All'apericena con i leggings: le nuove parole della lingua italiana.




Badate al senso, e le parole andranno a posto per conto proprio.
(Lewis Carrol)

Secondo il vocabolario di google, per neologismo si intende un “termine o costrutto di recente introduzione nella lingua, motivato da nuove esigenze tecniche o di costume.”

Oggi mi sono divertita molto a sfogliare il database sul sito dell’ Accademia della Crusca, aggiornato costantemente anche grazie alle segnalazioni dei lettori. Sono molte le parole entrate a far parte a tutti gli effetti del nostro modo di esprimerci verbalmente e, a volte, anche per iscritto. Le buttiamo sulla pagina quasi inconsciamente e poi, in sede di revisione, ci troviamo a domandarci se sia opportuno mantenerle oppure modificarle con espressioni più politically correct. Sono sincera, a volte mi arrovello parecchio.

In generale, se ripudio l’utilizzo di espressioni gergali perché strettamente connesse a determinati contesti socio-culturali o generazionali e quindi sottoposte ad un rapido processo di invecchiamento, non sono contraria ad inserire neologismi all’interno del mio romanzo. Dopo tutto si tratta di termini che, seppur di recente introduzione, sono entrati a far parte della nostra lingua a tutti gli effetti. In ogni caso, cerco di non abusarne. La scelta  deve essere sensata, motivata, finalizzata ad esprimere un’esigenza o un concetto là dove non esistono altre strade, oppure esistono ma sono più impervie.
Ciò che mi preme è trovare il termine più adatto alle mie esigenze narrative senza scivolare in un linguaggio troppo simile al parlato e senza creare anacronismi o incoerenze.
Dal momento che la mia trama copre un arco temporale di circa quindici anni e che il punto di vista è interno, devo fare molta attenzione per evitare parole non ancora in uso al tempo in cui sono ambientati i fatti. Mi è successo ad esempio con i leggings: nel 2002, si chiamavano in un altro modo. Quale? Boh. Li ho sostituiti con una semplice calzamaglia.

Per comodità, ho suddiviso in gruppi i termini trovati sul sito dell’Accademia della Crusca integrandoli con alcuni reperiti sul sito della Treccani.

Tecnologia. Sono citati il selfie, lo smartphone ed i tag. Nella sezione del romanzo ambientata nel 2013-2014, mi è capitato di utilizzare le prime due. Ormai determinate dinamiche comunicative sono entrate a pieno titolo nel nostro modo di interagire. Considerando che i protagonisti appartengono alla mia generazione, si trovano a smanettare (altro neologismo!) con situazioni di questo tipo, proprio come faccio io.
Non credo che traducendo questi termini in italiano si otterrebbe lo stesso risultato. L’unico che si salva, forse, è il secondo: telefono cellulare. Il concetto è diverso ma ci può stare. Ad “Autoscatto” ed “etichetta”, a mio avviso, manca la connotazione sociologica presente nella versione inglese il cui scopo è anche quello di veicolare un’ideologia, uno status ed un modo d’essere. Webocrazia, invece, mi sembra troppo tecnico, fuori luogo rispetto alla natura della mia vicenda.
In questa categoria rientrano anche i verbi derivanti dal mondo di internet: chattare, linkare, photoshoppare, googlare, chrashare. Eccetto il primo, di cui mi sono servita più volte, mi sembrano rudimentali, colloquiali, poco adatti alla lingua scritta. Se dovessi esprimere il medesimo concetto, userei una perifrasi (ad esempio “cercare su internet”) ma non ne ho ancora avuto bisogno.
Skillato mi fa ridere: credo che il 90% dei miei lettori non sappia nemmeno cosa significhi.

Cronaca e politica. Ho utilizzato stalker perché il classico maniaco era poco adatto per quello che volevo fargli combinare, ma non tirerò mai in ballo femminicidio. Innanzi tutto,  le mie fanciulle sono ancora tutte vive. In secondo luogo, è un termine a mio avviso discriminatorio e sessista.
Non ho mai citato né i pentastellati né i girotondini, ma ho utilizzato il termine no-global e anche globalizzazione. Non avrei problemi a parlare di leghisti o  grillini, ma cerco di tenere a bada sia le mie opinioni politiche sia il personaggio che ne è parzialmente portavoce. Bioterrorismo, eurozona e affini non sono mai comparse e spero non compariranno mai.

Moda e tendenze. Apericena, aperisushi, aperidog: lasciamo stare, per favore. Su facebook sono iscritta ad un gruppo finalizzato a smontare tutte queste espressioni. Happy hour è al massimo accettabile. Un semplice aperitivo è ancora meglio.
Oltre ai leggings già citati prima, si parla di plateau e di shatush, entrambi concetti completamente sconosciuti a buona parte dei lettori maschi. Ho usato il primo ma sto riflettendo se cambiarlo con un semplice tacco alto o una zeppa. Per il secondo, invece, mi sono limitata a descrivere un colore di capelli più chiaro sulle punte.
Il sito cita poi scialla e fattanza, ma non mi piacciono perché li ritengo troppo gergali. Uno di essi una volta mi ha tentata, ma poi ho preferito utilizzare altre parole per descrivere un tizio che si era appena fumato una canna. In compenso, ho un palestrato e un tamarro. Anzi: è un palestrato tamarro. Ed è anche sfigato. Con queste tre parole non mi sono fatta particolari problemi perché sono in voga ormai da molti anni.

Vengono infine citati due avverbi: omnicomprensivamente (che in questo momento word mi sta segnando come errore) e lavorativamente, entrambi abominevoli.

A proposito di lavoro: sapevate che badante ed enogastronomo fino a qualche anno fa non esistevano? Sono diventati termini di uso comune da pochissimo tempo!



Vi è mai capitato di utilizzare qualcuno di questi neologismi?
E ve ne vengono in mente altri?

Dai: facciamo una gara a chi ne trova di più! E a chi trova le parole più interessanti.

Commenti

  1. Ehi! Anch'io sto scrivendo un post sui neologismi! BZZZ.. siamo telepatiche! Per fortuna il contenuto è diverso, ti citerò comunque, non vorrei passare per quella che frega le idee ;)
    I neologismi che nomini li conosco quasi tutti, tranne l'aperidog... vai a prendere l'aperitivo col cane? o come aperitivo ti mangi l'hot dog?
    Io adoro i neologismi e i nomignoli, li uso spesso e ne creo di nuovi, e molti di questi termini su cui tu ti arrovelli sono per me parole quotidiane (stalker, happy hour, selfie, smartphone, tag) che non saprei nemmeno tradurre. Per me è buffo il contrario, quando mi si dice "ho scritto sul tuo muro" anziché sul wall di facebook o "ti ho messo l'etichetta" invece di "tag", mi fa pensare al cartellino col prezzo di vendita.
    Quindi io sono pro-neologismi, perché sono troppo cool... sono il new trip, baby ;)

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  2. Pensa che quando tu hai scritto il post sui consigli di auto aiuto anche io ne avevo in mente uno... poi siccome non avevo ancora scritto nulla ho deciso di rimandarlo. Lo farò forse la prossima settimana e anche io ti cito volentieri :)
    Non mi arrovello su tutte le parole ma su quelle meno comprensibili a tutti... non voglio risultare troppo giovanile. Però devo ammettere che i neologismi in generale mi piacciono perché rendono il linguaggio più vero.
    L'aperidog è l'aperitivo con il cane ma qui chiamano così anche un 'iniziativa in piazza per raccogliere fondi a favore del canile. È una manifestazione con buffet :)

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  3. Io non sono più tanto sicura di essere italiana, perché non ho mai sentito tre quarti di questi termini.
    Non mi piace usare parole mutuate dall'inglese solo perché "fa figo" quando c'è un termine perfettamente equivalente in italiano. E la cosa che mi infastidisce di più e che molte delle persone che lo fanno non sanno parlare inglese. A me capita usare parole inglesi, ma solo quando non trovo una traduzione efficace (soprattutto con termini scientifici che per cui a volte non esiste nemmeno la traduzione).

    Detto questo, i leggins nel 2002 si chiamavano fuseaux... me lo ricordo perché mia mamma me li metteva :)

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    1. Beata te... a noi negli anni '80 mettevano i ciclisti... neri lucidi con le bande colorate fosforescenti sui fianchi.
      I fuseaux, a quei tempi, erano un neologismo.

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    2. I leggings si chiamavano fuseaux negli anni 80 perché anche io ricordo di averli avuti. I ciclisti, invece, erano quelli al ginocchio, sintetici, simili a quelli utilizzati per andare in bicicletta.
      Nel 2002 i fuseaux in realtà non esistevano. O meglio: per bambini erano ancora utilizzati con la denominazione vecchia, ma non erano di moda fra gli adulti, si usavano prevalentemente calze molto spesse che coprivano anche il piede e non erano tagliate alla caviglia. Lo so perché mi sono documentata.
      Io penso che conoscere i neologismi sia importante non perché “fa figo” ma perché uno scrittore ha il dovere di ampliare il più possibile il proprio vocabolario per concedersi eventualmente la libertà di scegliere. Se si vuol fare buona letteratura lo snobismo non serve a nulla. :)

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    3. Sono d'accordo, ma il mio non è snobismo, anche se poteva sembrare da come l'ho detto. Si tratta solo di amore per entrambe le lingue (inglese e italiana), perciò mi dispiace vederle mescolate così, senza troppa cognizione di causa. Mi piacerebbe di più se ognuna mantenesse la propria identità... ma è anche vero che le lingue si evolvono e che non si può arrestare il corso degli eventi.

      Grazie di avermi illuminata... nel 2002 avevo dieci anni e il mio interesse per i vestiti era molto scarso... preferivo sporcarli giocando! ;)

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    4. E facevi bene! :D Io ne avevo 21 quindi è abbastanza facile ricostruire il modo di vestire dei ragazzi di allora: mi è utile anche guardare vecchie foto o cercare un po' su internet. In quel periodo andavano molto le calze spesse, erano quasi dei leggings, però avevano il piede chiuso. Si usavano con degli stivaletti bassi che sembravano "stropicciati" ... molto carini!
      Tranquilla,non ti ho dato della snob e mi scuso se poteva sembrare così. Il fatto è che in molti scrittori trovo un atteggiamento di questo tipo, forse dipendente da una sorta di insicurezza intellettuale. Storcono il naso davanti a certe parole e ne preferiscono altre sicuramente più sofisticate ma meno esplicative. A mio avviso esistono parole che è quasi impossibile tradurre. Computer, ad esempio: vogliamo fare come i francesi che lo chiamano "ordinateur"? Un'altra parola che ho trovato facendo delle traduzioni di lavoro è leadership: ho provato a scrivere "direzione" (intesa come gruppo di persone che hanno un ruolo dirigenziale) ma poi l'ho lasciata com'era. Se ci penso, me ne possono venire in mente altre. :)

      Un abbraccio, buon weekend!

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  4. Una bella ricostruzione di recenti modifiche avvenute alla lingua italiana. Brava!

    Ci sarebbe poi da distinguere tra neologismi e prestiti da altre lingue (cosa a cui l'italiano è diventato fin troppo aperto).

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    1. Mi sono documentata anche su questo: nel momento in cui un prestito entra sul vocabolario italiano diventa neologismo. è successo anche in passato con parole come "leadership" e affini. Grazie mille per i complimenti :)

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    2. Per quello che sapevo io, un prestito può entrare nel vocabolario anche senza essere un neologismo. "Leadership" per me è un prestito non un neologismo (anche se nel dizionario c'è). Po c'è tutto il discorso sui "calchi" che secondo me si prestano meglio a essere poi definiti neologismi rispetto ai prestiti...
      Ma la linguistica è un settore complesso. Quindi se dici che i prestiti si definiscono neologismi appena entrati nel dizionario, mi fido!

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    3. Oddio! Sai che adesso mi sta venendo il dubbio? Appena ho tempo faccio una ricerca e ti so dire!

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  5. Secondo me ci sono delle parole che, per senso comune, "sentiamo" più utilizzabili di altre.
    Io non userei mai aperisushi (che madonna è?) ma apericena sì, perché è diffuso su ogni strato sociale e regionale.
    Pompato, palestrato, sfigato, tamarro: idem.
    Stalker, femminicidio pure.

    In fondo forse basta leggere molto tra commenti, articoli e dossier su internet, per capire quali sono i neologismi alla portata di tutti e quali ancora troppo ancorati a fattori tecnici, regionali o gergali.

    Moz-

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    1. Qui da noi fanno l'aperisushi, ma io non ci andrò mai perché è una cosa che proprio non riesco a mangiare.
      Per il resto concordo: ci sono parole ormai diventate universali ed altre ancora di nicchia. Sta a noi decidere quali utilizzare :)

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    2. A proposito dell’apericena, è un termine che non si usa a Milano, dove ho ambientato la storia, perché è definito aperitivo o al massimo happy hour da sempre. L’aperitivo classico praticamente non esiste: sono tutti apericena, ma questo non è specificato.
      In ogni caso è un termine che sento utilizzare da quattro cinque anni, non di più.

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    3. Io molto meno. Ma comunque ora si usa... penso intenda un aperitivo abbondante che sostituisca anche la cena... se poi aperitivi normali vengono chiamati così... allora è un male! :D

      Moz-

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  6. Apri un vaso di pandora con questo post! Mio marito mi sgrida sempre quando uso termini che secondo lui non andrebbero usati nei romanzi, mi ha fatto un sacco di storie per "zoomate" a proposito di foto! Io invece penso che certi termini siano ormai di uso comune e pazienza se non ci sono uomini che sanno che vuol dire leggings o fuseax!
    Invece a volte ho il dubbio se mettere certe parole in corsivo, visto che in teoria sarebbero straniere, tipo "nickname". Secondo te?

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    1. A parte il fatto che io e tuo marito siamo in disaccordo, lo sai (a proposito: hai risolto quella questione?) io penso che la scelta di un neologismo sia in parte vincolata alla terza persona limitata. Stando al tuo esempio di nickname, se uno dei miei personaggi dovesse entrare su un forum di discussione non inserirebbe certo lo “pseudonimo”: insomma, occorre tenere conto delle caratteristiche e dell’età della persona che parla.
      Io non ho mai usato il corsivo per l’inglese anche se forse dovrei…

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  7. Io, se avessi scritto un post del genere, sarei stata ancora più cattiva di te, nel senso che avrei messo in evidenza la mia avversione profonda per tutto ciò che riguarda i cosiddetti neologismi di epoca moderna. Partendo dal fatto che io non amo molto la tecnologia e che sono un affezionata di tutto ciò che è "vecchio stampo", parole come tag, smartphone, photoshoppare, etc, mi fanno venire il voltastomaco, le dita si ritirano e non vogliono scrivere. Che lingua è? Un misto tra inglese ed italiano, immagino, il che non mi piace per niente. Certo è pur vero che bisogna mantenersi al passo con i tempi altrimenti non ci si evolve. La discussione sulla lingua e la sua evoluzione è molto complicata e abbraccia un'infinità di altri settori. Posso solo dire che sia nello scritto che nel parlato io non uso mai termini del genere, sia essi appartenenti all'ambito tecnologico, sia della vita quotidiana. Insomma, mi arrangio con la vecchia lingua, che secondo me, va lo stesso alla grande.
    Quando ho letto la parola Leggings mi ha fatto sorridere...Sai mia madre come li chiama? Pantacollant! Credo che questo fosse il termine originario.
    Ma la parola Leggings fa più chic per le fanciulle di oggi.
    Sapevo che la parola badante non esisteva, anche perchè il "lavoro" di queste donne, non era riconosciuto come tale in passato.
    In pratica l'assistenza agli anziani 24oresu24.
    Ma la parola badante voglio anche accettarla, mi infastidiscono i termini che sono un adattamento dall'inglese. Direi che ne potremmo fare tranquillamente a meno.
    Ma forse la mia è solo un'utopia, la globalizzazione è anche questo.
    Si salvi chi può! :)

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    1. Il problema del neologismo quando scrivo non è legato soltanto al mio gusto personale ma comprende un elemento di cui ho accennato a grandi linee: il personaggio che sta parlando o a cui appartiene il punto di vista.
      Il suo modo di esprimersi cambia a seconda dell'età, del contesto, del rapporto che ha con determinati ambienti e contesti.
      Se il protagonista ha all'incirca la nostra età (ho appena scoperto che siamo quasi coetanee) parole come smartphone o selfie sono quasi scelte obbligate. Se faccio parlare un trentenne come un accademico del settecento si crea una scissione ed il lettore non si ritrova più.
      In altri casi, inoltre, esiste anche una differenza di significato.
      Prendiamo ad esempio la parola stalker: si potrebbe utilizzare "maniaco", però c'è differenza. Se lo stalker è anche un maniaco, non è vero il contrario: l'uomo che gira in impermeabile nei parchi è un maniaco, non è uno stalker. Il sinonimo italiano (persecutore) potrebbe non avere lo stesso appeal a livello narrativo.
      Insomma: un bel casino! :)

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  8. I leggins si chiamavano fuseaux. In realtà leggins si riferisce più a una marca, cioè al prodotto di una specifica casa costruttrice, che non a un capo. Più giusto è l'uso di fuseaux o, appunto, di calzamaglia. Anche se la calzamaglia tipicamente ha i piedi chiusi, mentre i fuseaux no.
    Detto questo, anch'io non disdegno l'uso dei neologismi. Non sono un purista della lingua. Solo, però, non mettermi mai più una parola simile in un titolo di post, perché io apro nella speranza di vedere tante belle immagini femminili, con l'ormone che mi cammina fin sulla punta delle orecchie, e poi rimango deluso... :P

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    1. Il problema dei leggings nel 2002, come evidenziavo sopra, non è legato soltanto alla scelta della parola ma anche al fatto che ai tempi non si trattava di un oggetto di uso comune. Dopo il boom del fuseaux negli anni 80, l'indumento è stato relegato all'ambito sportivo per poi tornare di moda nel 2007-2008.
      Dunque perché complicarmi la vita permettendo ai miei filtri mentali di fare venire meno la coerenza storica? :)

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  9. Davvero un'interessante ricerca, grazie per averla pubblicata. In effetti le parole che sono entrate nell'uso comune e che hanno presto trovato un posto nel gergo di tutti i giorni sono davvero tante. La prima che mi viene in mente è selfie, senza la quale, come avremmo mai potuto chiamare un autoscatto dallo smartphone?

    Tantissime altre poi ci vengono "regalate" dalla politica: non c'è politico italiano a cui non piaccia riempirsi la bocca con inglesismi. Darsi un tono, o essere saccenti, in ogni caso in Italia almeno la classe politica potrebbe provare ad utilizzare solo termini italiani.

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    1. ..."autoscatto dallo smartphone"... avremmo potuto chiamarlo così. Però è un po' lunghetto ;)
      Hai ragione per quanto riguarda il ruolo della politica (ma anche dei mass-media) nel veicolare nuove parole. Mi viene in mente la teoria dell'agenda-setting di Horkeimer e Adorno: televisione e giornali impongono determinati dogmi verbali e culturali a cui l'individuo deve volente o nolente adeguarsi.

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    2. P.S. Sono contenta che l'articolo ti sia piaciuto: grazie per il complimento :)

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  10. E' vero che usiamo termini inglesi anche dove non servono, ma non mi piace vedere la lingua come qualcosa da mettere in una teca, imbalsamata per l'eternità. Se il termine inglese è molto diffuso, di solito non mi disturba sentirlo usare, né usarlo; mi disturba invece pensare che in un mio romanzo compaia qualcosa che tra qualche anno lo mostrerà come datato, e se va male renderà difficile la comprensione ai lettori. Per questo uso solo i neologismi più rodati, che mi fanno stare tranquilla. (Comunque uno che mi invita a un'apericena ha già il mio "no" stampato in fronte!)

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    1. è vero, alcuni termini rischiano di diventare datati, oppure di essere troppo circoscritti ad un determinato target. Tu che scrivi di YA, sicuramente sai quanto è precario l'equilibrio fra linguaggio corretto e chiaro e linguaggio vicino ai giovani. Io stessa, nel trattare la parte del romanzo in cui i protagonisti hanno vent'anni, a volte mi interrogo sulla correttezza di determinati termini, sì giovanili, ma anche fortemente contestualizzata e con data di scadenza ravvicinata. Per non rischiare, li sostituisco tempestivamente!

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  11. Nello scrivere articoli o rispondere a interviste, se c’è un equivalente italiano al termine inglese preferisco il termine italiano. Tuttavia uso anche termini derivati dall’inglese senza problemi, perché non sono autarchica fino a questo punto e non voglio complicarmi la vita. Quindi sì a ‘mouse’ o ‘blog’ o ‘post’ o ‘leggings’. No a un misto tra italiano e inglese, quindi non mi piace ‘photoshoppare’ o ‘brieffare’. Devo ammettere però che in quest’ultimo caso vado molto a sonorità e gusto personale.

    Per quanto riguarda la scrittura, invece, non ho mai ambientato un romanzo o un racconto ai giorni nostri (a parte Gli Immortali, ambientato anche nel 2004) per cui non mi sono mai posta la questione. I miei problemi sono inversi, cioè non usare termini troppo moderni non solo in bocca a personaggi del passato, ma anche nel testo narrativo. Mi faccio le paturnie anche nel dire: “era elettrizzato” per descrivere lo stato d’animo di un personaggio del 1100!

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    1. Nel rispondere a Dramaqueen ho parlato di leadership e di computer, ma il mouse è un altro termine parzialmente intraducibile! Concordo invece per quanto riguarda il miscuglio fra inglese e italiano: anche io lo trovo orripilante e grossolano. Esistono delle perifrasi per indicare i medesimi termini: usarle renderà il testo molto più pulito. :)

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    2. I francesi dicono "le souris"... ma a me fa impressione il pensiero di avere un topo in mano! Per fortuna che ora scrivo dal portatile e sto usando solo il touchpad... Ops, altro termine inglese!
      Ecco, per chiarire il mio discorso di prima, uso come esempio quest'ultima frase: quando per la parola non c'è un corrispondente italiano (es touchpad) uso il termine inglese. Che cosa potrei dire, se volessi usare una parola italiana? Sarebbe una perifrasi lunghissima!
      Invece, qui in Italia è normale usare "computer portatile" e definirlo "laptop" mi sembrerebbe un atteggiamento da "io uso parole inglesi perché fa più figo". Quando parlo in inglese, dico "laptop" perché è il termine corretto per quella lingua.
      Buon weekend anche a voi! O è meglio dire finesettimana? :P
      Scherzo, scherzo... Ormai è entrato nell'uso comune... La smetto di fare la precisina, ora! :)

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    3. Certo, Mouse è traducibilissimo in "topo" però nessuno lo userebbe mai!
      D'accordo su tutto il resto: neanche io dico latpop, però dico tablet perchè ormai è abitudine, ed anche smartphone.
      Avete mai pensato che la vaschetta per fare i cubetti di ghiaccio non ha un nome? Inglese o italiano che sia!

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  12. Sì, è vero, i francesi sono degli inguaribili nazionalisti, per cui usano proprio "le souris" per dire "mouse", e invece di dire "computer" usano "ordinateur". Ma so che anche gli spagnoli usano la parola "ratón" sempre per dire "mouse".

    E il termine "brieffare" non vi ricorda qualcuno? ;-)

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    1. Io abito a 20 km dalla Francia e posso dire con certezza che è vero: sono tremendamente nazionalisti. Vengono in Italia e parlano SOLO francese. Io faccio finta di non capirli (anche se lo capisco e parlo benissimo) per una pura ed infantilissima questione di principio. Se vai da loro e non pronunci perfettamente nemmeno ti rispondono.
      In Francia ci sono solo Peugeot e Reanault e c'è pure una legge che impone alle radio di trasmettere 70% di musica francese!

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  13. Lavorando (mio malgrado) nel marketing, ogni giorno sono bombardato da obbrobri come "ASAP", "facciamo una call", "aggiornare il timesheet", "puntare sul brand" e altre cagate affini.

    Non sono un purista della lingua, ma credo che espressioni straniere e neologismi si accomodino troppo spesso sulle poltrone lasciate libere dai nostri vuoti lessicali.

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    1. Concordo.
      Anche io ho lavorato nel marketing: FYI secondo me è anche peggio di ASAP. E la dead-line è una parola a mio avviso davvero inquietante! :)

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  14. Complimenti per l'articolo e la contestualizzazione dei neologismi.
    Vedo che abbiamo idee piuttosto affini. Anch'io posso tollerare alcuni neologismi presi da altre lingue, ma nella maggior parte dei casi preferisco adoperare i termini che la nostra lingua ha già. Ci sono parole, per lo più sostantivi come "selfie", "mouse" o "nickname", che si possono accettare, ma sui verbi stranieri distorti all'italiana sono piuttosto intollerante.
    Come dice Dramaqueen, si dovrebbe usare il termine inglese quando non c'è il corrispondente italiano, e questo è comprensibile per i sostantivi. Gli inglesi non hanno trovato un corrispondente per "pizza", noi non lo troveremo per "mouse", noi abbiamo battezzato la prima, loro il secondo.
    Verbi come "photoshoppare" e "googlare" non li posso proprio sentire, si possono usare "(foto)ritoccare" (che tu voglia indicare il programma più famoso, non tutti i fotoritocchi sono fatti con quel programma) e "ricerca in rete" o "ricerca in Internet" (oltre Google vengono usati anche altri motori di ricerca: Yahoo, Virgilio, Bing, etc.). Dipende tutto dal significato che chi parla dà ai termini, "selfie" ha assunto il significato di "foto con se stesso all'interno, scattata da sé con un dispositivo con fotocamera azionabile con una sola mano", come per noi "rete" rappresenta "Internet".
    A mio avviso molto spesso dietro la presunta fretta e velocità della vita quotidiana, si nasconde una certa pigrizia nel trovare e usare i termini della propria lingua o riempire quei vuoti lessicali di cui parla Alessandro nel suo commento. Dal mio commento all'articolo di Lisa si capisce che non userò mai "sharare" perché c'è "condividere", qui posso aggiungere che non userò un verbo come "crashare" al posto di "bloccarsi", se dico "il computer si è bloccato" è perfettamente comprensibile, poi fortunatamente non sono così pigro da abbreviare "parlare in chat" con "chattare" e "collegare (con un link)" con "linkare", e chi mi segue spesso vede che uso "articolo" al posto di "post".

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    1. Io alterno le parole "articolo" e "post"per evitare ripetizioni. Altre le uso a seconda del contesto :)

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  15. A proposito di termini stranieri, prova(te) a guardare qui: http://www.brainpickings.org/2014/11/24/lost-in-translation-ella-frances-sanders/. Ci sono delle espressioni intraducibili molto belle, prese da varie lingue.

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    1. Stupendo questo link, grazie!
      Conoscevo solo "saudade", e non avrei mai indovinato "commuovere".
      Ne ho trovate altre 25... la prima è buffissima, ecco il link: http://goo.gl/WbXphh

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    2. Grazie mille! Appena ho finito l'articolo nuovo ci do un'occhiata :)

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