Le (mie) scene più difficili da scrivere



Le difficoltà crescono man mano che ti avvicini alla meta.
(W. Goethe)

Qualche giorno fa, Daniele Imperi ha pubblicato il post “Le scene più difficili da scrivere” e io, che sono una gran cacciatrice di meme, ho deciso di doppiarlo.
Mi piace l’idea di parlare delle mie bestie nere con altri aspiranti scrittori e di conoscere le loro. Ciascun autore ha le sue peculiarità, ha punti di forza e limiti: condividendoli, ci si può aiutare a vicenda.
Inoltre, adoro gli esercizi di consapevolezza. Chi prende coscienza delle proprie difficoltà ha già compiuto un importante passo verso il loro superamento.
Non è sufficiente capire cosa non vada nel nostro modo di scrivere, ma anche perché.
Si tratta di un limite tecnico o psicologico?
La difficoltà della scena è legata al suo contenuto o al fatto che tocca nervi scoperti, tira fuori la polvere che abbiano nascosto sotto il tappeto?
Rispondere a queste domande ci aiuta a scendere in profondità e a evolvere.
Prendendo come riferimento il romanzo in fieri, la cui stesura si sta rivelando eterna, ho estrapolato quattro tipologie di scene, che rappresentano i limiti su cui sto attualmente lavorando.


Dialoghi fra giovani maschi.
Detto così, sembra che io stia parlando di scimpanzé, quindi mi spiego meglio.
All’inizio della storia il mio protagonista è molto giovane (vent’anni) e, pur non essendo un tamarro all’ultimo stadio, vive in un contesto socio-culturale medio basso.
Conosco piuttosto bene la periferia di Milano perché ci ho fatto volontariato per anni, quindi so come parlano i ragazzi in quei quartieri: ci vorrebbe un traduttore simultaneo.
Ritengo quel linguaggio improponibile per le esigenze di un romanzo che punta, fra le altre cose, anche su uno stile post-moderno ma volgare solo il minimo indispensabile per favorire la verosimiglianza.
Il gergo non mi piace perché  è soggetto a un rapido invecchiamento: fra cinque anni, il lettore rischierebbe di non capire nulla. Inoltre lo trovo grezzo, pesante. Le parolacce ci sono, ma altri termini della serie “minchia-oh” sono evitati come la peste.
Per fortuna, dopo cinque o sei capitoli, il baldo giovane inizia a frequentare ambienti un po’ più stimolanti rispetto al quartiere in cui è cresciuto, ma avrà a che fare sempre con i propri coetanei. Nonostante la mia decisione di farli crescere in fretta per affrontare le problematiche relative all’età giovane-adulta, devo pormi alcuni interrogativi.  Di cosa parlano un gruppo di ventenni in piena esplosione ormonale? E, soprattutto, come ne parlano?
Mio marito, leggendo alcuni di questi dialoghi, ha detto che erano un po’ irrealistici. In una scena, due amici commentavano l’ incontro con una ragazza e uno dei due manifestava il proprio interesse: rileggendola mi sono accorta che sembrava una tredicenne davanti al poster di Edward Cullen. Un altro brano, invece, mostrava un tizio che si era appena scolato una bottiglia di vodka, ma discuteva in piena consapevolezza del senso della vita, nemmeno fosse Jodorowski: anche il principio in vino veritas ha un limite!
Ho scritto queste pagine più di un anno fa e ora che ho un po’ più di esperienza ci rido su. Tuttavia,  è  difficile mantenere l’equilibrio fra la necessità di descrivere in modo realistico la realtà milanese di inizio millennio  e quella di evitare espressioni troppo becere, talmente distanti da me da risultare forzate.

Scene collocate dopo un salto temporale.
Come ho già scritto altre volte, la trama del mio romanzo copre un arco temporale di circa 15 anni.  
Una struttura di questo tipo impone talvolta un balzo in avanti di qualche mese da un capitolo all’altro.
Se spiego al lettore cosa è successo in quel lasso di tempo, rischio di fare info-dump.
Se lascio perdere, potrebbe non capire più nulla.
I primi tempi, scrivevo lunghissimi (e inutili) riassunti all’inizio del capitolo. Ora ho capito che non è necessario spendere troppe parole. Il lettore è intuitivo: se io gli mostro il cambiamento con qualche dettaglio sparso qua e là, può colmare da solo i propri gap.
Anche lo show don’t tell, però, ha i propri limiti e va usato con saggezza, pena il rischio  di allungare troppo il brodo penalizzando la trama. Sto imparando a tenere a bada la penna. Mi domando cosa il lettore debba assolutamente sapere ai fini di una buona comprensione della storia e mi limito a evidenziare tali aspetti, trascurando il superfluo. Che fatica, però, per chi ha la tendenza a essere prolisso!

Scene sentimentali o erotiche.
Il romanzo che sto scrivendo non è un rosa, né un chick-lit: la storia d’amore fra i due protagonisti è fondamentale ai fini della loro evoluzione personale, ma si contende la scena con altre tematiche importanti. Quindi per raccontarla bastano poche scene, purché siano funzionali alla trama ed evidenzino al meglio il carattere dei personaggi coinvolti, nonché le dinamiche che si instaurano fra loro.
La mie difficoltà con i brani di questo tipo dipende da un maledetto terrore del cliché. Non mi piace mostrare l’amore con toni da commedia americana perché non c’entrano niente con l’intento del mio romanzo, né con il modo di essere dei miei ragazzi, entrambi restii a esprimere i propri sentimenti.
Vorrei trovare una strada personale per parlare d’amore e far sì che le azioni dei personaggi contino più delle loro parole. Vorrei dimostrare che anche una squallida banchina della metropolitana può riempirsi di poesia. Però è un gran casino: per inventarsi nuove efficaci modalità rappresentative ci vuole una competenza che ancora non ho, sebbene stia cercando di svilupparla.
Nel mio romanzo non ci sono scene esplicitamente erotiche stile Cinquanta Sfumature, mi limito a qualche momento un po’ hot. Quando le scrivo provo un imbarazzo di fondo che le rende artificiose e… brutte! Sono proprio brutte! Eliminarle del tutto danneggerebbe la storia, devo quindi trovare il modo per affrontarle con semplicità. Se si trovano le parole giuste, per trasmettere un messaggio sono sufficienti poche righe: la cosa difficile è trovarle!

Emozioni negative troppo forti.
Ciascuno dei miei personaggi ha un’emozione negativa dominante che blocca la sua evoluzione. Il mio scopo è quello di far sì che il lettore assuma su di sé questo malessere, lo condivida e, soprattutto, ne comprenda fino in fondo l’origine.  Non c’è cosa che odio di più, nei romanzi che leggo, dei personaggi dalle reazioni inspiegabili.  E, senza empatia, la storia annoia.
Vorrei preme il piede sull’acceleratore dell’emozione, ma sono un po’ bloccata. Ricordo quante volte ho dovuto scrivere una scena in cui il mio protagonista, incapace di contenere la rabbia, è talmente disperato che prende a pugni una porta a vetri … La prima bozza era semplicemente ridicola!
Anche se la serie “emozioni al microscopio” di Grazia mi ha molto aiutato (spero che arrivino presto altri post!) con questo tipo di scene ho un problema di fondo: la paura di farmi travolgere dalla negatività.
Vorrei essere un semplice osservatore esterno ma non riesco a staccarmi completamente dai miei personaggi. Le loro paure sono le mie. Se parlo di odio, di rabbia e di paura è perché ho sentito più volte il loro sapore amaro. Ora, anche l’olezzo che emanano mi fa venire la nausea. Forse inconsciamente cerco di tenere lontano da me il dolore legato a un passato che non sono riuscita a superare fino in fondo. Se riuscissi ad accettare completamente me stessa, sarei in grado di accettare le ombre dei miei personaggi e a metterle in scena con distacco, oppure assorbirei tali emozioni senza farmi schiacciare.
Anche in questo caso, credo si tratti di esperienza.

Il lancio della patata bollente.

Avete qualche consiglio da darmi per superare queste “bestie nere”? Abbiamo qualche nemico in comune? Quali sono le scene per voi più complicate?

Commenti

  1. Il primo nemico in comune sono senza dubbio le parolacce. Io, l'ho scritto più volte anche nel mio blog, sono dell'idea che il linguaggio letterario possa fare a meno del 90% delle parolacce usate nel quotidiano senza che i dialoghi risultino per questo irrealistici. Per quel che mi riguarda uso le parolacce il minimo indispensabile, solo dove sento che la loro assenza indebolirebbe troppo l'efficacia di quel che voglio esprimere.
    Sulle scene erotiche, e nel mio Shaula ce ne sono molte, ho dovuto in effetti lavorare un bel po' per farle uscire come volevo che fossero. Adesso quando le rileggo non avverto più le asperità che avvertivo nelle prime revisioni.
    Veramente difficile da scrivere per me è stata poi una scena del libro che ripete in parte una scena simile presente in un romanzo-diario italiano degli anni settanta. Sono stato consapevole fin dall'inizio della ripetizione e anche tentato di sostituire la parte con un'altra di mia invenzione. Ma questo sarebbe andato contro uno dei principi fondamentali che ho posto alla base del mio romanzo e alla fine ho lasciato tutto com'era. Ne parlerò più nel dettaglio in un mio post che uscirà tra non molto.

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    1. Non disdegno il ricorso seppur moderato alle parolacce ma ho serie difficoltà con i gerghi giovanili. Hai presente il personaggio di zelig pino dei palazzi? Vai a vederlo su YouTube...
      Ecco! Non avrò mai un personaggio così. :-D

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  2. Capisco benissimo la tua titubanza di fronte al dialogo di un gruppo di giovani maschi; io avrei lo stesso problema inverso con un gruppo di giovani donne. Non saprei cosa consigliarti al riguardo, tranne: evitale, se non riesci a trovare un sistema. Io stesso non saprei come fare e, infatti, di giovani donne i miei racconti difettano.

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    1. Io sto cercando un sistema proprio perché la storia parte da lì, però sto cercando di fare in modo che i personaggi crescano il prima possibile. :)

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  3. Credo che ci farò un post anch'io: è proprio un bel meme! Posso anticipare che le mie difficoltà sono affini alle tue. Non ho mai avuto tra le mani personaggi ventenni poco acculturati. Oscillo tra l'adolescenza (li vedo a scuola, quindi ho un'idea sin troppo chiara di come parlino) e l'età adulta. Per quanto riguarda gli adulti, i protagonisti sono quasi sempre persone di ampia cultura, peccando di ipernozionismo mi sarebbe difficile fare altrimenti. Certo, ci sono anche i cafoni idioti, ma rimangono in scena per un tempo limitato e la realtà quotidiana mi dà fin troppi spunti...

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    1. Il mio protagonista è una mosca bianca nel suo quartiere, infatti decide di allontanarsi e riprendere gli studi abbandonati. Tuttavia l'ambiente di origine, nella prima parte del romanzo, funge da antagonista perché lo riporta indietro attraverso diverse situazioni. Nemmeno a me piacciono i personaggi ignoranti : non riesco a immedesimarmi nel loro linguaggio, anche se facebook potrebbe essere un'ottima fonte di ispirazione. ;)

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  4. Io ho avuto enormi difficoltà nelle scene descrittive di paesaggi o di luoghi specifici. Ho dovuto lavorarci molto, la stesura finale del mio romanzo ne ha risentito perché si è reso necessario rivederlo più e più volte. C'è sempre da imparare, quando uscirà non sarà un punto di arrivo, ovviamente, ma una partenza. Per il resto, piccola nota scherzosa in merito alla tua osservazione sul tipo ubriaco di vodka, da frequentatore giovanile di bettole da angiporto ti posso garantire che le disquisizioni più profonde e dotte le ho ascoltate da personaggi dell'underground con in corpo litri e litri di grappa o vino.

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    1. Con le descrizioni me la cavo piuttosto bene di solito. E qui mi hai dato l'idea di scrivere un post sulle scene facili...
      Vero che spesso l'alcool tira fuori discorsi interessanti, ma bisogna sempre usare termini adatti. Quel discorso che avevo scritto era degno di qualche guru buddhista! :)

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  5. Io ritengo che quando scriviamo qualcosa che non ci appartiene le parole che usiamo tradiscono la nostra scarsa dimestichezza con quell'argomento e, alla fine, se non siamo abbastanza bravi a mascherare questa forma di incompetenza, il lettore si accorge dell'innaturalità della scena descritta. Poi la troppa immedesimazione nel tipo di linguaggio rischia di togliere forza al narrato, nel tuo caso fai più che bene a moderare l'uso di parolacce o di formule gergali tipo quel "minchia oh" cui facevi riferimento!
    Le scene erotiche non sono il mio forte: una volta ho provato a raccontare un sogno (non mio) su richiesta dell'interessata, ma abbiamo finito per ridere come matte per ore: quel brano è ancora conservato (non si sa mai, può essere utile per esercitare qualche oscuro ricatto :P)

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    1. In alcuni paragrafi forse dovrò togliere qualche parolaccia perché sono troppo pesanti. In ogni caso, ora che conosci le mie difficoltà se vedi qualche stonatura dimmelo.
      Per le scene erotiche... beh... sarai la prima a leggerle in quanto cavia, e già sono in imbarazzo ora. :)

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  6. Anche io sono in imbarazzo con le scene erotiche, mi è difficile in particolare renderle particolareggiate senza scendere nel volgare (cosa che non voglio, visto che le mie scene vorrebbero avere un che di romantico). Va invece un po' meglio (spero) per le scene di semplice affetto, che in fondo sono poche e brevi, e di sicuro non sono il centro del romanzo. Per quanto riguarda le parolacce, io invece ne uso parecchie, ma credo che non potrei fare altrimenti: il mio protagonista è uno spacciatore, quindi sarebbe abbastanza assurdo che parlasse come un professore dell'Accademia della Crusca :D .

    Comunque, io ho un po' di difficoltà con tutte le scene più statiche, in cui do informazioni o cerco di fare una descrizione un po' più lunga del normale. Cerco sempre di limitarle al massimo, perché ho sempre paura che, al contrario di quelle in cui si agisce, io non riesca a renderle efficaci, ma sono solo noiose. Magari è solo un'impressione mia, ma comunque trovo più facilità nello scrivere eventi lineari che non parti riflessive o descrittive :) .

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    1. Io invece sono bravina sia con le descrizioni sia con i flussi di coscienza. L'unico problema è che mi dilungo troppo. O forse non è un vero problema, perché si può sempre tagliare. :)

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  7. Personalmente sono in grande difficoltà quando si tratta di "prendere tempo". La scrittura di racconti brevi mi ha molto allenato ad arrivare subito al nocciolo della questione, nel romanzo invece quello che con un termine forse troppo negativo chiamerei "allungare il brodo" (pensiamo però a questa cosa in termini positivi) è qualcosa che faccio con fatica. A volte devo tornare sui miei passi e riscrivere anche interi capitoli.

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    1. Ciao Ryo, benvenuto! :)
      Un po' ti invidio, perché io ho difficoltà a essere sintetica e tendo a dilungarmi troppo. Proprio per questo motivo, non mi piacciono i racconti brevi. Ne ho scritti pochi e letti ancora meno. Ognuno ha le sue croci!

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    2. Se scrivi troppo basta munirti di mannaia e scagliarti contro pile di fogli inermi :D

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  8. Sono in effetti tutti punti delicati e difficili da "districare". Nella mia esperienza di narratrice, per farti alcuni esempi, sono stata attentissima a non scendere in banalità, quindi nei dialoghi ho cercato uno stile consono all'epoca, al carattere, agli usi. Le scene sentimentali possono essere davvero scadenti se non il tipo di tessuto narrativo non giustifica qualcosa di esplicito. Bukowski ad esempio può permettersi quello che vuole, non è fuori luogo. Sul salto temporale, colmarlo non è semplice e noi donne pecchiamo spesso di certa ridondanza perché convinte che si debbano per forza colmare tutti i vuoti. Spesso invece non è affatto così, e oggi più che mai l'essenziale è sempre una buona soluzione.

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    1. La difficoltà é proprio quella di mantenere la coerenza con il periodo di riferimento. Il fatto che queste scene siano ambientate quindici anni fa rende ancora più difficile questo lavoro. Però che dire? Ho voluto la bicicletta e ora pedalo. Professionalità vuol dire anche questo. :)

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  9. È difficile dare consigli. Cerco di stare distante dalle banalità, dai luoghi comuni. Per me i dialoghi sono la parte più importante, il vero volto della storia. Spero di costruirli evitando sciocchezze. Adeguare il tono alla cultura del personaggio? Sì, ma mi è capitato spesso di leggere storie dove i dialoghi non erano "adatti" al personaggio, eppure filavano. Le scene dove ci sono delle liti, le riduco all'essenziale, niente descrizione, qualche punto esclamativo, e via. Le scene erotiche? Descrivo quello che fanno, e basta. Non so se poi siano davvero efficaci (ce n'è qualcuna nella prossima raccolta); magari fanno solo ridere.

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    1. Le liti mi vengono abbastanza bene se non vado a finire nel melodramma. :D
      Devo contenermi perché ho la tendenza all'esagerazione. :)

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  10. Le tue scene difficili spaventano anche me, specialmente i dialoghi tra giovani adolescenti, anche perché lo slang cambia continuamente e quel che era "cool" il mese scorso adesso può suonare da sfigati. Dovrai andare a pescare i modi di dire che usavano a quei tempi, non potrai nemmeno usare quelli odierni. Non ti invidio..
    Anche le scene sentimentali e erotiche non sono il mio forte. Ne scrivo poche, controvoglia, e quando le rileggo scuoto la testa sconsolata.

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    1. Bentornata! :)
      Di modi di dire ne uso pochissimi. Cerco più che altro di buttare qualche espressione qua e là, ma se il dialogo non suona naturale la cancello. Forse è meglio essere meno coerenti ma più eleganti.

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  11. Scene erotiche e battaglie, vade retro! Ma è anche difficilissimo rendere lo stesso personaggio a età diverse. In un romanzo mi è capitato, ma ero facilitata dal fatto che la protagonista era adolescente nella prima parte e adulta con figlio nella seconda. L'adolescenza ha caratteristiche abbastanza precise e afferrabili, e il contrasto tra le due versioni è forte. Lo stesso personaggio a 25 e 40 anni, invece... non saprei definire bene la differenza, credo.

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    1. Fortunatamente io non ho difficoltà a evidenziare i cambiamenti dei personaggi nel corso del tempo. La storia inizia quando hanno vent'anni e finisce intorno ai trentacinque/trentasei però, al di là dei mutamenti contingenti nel modo di pensare e di fare, agli smussamenti di angoli dovuti alla crescita e alla loro evoluzione spirituale, la base caratteriale resta coerente. I problemi più seri sono altri. :)

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  12. In comune abbiamo le scene erotiche :)
    Il gergo non piace nemmeno a me, un po' per i tuoi stessi motivi e un po' perché è regionale, quindi alla maggior parte delle persone non arriverebbe il senso. Potresti creare un tuo gergo, ricalcando quello attuale ma rendendolo più comprensibile.
    Di certo anche l'età delle persone è un problema, che si pone per qualsiasi epoca.

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    1. Sì è quello che sto facendo, però ammetto che non è assolutamente semplice. In revisione forse interverro' in modo più profondo e adeguato. :)

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  13. Ho risposto prima a Tenar, per cui alcuni commenti e controcommenti li trovi là! :-)

    Riassumendo, le mie scene più difficili sono le scene di battaglia o comunque d'azione pura, e le scene di tortura particolarmente efferate. Stranamente non ho problemi con le scene erotiche, nemmeno con quelle a carattere omosessuale. Cerco però di non essere troppo esplicita per non cadere nel ridicolo.

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    1. Per fortuna le mie storie sono ambientate ai giorni nostri : anche io avrei difficoltà con battaglie e torture. :)

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  14. Anch'io ho più difficoltà con le scene erotiche e non amo molto le parolacce, invece credo di cavarmela meglio con le descrizioni introspettive dei personaggi.

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    1. Anche io me la cavo con i pensieri dei personaggi e le descrizioni in generale eccetto quelle fisiche che mi sembrano sempre grossolane :)

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  15. Al primissimo posto le scene d'azione: combattimento oppure azione veloce. Difficilissimo trovare l'equilibrio tra velocità e descrizione efficace. Se sei nella testa di un personaggio che partecipa alla scena, è plausibile che 'sto poveraccio non capisca cosa sta succedendo perché accade troppo in fretta... ma tu al lettore lo devi dire.
    Al secondo posto le scene erotiche, ma lì si può allegramente uscire dalla camera da letto, chiudere la porta e riprendere dal mattino dopo :)

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    1. Come ho scritto anche altrove, per fortuna di scene d'azione io ne ho pochissime. :)

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