non è empatico, non mostra nulla di familiare. E, soprattutto, non scende in profondità. Non esistono mondi in cui le donne sono tutte maliarde e (scusa il francesismo) puttane, mentre gli uomini tutti dei timidoni sottomessi. Non esiste un mondo in cui non si va oltre il luccichio fasullo delle discoteche.
      Quindi, alla fine, non mi è piaciuta. Mi ero tenuta dei margini definendo il mio giudizio intermedio solo perché non lo avevo concluso. Ora ho le idee ancor più chiare e, nulla, non ci siamo.
      Non è cultura. Probabilmente è Qultura. Forse, nemmeno quella.
      Maledetta primavera ha la pretesa di rappresentare la “becera realtà”, ma non lo fa nel modo giusto. Il risultato è solo quello di accentuare le distanze.
      Ammaniti, Biondillo e Hornby, invece, fanno un lavoro completamente diverso.

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  4. Avrei la tentazione di parlare male di questo libro, perché "io leggo libri seri, non ho mai guardato il grande fratello e anzi guardo pochissimo la televisione" ma tratterrò la snob che è in me.
    La verità è che ho letto i primi capitoli di questo libro in omaggio con una rivista e non mi è sembrato che valesse la pena comprarlo. Sull'editing sommario sono completamente d'accordo e i tre personaggi che si incontrano nelle prime pagine mi sembrano delle Mary Sue.

    Mi è piaciuto molto il tuo discorso su cultura e Qultura (non avevo mai sentito questo secondo termine, ma mi sembra molto adatto).
    Mi piacerebbe dire la mia, invece, sul modo di rappresentare le ventenni che ha una certa parte della letteratura. Io sono un caso particolare, ok, ma conosco molte ragazze della mia età che vanno in discoteca ed escono parecchio... E poche sono state con uomini decisamente più vecchi o hanno questo desiderio. Stare al centro dell'attenzione può essere un sogno condivisibile, ma perché c'è quasi sempre l'uomo più maturo?
    Lancio una provocazione: non è che questa è l'immagine della ragazza che piacerebbe ai trenta-quarantenni, più che quella che piace alle ventenni?

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    1. Ciao Elisa, innanzi tutto vorrei chiarire una cosa: io non ho mai detto che uno debba SEGUIRE il grande fratello. Anzi: credo che guardarlo costantemente uccida i neuroni… semplicemente ritengo che un “intellettuale” debba conoscerlo, averne visto almeno 10 minuti nella vita e sapere di cosa si tratta. Io ad esempio avevo una coinquilina che lo guardava. Magari ero a scrivere, ma lo sentivo quel tanto che bastava per consentirmi di prendere le distanze e dire “’sta roba fa schifo”. La tua frase mi fa sorgere un’altra riflessione, ma preferisco parlarne in privato, non qui. Se ti va ci sentiamo via email. :)

      Per quanto riguarda, invece, la tua domanda sulle fantasie dei quarantenni non saprei proprio risponderti. Io non o dove abiti, se in una grande città o in un paesino, al nord o al sud. Io però noto molta malizia e volgarità nelle tue coetanee, soprattutto in determinati contesti. Non è sempre così, certo. Un mio amico della mia età ha la fidanzata del 1994 e la porta spesso con noi. È una ragazza matura, intelligente e seria. In altri ambienti, invece (e lo noto con parenti e amici più giovani) ci sono comportamenti più disinibiti, almeno a livello generale. Potrebbe essere che ai trenta/quarantenni piaccia immaginarsi un certo tipo di ventenni, ma credo che questa figura non possa essere creata dal nulla. Un minimo aggancio alla realtà ci deve essere, altrimenti la figura delle ventenne disinibita sarebbe paragonabile a quella di un mostro con tre teste.

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    2. Faccio due precisazioni: uno, sono d'accordo che il Grande Fratello uccida i neuroni, ma che si debba conoscerlo per capire il nostro contesto culturale. Il mio commento voleva semplicemente dire che io non sono mai riuscita a guardarne più di un minuto...

      Due: la ventenne disinibita esiste, anche troppo, ma quello che volevo dire io è che non ha come obiettivo primario l'uomo quarantenne. Se le capita l'occasione, molto probabilmente starà con il quarantenne, ma non lo va a cercare apposta. O almeno, non mi sembra dal tipo di ragazze che ho visto io.
      Per questo, sentendo nominare più di qualche libro che tratta storie simili, mi è venuto il dubbio che possa essere più l'uomo ad immaginare tale situazione. Tanto più che, in questo caso, l'autore è un uomo, no?
      È solo un mio sospetto, comunque, non ci ho svolto nessuna ricerca sociologica :)

      Se vuoi contattarmi in privato, in ogni caso, ti lascio la mia mail: elisa.elena.c@gmail.com

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    3. Meglio specificare: l'immaginazione di una certa categoria di uomini. Non voglio generalizzare, sia chiaro :)

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    4. Può darsi che quanto tu scriva abbia un fondo di verità anche se, sinceramente, a me non sono capitati molti libri in cui la ventenne si mette con il quarantenne… o, più che altro, non più di quanti ne abbia trovati in cui la ragazza trova un coetaneo modello Gary Stu. Quindi non ti saprei dire se la tua teoria è giusta. Ma un fondo di verità potrebbe averlo..
      Quando ho tempo magari ti scrivo in mail! :)

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    5. Da quarantenne single.
      Sarebbe ipocrita dire che se vedo una bella ragazza non mi fa effetto. Che abbia venti anni o trenta o quasi quaranta.
      C'è comunque differenza tra notare la bellezza e rimediare alle mancanze sessuali di una vita da sfigato eh...
      Pur essendo io parte della categoria dei perdenti, non riesco a vedere le altre persone come mezzi per ottenere soddisfazione e nel mio cervello di gallina immagino me completo attraverso la condivisione.
      Quindi esiste si (basta fare un giro online) un mondo di quarantenni sessualmente frustrati che vogliono uscire con la cheerleader così si sentiranno meno sfigati. (Osservare prego il fenomeno dei PUA).
      Ma non si tratta di una fantasia largamente condivisa. Diciamo che è una minoranza molto stretta.

      Cmq il libro citato da Chiara non fa testo (ops...). Non arriva a spiegare cosa accade ai personaggi, figuati a spiegare le motivazioni che hanno.

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    6. Quarantenne?
      Pensavo avessi la mia età, o poco più.
      Comunque Gas tu (e fortunatamente molti altri uomini) siete un livello superiori. Credimi che di personaggi come quelli da te descritti siano una specie diffusa in tutte le generazioni. Ne ho conosciuti di venti, di trenta, di quaranta. E mi fermo qui, perchè oltre è anche peggio.
      La realtà, però, non è letteratura. Io non ho trovato nei libri molte situazioni affini. Quando tali love-story venivano affrontare era sempre in modo pruriginoso. Oltre a questo romanzo (a proposito, perchè "ops"?) mi viene da pensare a Moccia. Non ho letto "Scusa se ti chiamo amore" ma so che ne hanno tratto un film con Raul Bova, conosco a grandi linee la trama e posso ben intuire lo stile generale dell'opera. Sarebbe bello leggere un romanzo in cui tale tema è affrontato in modo differente... più profondo. Ma è chiedere troppo. Dipenderà forse dal target?

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    7. LIBRO che non fa TESTO... ops. Mi era cascato un gioco di parole involontario.

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  5. Post molto interessante cui do il mio modesto contributo. :-) Non avendo letto il libro in esame, non posso esprimere un giudizio, ma naturalmente me ne terrò bene alla larga visto quello che mi dici. :-(

    Ho letto di recente alcuni romanzi bestseller che sono stati un’emerita “sola”. Due per tutti: “Il profumo delle foglie di limone” di Clara Sanchez (già recensito sul mio blog) e “Il gioco dell’angelo” di Zafon (la cui recensione apparirà a breve sul blog). Per entrambi, le opinioni dei lettori che ho trovato in rete erano discordanti, alcuni gridavano al capolavoro alcuni li ritenevano pessimi o, tutt’al più, mediocri. La cosa che più m’indispone quando m’imbatto in questi romanzi è la sensazione che mi abbiano fatto perdere del tempo prezioso.

    Due spunti di riflessione al volo:
    . la diatriba tra scrittura virata al sociale (e quindi valida nonostante tutto) e scrittura d’intrattenimento (secondo alcuni benpensanti, meno valida) è vecchia come il mondo. A mio parere un romanzo è scritto bene oppure no, qualsiasi sia il tema trattato. Non ci sono temi non affrontabili, io ho trattato il tema della pedofilia – con grande sofferenza – nei dovuti termini.
    . il concetto della cultura continua a sfuggirmi… non sono riuscita a dare una definizione azzeccata, te lo posso assicurare. Che cosa è cultura e che cosa non è?

    A presto!

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    1. Riflessioni giustissime, secondo me!

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    2. Aggiungo la definizione di cultura nel dizionario Treccani: "L’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito, a sviluppare o migliorare le facoltà individuali, specialmente la capacità di giudizio."

      Ritornando al post di Chiara, quindi, è tutto molto soggettivo: magari la visione del Grande Fratello può migliorare le facoltà individuali di una persona, o la sua facoltà di giudizio in quanto sviluppa il suo spirito critico, e non di un'altra (ad esempio, non le mie...). Chi può dirlo?

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    3. La definizione che tu offri della parola "cultura" assume un valore prettamente individuale. I sociologi la pensano diversamente ed inquadrano la questione sul piano della collettività. A mio avviso, possono essere entrambe valide. :)

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  6. Eccomi. Caspita è davvero un bell'articolo il tuo, una riflessione densa e corposa che chiaramente, almeno per quello che ho interpretato io, lascia poco spazio al libro in sè e spazia, come hai detto tu stessa, nei territori della cultura. Come ti dicevo non l'ho letto e non ti nascondo che ne ero incuriosita, esattamente come te. Però poi c'è stato qualcosa che mi ha bloccato, non lo so, forse istinto. Insomma non sono voluta andare fino in fondo. Di solito non leggo mai le recensioni o i giudizi che riguardano i libri che voglio leggere. Faccio così perchè voglio avere la testa libera e partire completamente da zero quando faccio una recensione. Tratto il libro come l'oggetto più sacro che possa avere tra le mani, puro e pulito, nella speranza che non mi deluda. In qual caso non mi esimo dal dire la verità. Ma è il mio modo di dare a tutti i libri la stessa possibilità, almeno all'inizio. La tua riflessione è ben articolata e fa riflettere davvero. Conferma il mio pensiero irrisorio sul libro e non incita la mia curiosità nel leggerlo. Trovo il tuo modo di articolare la riflessione intelligente, perchè partendo da una base che è quella che ti ha dato il romanzo, hai portato avanti un discorso che riguarda la nostra società e ciascuno di noi, con il quale è impossibile non essere d'accordo. Neanche io guardo il Grande fratello e non guardo neanche la televisione, tranne qualche telefilm in streaming in lingua originale. Sono decisamente fuori da quella società che tanto superficialmente Cammilli vuole raccontare. Ma purtroppo debbo ammettere che è vera, come dici anche tu.
    Insomma chiara e diretta come sempre!
    I tuoi post aiutano a pensare :)

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    Risposte
    1. Grazie per i complimenti!
      Io leggo spesso le recensioni ai libri, ma l’intento è diverso: tu hai un blog che parla di recensioni quindi è giusto essere completamente privi di preconcetti. Nel mio caso, essendo una semplice lettrice, voglio puntare verso ciò che mi incuriosisce e mi interessa. Oppure che mi possa aiutare a potenziare la mia scrittura. È anche per questo motivo che non amo scrivere recensioni “a richiesta”: se un romanzo è meritevole di essere trattato in un post, nel bene o nel male, lo faccio per mia scelta.
      In fondo lo scopo di questo spazio è parlare di scrittura. Tutto il resto è un “di più”. :)

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