Guest-post (2) : Le difficoltà della scrittura
Oggi è mio ospite Salvatore Anfuso, autore torinese con cui
ho in comune molteplici tentativi di romanzi abbandonati, un lungo ed
auto-punitivo periodo di allontanamento dalla narrativa ed una forte decisione
di tornare in pista con un nuovo progetto in cantiere.
Entrambi desiderosi di superare le difficoltà tecniche ed
annientare i blocchi psicologici che per anni ci hanno impedito di essere
scrittori a tutti gli effetti, abbiamo creato un sodalizio virtuale che ha
portato alla stesura di questo guest-post.
Buona lettura!
.... quando scrivere è sofferenza
Riprendo
il titolo da un post di Daniele Imperi. Io e Daniele abbiamo
gusti diversi. In fatto di birre ad esempio, o di donne. Sulla scrittura invece
ci ritroviamo spesso allineati. Stiamo facendo un percorso parallelo e
parallele sono le difficoltà che riscontriamo. Forse però queste difficoltà non
valgono solo per me e per lui. Forse valgono per tutti. Non voglio quindi
scrivere un post di auto compiacimento, o che serva solo a me e a Daniele.
Voglio scrivere un post che possa essere utile a tutti i lettori di Chiara, che
mi ospita gentilmente.
Perché scrivere è difficile?
Scrivere
non è difficile. Si impara a farlo in prima elementare, dopo aver appreso a
leggere. Se poi si legge molto, si studia bene e si fa un po’ di pratica,
scrivere diventa facile come parlare, o quasi. Scrivere narrativa invece, è
difficile. Sono due cose diverse. Perché?
La
narrativa, diversamente dalla stesura di un opinione, richiede creatività. Cioè
bisogna inventare. Nuovi mondi ad esempio. Oppure personaggi o ancora un
intreccio originale che dia risalto alla storia. La creatività è indotta. Vale
a dire che o ce l’hai e allora nella vita fai, se puoi, qualcosa di creativo,
oppure non ce l’hai e allora diventi un ingegnere. Non è detto che nel campo
dell’ingegneria non ci voglia creatività, ma questo è un’altro discorso.
Tuttavia
ho letto da qualche parte che raccontare una storia, quindi fare narrativa, è
per l’uomo naturale come respirare. I nostri antenati si raccontavano storie
attorno a un fuoco, la sera, dopo una giornata di caccia. Raccontare storie,
quando ancora non avevamo inventato i minimarket, era indispensabile per
istruire i giovani. Come dire: era pedagogico.
Se
è vero, allora perché riscontriamo tanta difficoltà a farlo?
Narrare una storia facendolo per iscritto
Scrivere
non è difficile. Raccontare storie, neppure lo è. Lasciando da parte i nostri
antenati, lo fanno le donne dal parrucchiere ogni giorno. Si chiamano
pettegolezzi e cos’è una storia se non un pettegolezzo ben studiato? Quindi, è
un gatto che si morde la coda?
No.
Semplicemente è difficile raccontare storie facendolo per iscritto. Ecco,
mettiamo un primo punto alla nostra disquisizione amichevole: scrivere è
facile; raccontare storie è facile; intersecare le due cose, però, è difficile.
Perché?
I
pensieri sono immagini. Nella nostra testa si formano così. Tradurre le
immagini in parole richiede uno sforzo. Tanto più è complessa l’immagine, tanto
maggiore sarà lo sforzo. Tramutare le immagini in parole scritte lo è ancora un
po’ di più.
I
racconti sono immagini complesse. Lo sono perché comprendono molte sfumature,
gran parte delle quali fanno riferimento a regole comportamentali o conoscitive
sul mondo che ci circonda che non sono traducibili a parole, ma che riusciamo a
intuire benissimo. Su di esse basiamo gran parte dei nostri rapporti sociali ad
esempio. A rende complesso un racconto sono i “non detti” fra le righe, i
sostrati non visibili che però rendono il nostro mondo, quello umano, così
com’è.
Tradurre
questi in parole non è facile. Anzi, è impossibile. Ecco che allora la
narrazione scritta di una storia deve fare tesoro di un’altra caratteristica
del nostro genere: la strategia.
La strategia in narrativa
Non
stiamo parlando di guerra, ma il conflitto in narrativa esiste. Con se stessi
ad esempio. Con la capacità di comprensione del lettore o di espressione dello
scrittore. Con le sfumature delle storie non traducibili in parole o in
immagini. Ecco, proprio per quest’ultime, l’unica chance che abbiamo per
comunicarle e fare uso della strategia. Ma prima, cos’è la strategia in
narrativa?
Raccontare
una storia per iscritto significa far fare un percorso studiato al lettore. Qui
abbiamo già un primo accenno di strategia: un percorso studiato. A cosa serve?
A far giungere il lettore a comprendere con le emozioni prima che con la logica
determinate informazioni.
Si
potrebbe opinare che se si tratta di “informazioni” allora basta comunicarle,
raccontandole così come sono. Nella maggior parte dei casi sì, anzi raccontare
informazioni in modo meno diretto può avere l’effetto opposto, annoiando il
lettore. Ma... C’è sempre un ma. Ma, dicevo, ci sono delle informazioni che
sono intraducibili a parole o per immagini. Possono solo essere fatte provare.
Ecco, lo scopo della narrativa - che sia per iscritto (letteratura) o per
immagini (cinema) - è proprio questo: trasmettere informazioni intraducibili
facendole conoscere attraverso le emozioni che un dato racconto suscita in un
lettore/spettatore.
La
strategia quindi, in narrativa, è la prima delle difficoltà che si presentano a
uno scrittore.
Un lungo conflitto con se stessi
La
seconda delle difficoltà non riguarda il rapporto scrittore/lettore, ma
scrittore/scrittore. Vale a dire con se stessi. Quanto conosciamo davvero ciò
che stiamo narrando? Quanto proviamo davvero quello che vorremmo far provare ai
nostri lettori? Quanto siamo disposti a metterci in gioco?
Ecco
alcune delle questioni più sottili e subdole con cui uno scrittore deve fare i
conti. Le prime due riguardano l’onestà dello scrittore. Se l’argomento non ti
interessa davvero, ma pensi che possa interessare molto ai tuoi lettori, o se
non lo conosci abbastanza, ma vorresti sentirti chiamare scrittore lo stesso,
allora stai mentendo! Scrivi altro piuttosto. Oppure fai altro. Se uno
scrittore non è onesto, con se stesso e con il lettore, non potrà mai giungere
ad un vero risultato.
La
terza questione invece è più complessa. Se siamo onesti con noi stessi allora
ci stiamo mettendo in gioco. Però non siamo macchine, siamo fatti di carne e
sangue esattamente come i nostri lettori. Questo significa che quelle emozioni
le abbiamo provate per primi. Prima di poterle raccontare a qualcun’altro ci
siamo passati noi e le abbiamo vissute sulla nostra pelle. Alcune emozioni
possono essere piacevoli, la maggior parte però non lo sono affatto. Sicuri di
voler fare gli scrittori? La scrittura, in questo senso, è sofferenza.
La scrittura è sofferenza
Come
si superano queste due difficoltà: strategia narrativa e onestà emozionale? Non
le si supera. Semplicemente si vivono. Il processo di scrittura serve solo a
interiorizzarle - ecco che entra in campo la logica - e a esternarle. Si scrive
per tirarle fuori, mettendole su carta. La scrittura è sofferenza.
Scriviamo
per far soffrire anche il lettore? No. Semplicemente lo poniamo davanti a
un’esperienza. Esattamente come attorno al fuoco diecimila anni fa, istruiamo i
nostri lettori sulle tematiche della vita, le paure, i conflitti e le
difficoltà che ci riserva.
Scrivere
non è facile, anzi è sofferenza. Chi ha mai detto che non lo sia? Però vogliamo
farlo, vogliamo essere scrittori. Se questo è vero, dobbiamo essere abbastanza
onesti con noi stessi, prima ancora che con il lettore, domandandoci se lo
vogliamo davvero.
Voi
lo volete? Perché?
Vendo sogni, ma vorrei scrivere certezze. Leggo da prima di avere imparato a farlo e scrivo da molto, molto tempo. Sto lavorando al mio ottavo romanzo, quello buono. Solo che gli altri sette non li ho mai conclusi. Questa potrebbe essere la volta buona, ne sono quasi sicuro. Restate in campana dunque, non si sa mai. Nel frattempo vi invito a leggere i miei post, sul mio blog, e i miei racconti. Alcuni hanno vinto qualche concorso, qui e là. Soprattutto, sono convinto di una cosa, una sola: Credere nei sogni li fa realizzare!
Per me la scrittura è gioia.
RispondiEliminaO, almeno, ho un rapporto con la scrittura molto simile a quello che ho con il mio sport: la corsa di resistenza. Si suda, ci si stanca, ma alla fine c'è quello stato magico in cui ci si sente in armonia con il tutto che ripaga di tutto.
Dopo la sofferenza arriva la gioia, se lo si fa con onestà. :)
EliminaDevo essere sincero, per me non è mai stata sofferenza: per me è divertimento continuo, divertimento nell'ideare, nel progettare, nello scrivere, nell'immaginarmi la reazione dei lettori^^
RispondiEliminaMoz-
Che poi dovrebbe essere l'unico scopo dello scrivere, in effetti. Per me invece è divertimento l'esecuzione, ma sofferenza il processo. Probabilmente però dipende anche da cosa si scrive. :)
EliminaNon so cosa scrivi, infatti :)
EliminaMoz-
A volte me lo chiedo anch'io...
Eliminaper me è dura sedersi a scrivere, lasciare fuori il mondo, scordarsi di tutto ed entrare nella storia o nel post. Mi ci possono volere giorni a mettermi lì. E dopo un'oretta o due o quattro, quando il mondo si intromette e devo smettere di scrivere, lì soffro davvero. Perché non voglio tornare alla vita reale, non voglio perdere la concentrazione, vorrei poter scrivere sempre.
RispondiEliminaEcco, quando il mondo si intromette poi, no, non soffro, mi incazzo! C'è differenza... Divento un dannatissimo serial killer. ;)
EliminaLeggendo i vari commenti, noto un atteggiamento un po' "manicheo" nei confronti della scrittura. C'è questa netta separazione fra "gioia" e "sofferenza", come se una escludesse automaticamente l'altra.
RispondiEliminaIo penso che si tratti dei due diversi lati della stessa medaglia: la gioia è il motore di tutto, perché altrimenti per quale motivo dovremmo sederci al pc ad ideare storie quando potremmo dedicarci ad altro? Masochismo puro? Ovviamente no: un motore interiore che ci spinge a creare deve esserci per forza e rombare potente.
La sofferenza, secondo me, c'è soprattutto all'inizio quando una persona muove i primi passi nel mondo della narrativa e, facendo ciò, è costretta (in senso buono) a guardare il mostro negli occhi. Ci sono paure primordiali. Ci sono aspetti di noi stessi che non vorremmo mai conoscere, ma che scorrono nella pagina. Ci sono sguardi, ci sono emozioni, e c'è la sensazione, orribile e devastante, di non riuscire ad arrivare alla fine.
Entrambe queste due emozioni si rincorrono vicendevolmente, si alternano e, a volte, addirittura coesistono. Credo in fondo che sia giusto così perché per nostra stessa natura siamo un insieme di luce e di ombra. La nostra scrittura quindi non fa altro se non rispecchiare la nostra anima.
Non credo che la sofferenza debba essere relegata solo all'inizio, dovuta quindi soprattutto all'inesperienza. Certamente da principianti si fatica di più a scrivere, ma è una fatica diversa, tecnica. La gioia e la sofferenza, due facce della stessa medaglia come dici giustamente tu, sono intrinseche del mestiere creativo; qualsiasi mestiere creativo. Quindi perché limitarle?
EliminaQuesta notte mi sono reso conto della profonda verità che hai detto nella tua risposta. Sono andato a dormire presto e mi sono svegliato altrettanto presto. Saranno state le tre. Ho scritto fino alle sette, ben diecimila caratteri. Un'intera scena e me la sono goduta dall'inizio alla fine. Gioia, è stata pura gioia scriverla. Mi ha dato un sacco di soddisfazione. Questo però non significa che la scrittura non sia anche, e forse soprattutto, sofferenza.
Grazie per lo spazio nel tuo blog, Chiara. :)
Io vedo la scrittura come un'isola circondata da un mare in tempesta. Quello che voglio dire è che scrivere di per sé è un'attività che mi fa star bene, quello che mi fa soffrire è soprattutto tutto ciò che la circonda. Ma le difficoltà ci sono anche nell'isola, eccome. E comportano emozioni non sempre piacevoli, come la frustrazione di non riuscire a esprimere quello che si vuole raccontare, la paura di non arrivare fino alla fine, il senso di inadeguatezza. E la terribile paura del dopo, di andar via dall'isola...
RispondiEliminaPS Dimenticavo: complimenti a Salvatore per il post, non erano riflessioni facili o scontate.
RispondiEliminaGrazie Maria Teresa, ci ho provato... :P
EliminaVero che scrivere fa star bene, succede anche a me e a volte è anche gioia. Quando riesci a scrivere come vorresti ad esempio, o quando realizzi una scena che ti da soddisfazione. In fondo è un modo per esternare, per tirare fuori. :)
Sono d'accordo con Chiara sul fatto che gioia e sofferenza siano parte del gioco, e probabilmente entrambi utili al gioco stesso. Le paure e i blocchi che affliggono gli scrittori esistono davvero, non sono stupide bizze da artista, sbandierate tanto per farsi notare. Scrivere è un atto delicato e difficile, a certi livelli. Ma a quei livelli vorremmo arrivarci tutti, no?
RispondiElimina...e grazie Salvatore! E' sempre un piacere ritrovarti.
RispondiEliminaMa grazie! Mi fai arrossire... :)
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