Show don't tell: quando il romanzo sembra un film


Rendete visibile quello che, senza di voi, forse non potrebbe mai essere visto.
(Robert Bresson)
Credo che negli ultimi dieci giorni sia nato un mostro. Dopo aver vissuto alcuni momenti di incertezza che mi hanno bloccata, ho deciso di approfondire determinate tematiche. Questo studio è stato il preludio alla stesura di alcune scene molto più mature delle precedenti. Sono ancora ben lontana dalla meta, ma soddisfatta di ciò che sto imparando durante il tragitto. Ciascuna tappa ha portato con sé degli insegnamenti importanti che concernono gli argomenti affrontati negli ultimi tre articoli. Sto infatti lavorando per:
- Incrementare i meccanismi di identificazione tramite il punto di vista in terza persona limitata, il che rende necessario mantenere aggiornate le schede dei personaggi con le nuove idee maturate in sede di stesura. È sempre meglio tenere sotto controllo ogni possibile evoluzione.
-Ridurre al minimo l’infodump per non essere costretta a revisioni e tagli troppo drastici.
-Rompere le catene create dal censore interno, che a volte mi impediscono di sciogliermi rendendo la mia scrittura troppo ingessata. L’ansia da prestazione è il peggior nemico della creatività.
Mi rendo conto solo ora che si è innescato una sorta di meccanismo causa-effetto. Approfondire la conoscenza dei personaggi non serve solo a gestire meglio il punto di vista, ma anche a selezionare spontaneamente le informazioni necessarie senza mettere troppa carne al fuoco. Questa nuova semplicità aumenta la sicurezza e la fiducia nei propri mezzi riducendo il potere del censore. In poche parole, ho operato un cambio generalizzato di rotta che mi ha fatto prendere maggiore confidenza anche con la tecnica dello show don’t tell.

A dire il vero, io la applicavo anche prima della mia fase secchiona (o per lo meno ci provavo) ma ora c’è una volontà esplicita, una consapevolezza forte. Sto prestando grande attenzione a dettagli che un tempo mettevo inconsciamente in secondo piano e, quando si trascendono i propri automatismi, la scrittura diventa più consapevole e profonda. Il modo di narrare cambia radicalmente.

Cosa significa “show don’t tell” ?
Dal momento che la maggior parte dei lettori di questo blog è molto più esperta di me, voglio evitare spiegazioni eccessivamente didascaliche. Mi limiterò a fornire un piccolo esempio per i neofiti che ogni tanto passeggiano sulla mia pagina.
Se noi scriviamo “Giacomo è un uomo che lavora sodo”, stiamo raccontando. Diamo un’informazione sulla base dei nostri canoni di riferimento. Il lettore non può fare altro se non registrare passivamente il dato. Si tratta di un dettaglio che può essere impreciso: cosa intendiamo davvero, con questa frase? Giacomo lavora dieci ore al giorno? Ne lavora dodici? È il manager di una multinazionale o un operaio della Fiat? Si tratta di un obbligo o di una scelta?
La stessa situazione può essere mostrata e messa in scena, proprio come in un film. Possiamo far vedere il povero Giacomo che si barcamena fra computer e smartphone, che si imbottisce di tranquillanti per resistere allo stress, che litiga con la fidanzata perché non ha mai tempo da dedicarle e così via. L’impatto emotivo è maggiore. Il lettore si sente partecipe e coinvolto. Impara a conoscere Giacomo e familiarizza con lui. La narrazione acquisisce maggiore dinamicità.
Ovviamente, la scelta degli aspetti da evidenziare deve essere pertinente con lo sviluppo della trama, altrimenti si fa infodump. Inoltre le parti mostrate devono essere alternate al racconto puro. Troppe scene allungherebbero troppo il brodo e, invece di velocizzare il ritmo, diventerebbero ridondanti. Il detto “se c’è una pistola prima o poi sparerà” deve essere imparato a memoria come la poesia di Natale quando eravamo piccoli. Ed io – che sono prolissa per natura – dovrei essere la prima a stamparlo ed appiccicarlo allo specchio del bagno.

 Cosa possiamo fare per applicare tale principio?

-Focalizzarsi sulle azioni ed emozioni del personaggio.
Se vogliamo che i nostri protagonisti agiscano in modo sensato e coerente con la loro personalità, è necessario conoscerli a fondo. Dobbiamo sapere tutto di loro e cogliere intuitivamente anche quei dettagli che non entreranno mai nella storia. Cosa ordina Paolino al ristorante? Una bistecca o un’insalata? E, se decidiamo di ambientare la scena in un locale etnico, preferisce il sushi o il kebab? Sono domande a cui dobbiamo saper rispondere anche se la nostra storia è ambientata su un’isola deserta completamente priva di bar, negozi ed edifici.
Qualche giorno fa mi sono messa a fare un gioco con un mio lettore-cavia (ovvero mio marito): lui mi poneva domande assurde sui miei personaggi ed io rispondevo con sostanziale sicurezza. È stato molto divertente perché sono emersi aspetti che non avevo considerato e che, sicuramente, potranno rivelarsi utili in futuro. Lo ripeterò fino alla nausea: ritengo la definizione dei protagonisti e del loro arco di evoluzione molto più importante di una scalettatura dettagliata della trama. Ho di recente iniziato a definire un po’ meglio anche le figure secondarie: anche se i dettagli fissati sono di meno, è importante creare un contatto con qualunque figura animi la nostra storia. Questo serve soprattutto a garantire loro un’immediata riconoscibilità.
Cerchiamo di capire, quindi, se il nostro eroe ha dei tic, delle abitudini ricorrenti, delle piccole manie. Identifichiamo situazioni improbabili nelle quali potrebbe trovarsi. Come reagirebbe? E focalizziamoci sul suo modo di esprimere le emozioni e di mettere in gioco i propri sentimenti. Cosa fa Antonio quando è arrabbiato? Si chiude in se stesso? Tira cazzotti contro il muro? Dipende dal suo carattere e dal modo in cui vogliamo farlo percepire ai nostri lettori.
Anche se a volte mi faccio prendere dall’ispirazione folle, ritengo veramente utile definire gli obiettivi di ogni singola scena e gli aspetti da mostrare. Si evita la necessità di operare tagli drastici. Una volta stabilito ciò, dirigersi verso la meta sarà molto più facile.

-Personalizzare i dialoghi
Una persona timida e poco sicura di sé ha spesso bisogno di accertarsi che il proprio messaggio vada a buon fine e a cercare l’approvazione del prossimo. Tenderà quindi a chiedere “hai capito?” oppure “va bene?”. Un narcisista userà di frequente il pronome “io”. Una persona poco colta sbaglierà i congiuntivi oppure utilizzerà espressioni dialettali o raffazzonate. Agli anziani sanremaschi piacciono molto “gli euri”.
Il linguaggio è il primo mezzo che abbiamo a disposizione per esprimere ciò che siamo, dunque va messo in scena esattamente come le azioni. Quando si è alle prime armi spesso tendiamo ad utilizzare sempre gli stessi vocaboli. Uniformiamo il modo di parlare dei personaggi e lo assimiliamo al nostro. Ma, se proprio non riusciamo durante la prima stesura, in sede di revisione dovremo fare a pezzi ogni frase e ricucirla su misura per i propri personaggi.
Io vorrei tentare un piccolo esperimento con il modo di esprimersi del mio protagonista, rendendo il suo linguaggio uno specchio dell’evoluzione psicologica e spirituale che si troverà ad affrontare.  Vorrei partire con espressioni aggressive e colorite per poi procedere ad un processo di pulizia, fare in modo che la sua capacità di esprimersi cresca insieme a lui. Dopo tutto, quando la storia comincia ha vent’anni e quando finisce ne ha trentacinque: se rimanesse uguale a se stesso sarebbe un po’ sfigato. E vorrei soprattutto che il lettore possa accorgersi del mio sforzo e percepire ciò che intendo mostrargli. Non sarà semplice, ma si può provare.

-Usare l’ambientazione per generare stati d’animo.
Mi sono accorta che le scene ambientate in luoghi chiusi tendono ad “appiattirsi” in quanto limitano la mobilità del soggetto. Diversamente, gli spazi aperti lasciano respiro e libertà di movimento, amplificano l’azione. I nonluoghi, che io prediligo per la maggior parte delle mie ambientazioni, tendono a trasmettere un’idea di spaesamento e di alienazione. I mezzi di trasporto possono favorire il dialogo interiore e la focalizzazione sul pensiero.
Recentemente mi è successo di riscrivere una scena che non mi piaceva. Ho spostato il dialogo da una camera da letto ad un parco di periferia e l’effetto è stato completamente diverso. Il personaggio non aveva più bisogno di dire perché non stesse più bene nel luogo in cui era cresciuto: il lettore lo vede da sé, assapora tutto lo schifo che lo circondava e si sentiva partecipe della sua decisione di andarsene.

-Utilizzare i cinque sensi.
Alberto è in un bar affollato ed osserva le persone che entrano (vista). Intanto mangia un hamburger troppo salato (gusto) e si pulisce le mani unte (tatto). C’è puzza di sudore (olfatto) ed una canzone dei Pink Floyd che esce dallo stereo (udito).
Questo esempio è improvvisato e rocambolesco ma, in linea generale, fare in modo che il personaggio filtri la realtà con tutti e cinque i sensi rende la scena molto più reale. Il lettore può immergersi a 360° gradi in quanto sta accadendo e sentirsene partecipe.  

-Mostrare parallelismi fra il prima e il dopo.
 Questo è uno degli aspetti legati al “show don’t tell” che mi diverte maggiormente. Adoro sbattere i personaggi nella medesima situazione a distanza di tempo, per vedere se cascano negli stessi errori oppure hanno imparato a farsi furbi. Il tipo di storia che sto scrivendo mi agevola in questo processo perché più l’arco di tempo coperto dalla trama è ampio maggiori possibilità ci sono per giocare con i parallelismi. In  questo articolo, Aislinn spiega molto bene quanto sto dicendo.

Questi sono le modalità di show don’t tell a cui sto facendo più spesso ricorso. Ve ne vengono in mente altre? E quale fra queste considerate più efficace?

Commenti

  1. Ti ho rubato subito il gioco delle domande random fatte dal lettore-cavia. Ho perso miserabilmente, e ti scrivo con la coda tra le gambe. Dovrò ridare l'esame a settembre...
    Per quanto riguarda l'usare i cinque sensi, penso che a volte gli scrittori ne abusino. Meglio scegliere due sensi prominenti in quell'occasione che dilungarsi a descriverli tutti e cinque. Può distrarre più che intrattenere.

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    1. Credo che lo scrittore debba decidere secondo coscienza quali e quanti sensi mettere in gioco, a seconda della necessità della scena. La multisensorialità può offrire completezza e profondità, oppure essere ridondante. Dove vogliamo arrivare? Una volta deciso ciò, la scelta sorge spontanea :)

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  2. "L’ansia da prestazione è il peggior nemico della creatività." - condivido. Mi sono accorto di scrivere meglio se non ho aspettative riguardo quello che scrivo. Ma forse vale un po' per tutto, in tutti i campi. :)

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    1. Il fatto di avere dei lettori-cavia può diventare un fattore che inibisce. Occorre porsi nell'ottica che loro sono lì per aiutarci, non per giudicarci. Le mie aspettative sono nei confronti degli altri, più che nei miei confronti. :)

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  3. Secondo me l'utilizzo dei 5 sensi,
    è l'escamotage più "forte" che si possa utilizzare, in quanto umanizza i personaggi, li rende vividi e reali. Certo, come giustamente Lisa fa notare, non bisogna abusarne ma dosare sapientemente gli equilibri, altrimenti si rischia di "imbarazzare" il lettore ;-)

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    1. Più che il rischio di imbarazzare il lettore (che comunque può intuire cosa aspettarsi da un certo genere di storia) c'è quello di "sommergerlo" e farlo sentire un po' spiazzato. Come evidenziavo anche nel commento precedente, spetta all'autore saper dosare gli elementi da inserire nella scena, in funzione del proprio scopo narrativo :)

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  4. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  5. Ops!!! I commento di Aislinn è stato cancellato per errore, a causa di un mio handicap nell'utilizzo dello smartphone...

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  6. Premesso che sono d'accordo con tutto quello che viene detto nel post, penso anche che il scrittura ogni legge debba essere considerata "frangibile", si può e si deve infrangere in alcune circostanze. Se prendete ogni libri che amate, noterete che si sono momenti in cui lo scrittore racconta e non mostra, perché deve andare avanti, perché l'informazione va data in modo non fraintendibile, perché in caso contrario allungherebbe troppo il brodo... Insomma, per vari motivi a volte qualcosa va raccontato e non mostrato. Lo scrivo in parte perché per carattere sono sempre quella del "ma", ma sopratutto perché a volte gli autori alle prime armi (io per prima, eh) non sanno quando rallentare e quando accelerare, nel dubbio mostrano tutto... E il lettore muore di noia...

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    1. Ti do ragione tant'è che l'ultimo paragrafo in risposta alla domanda "cosa significa show don ' tell" evidenzia la necessità di alternare il mostrato al racconto puro.
      Concordo anche con il fatto che chi è alle prime armi tende a valorizzare più la scena del narrato. Questa è una cosa che ho imparato un po' a mie spese : sono riuscita a scrivere 30 pagine sulla sola nascita di un bambino.
      Il fatto è che la scena mi risulta tutto sommato più facile da scrivere. A volte il narrato crea un effetto "elenco telefonico" diventando un po' piatto. O forse è la mia impressione : i giudizi su se stessi non sempre sono completamente attendibili. É solo questione di allenamento, forse. Prima ero più brava ma quei cinque anni di stop mi hanno lasciato qualche lacuna. Sto crescendo giorno sono oblio po giorno dopo giorno ed è un percorso bellissimo...

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    2. Non fare caso a quel "sono oblio po"... ma il mio cellulare oggi fa casino. Mi cambia le parole senza che me ne accorga!

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  7. Hai spiegato molto bene come funziona lo show, don't tell. Sono d'accordo con te, lo sviluppo dei personaggi è più importante del pianificare la trama (anche se non rinuncerei mai alla seconda). Cambiare scaletta in corso d'opera è possibile, anzi, le modifiche sono frequenti... ma cambiare il personaggio in corso d'opera? Non se ne parla. I dettagli sì, possono cambiare, ma se provi a inserire nella trama un personaggio davvero diverso va tutto a catafascio.

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    1. Guarda, proprio ora sto valutando l'idea di cambiare un personaggio. Però si tratta di una figura che non ha un ruolo incisivo (e proprio per questo la elimino!) quindi non comprometterà quanto scritto fino ad ora... se dovessi togliere uno dei due protagonisti, ad esempio, farei molto meglio a cambiare storia! :D
      Per quel che riguarda la scaletta, come già sai ho sperimentato sia la strada dell'anarchia sia quella della progettazione, e siccome nessuno dei due ha funzionato ho deciso di fermarmi in un punto intermedio. Ho definito gli snodi principali, ma non come arrivare da uno all'altro. Questo mi consente un certo margine di libertà. Credo però sia soggettivo... è un po' come il metodo di studio. :)

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    2. Sì, è soggettivo. Comunque anche il mio metodo è un compromesso di quel tipo.

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    3. Io non riuscivo a rispettare nemmeno le scalette dei temi: figuriamoci quella di un romanzo :D

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  8. E' molto bello il tuo blog, Chiara!
    Da questo post ho imparato una cosa nuova: "Usare l’ambientazione per generare stati d’animo". Me lo sono scritto su un post-it! Una affermazione, invece, la conoscevo già: che l'ansia da prestazione uccide la creatività.
    Grazie!

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    1. Sono molto contenta che il blog ti piaccia!
      è possibile che io parli di ambientazioni anche nell'articolo in programma per oggi. Non lo do per scontato perché ho anche altre idee da sviluppare e mi sto ancora documentando ... ma è molto probabile.
      Grazie per essere passata a trovarmi. Spero di rivederti su questa pagina. :)

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    2. Sicuramente!
      Ps. Se sei come me, parti con un'idea per il post, e finisci per scrivere tutt'altro ,)

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    3. A volte si' ma stavolta te lo confermo : sto scrivendo dell' ambientazione ;)
      Spero di essere online verso le 17:30 :)

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