I 7 pilastri della scrittura consapevole - Autenticità (2)


Il privilegio di una vita è diventare chi sei veramente.
(Carl Gustav Jung) 

La finestra sul Festival della Letteratura e delle Arti ha fatto slittare la seconda parte dell’articolosull’autenticità. Ma oggi sono qui, e non è più il caso di rimandare.
L’articolo precedente si chiudeva con questa citazione:

Noi Scrittori Consapevoli abbiamo bisogno di rilasciare in particolare le nostre convinzioni riguardo all’autore che pensiamo di dover scrivere e agli argomenti di cui pensiamo di dover scrivere. Abbiamo bisogno di seguire la nostra vocazione interiore e di scrivere ciò che allieta il nostro cuore, per poi condividere la nostra opera con il pubblico in modi che davvero siano autentici per la nostra anima. (p.55)

Raggiungere uno stato di totale onestà verso se stessi e verso gli altri non è semplice. Prima di essere autentici nella scrittura, dobbiamo imparare a esserlo nella vita. Quanti di voi ci riescono? Sia chiaro: non dovete dirlo a me, non sono qui per giudicarvi o mettervi il voto. Sono sicura che, nel silenzio della vostra coscienza, riuscirete a trovare la risposta. Se avete difficoltà, i punti sotto elencati possono esservi d’aiuto. Michael Kernis e Brian Goldman hanno infatti individuato quattro componenti dell’autenticità. Eccole:

1 – Consapevolezza di sé, delle proprie motivazioni, emozioni, preferenze e capacità;
2 – Chiarezza nel comprendere i propri punti di forza e le proprie debolezze;
3 – Comportamento coerente con i propri valori, anche se si rischia di esser criticati o rifiutati;
4 – Vicinanza nelle relazioni, ovvero onestà e apertura verso gli altri.

Se una sola di queste qualità viene a mancare, l’autenticità è compromessa. Io non sono in grado di entrare nel merito della consapevolezza di sé. O meglio: posso parlare della mia, non della vostra. Entrare in un campo così intimo, mi sembrerebbe una violenza. Gli altri tre punti invece sono percepibili agli occhi di un lettore attento e un po’ sensitivo, anche se nascosti dietro una maschera di tracotanza, ostentazione e pomposità.

CONFUSIONE
Mi è capitato molto spesso di esprimere opinioni sugli scritti di altri autori. L’ho fatto perché mi era stato chiesto, ma non sempre il mio parere è stato accolto di buon grado. Sia chiaro: non pretendo di aver la verità in tasca. Il mio pensiero è quello che è. Un pensiero, appunto. Proviene da un essere umano, quindi è fallibile. Forse però, dopo aver mandato un testo a qualcuno affinché lo leggesse, varrebbe la pena interrogarsi sul senso delle sue parole. La qualità fondamentale di un autore, secondo me, è la capacità di auto-valutarsi. Per riuscirci è necessario fare spazio nella mente, abbandonare i preconcetti e osservare le nostre azioni come se fossimo semplici testimoni. So che non è facile. La mente giudica. È programmata per farlo. Sfiorare appena i propri pensieri, senza sviscerarli come se fossero sul tavolo di un chirurgo, è considerata roba per guru illuminati. Oppure, per dementi incapaci di formulare un opinione. Ma è così importante? Formulare un opinione, intendo. Tirare fuori giustificazioni, preconcetti, alibi. Non sarebbe molto più semplice, e anche più utile, porsi delle domande? Certo. Ma è anche pericoloso, perché rischia di far crollare ogni nostra illusione. La verità fa male. Prendere coscienza di non essere dei bravi scrittori, fa male. Comprendere che per diventare professionisti dobbiamo ancora lavorare tanto, fa male. E anche guardare in faccia le nostre ombre, i nostri limiti. Però, accettare i propri temporanei fallimenti senza nascondere la testa sotto la sabbia e senza incolparsi è il presupposto per una crescita artistica formidabile, è la caratteristica che sancisce la differenza tra uno scribacchino e uno scrittore. Lo scribacchino pretende che la gente si interessi ai suoi scritti solo perché è stato lui a scriverli. Lo scrittore invece si accontenta di far sentire la propria voce. Non è focalizzato sul risultato, ma sul processo. Si mette in discussione, e migliora di giorno in giorno.

INCOERENZA
Conosco molto bene la dinamica, perché in passato l’ho vissuta più volte. Scriviamo di getto per due ore, con il cuore frantumato e le lacrime che gocciolano sulla tastiera. Tiriamo fuori tutto ciò che abbiamo dentro senza preoccuparci di essere politicamente corretti: in quel momento abbiamo bisogno di dire la verità e lo facciamo come se fossimo rivoluzionari sessantottini. Non temiamo il giudizio. Non temiamo ripercussioni, né il disprezzo del Sistema. Non ci importa nemmeno che qualcuno ci capisca: più che un esercizio di scrittura, questa è psicoterapia. Poi però decidiamo di rileggere le nostre parole, e lì nascono i dolori.
Questo termine non va bene, qualcuno potrebbe fraintendere: mi hanno strappato i sogni dalla testa. No, sembra un horror. Meglio scrivere ho smesso di sognare, è molto più pacifico. E non posso affermare con tale decisioni che gli impiegati delle multinazionali sono come gli schiavi nelle piantagioni di cotone. Cancellalo, su. Oh, lì ho scritto porca puttana: cosa penserà la gente di me? Il protagonista sta andando in ospedale dalla madre morente, ha appena bucato una gomma ed è rimasto bloccato in mezzo al nulla, sotto un acquazzone, con il cellulare scarico, però perbacco va bene. È più rispettabile, vero?
Certo. Rispettabile. Irrealistico. E noiosissimo.
Come quegli scrittori che trasformano un bacio romantico in un appuntamento con il commercialista. Quelli che mentre descrivono una sana trombata tra i due protagonisti pensano alla zia ottantenne, alla maestra delle elementari, e si bloccano.
Ogni volta che l’insicurezza ci fa fare un passo indietro, il nostro scritto perde un po’ della propria energia. Ma noi cosa vogliamo? L’approvazione degli altri, oppure essere onesti con i lettori? Essere accettabili, o scrivere testi che ci appartengono davvero?
La maggior parte degli scrittori risponderebbero con la seconda opzione, però pochi riescono a prestar fede a tale principio. Sanno di tradire se stessi, ma accampano scuse. Qualcuno potrebbe non gradire. Gli editori preferiscono i romance ai thriller. Chissà cosa penserebbero di me. E tu? Cosa pensi di te stesso? Non credo che tu abbia una grande autostima, se consideri la tua voce così poco importante. Una persona che rispetta se stessa, accetta di fallire e accetta le critiche. È l’ego che ha bisogno di mostrarsi forte: l’anima sa di esserlo, pur nella sua fragilità. Forse credi che nella vita nessuno abbia mai sbagliato. Che nessuno abbia mai lasciato l’auto in divieto di sosta, si sia ubriacato, abbia visto la morte in faccia, magari una morte auto-provocata. Però la perfezione non esiste. Non sei perfetto tu, e non lo sono i tuoi personaggi. Quindi, lasciali liberi di sbagliare, e descrivi i loro errori con tutta la cattiveria di cui sei capace. Nessuno penserà male di te. Anzi: la tua profonda umanità sarà apprezzata più della maschera di perbenismo che sfoggi con tanta sicurezza.

IPOCRISIA NELLE RELAZIONI
Nell’era digitale lo scrittore non può prescindere dal web, quindi deve abbandonare l’archetipo dell’intellettuale isolato dal mondo e creare una vetrina. Qui si qui si scatena una lotta all’ultimo click. Anche nella blogosfera mi sono sempre trovata bene, non ho mai polemizzato e non mi sono mai imbattuta negli analfabeti funzionali che proliferano su Facebook, qualche mese fa ero andata un po’ in crisi, a causa di alcuni individui che sgomitano per un po’ di visibilità e sono disposti anche a prendere in giro la gente pur di ottenerla. Proprio come nel mio ufficio. Esempio numero uno: i commenti di scambio. Non li ho mai sopportati. Io scrivo a te e tu scrivi a me. Per quale motivo? Io seguo il tuo blog se i contenuti che proponi mi interessano, commento se ho qualcosa di interessante da dire, faccio entrambe le cose se ne ho tempo. In questo periodo, pochissimo. Infatti qui da me le interazioni sono lievemente calate. Pazienza: coloro che sono rimasti, nutrono un sincero interesse nei confronti dei miei scritti, e la cosa non può che farmi piacere. Vi rivelo un segreto: se qualcuno finge di leggere il post e commenta solo per farmi vedere che c’è, io me ne accorgo. E questa cosa non mi piace. Non lo considero un favore, solo un atto di ipocrisia del quale non ho bisogno.
Vogliamo poi parlare dell’iniziativa #imieiprimipensieri? Ormai sono passati mesi e voi avete s,esso di partecipare, quindi posso dirlo, senza rancore: mi sono accorta che qualcuno ha revisionato il post. E non sto parlando di Tenar, che era giustificata, ma di chi non ha compreso il senso dell’esercizio, ed è andato a caccia di complimenti, guadagnando anche un paio di backlink.  Non era quello lo scopo della mia idea. Io desideravo solo proporvi un metodo di lavoro che mi ha aiutato moltissimo nell’eliminazione delle censure. Era un gioco creativo, e mi sarebbe piaciuto farvelo percepire come tale, invece c’è stato addirittura chi ha impostato i paragrafi SEO, per non perdere l’indicizzazione su google. Ma è arte questa qui? No. Lo è stata quella di chi si è messo in gioco lottando contro la propria tendenza a rileggere e cancellare ogni frase (Marina, Maria Teresa, Mattia, Nadia), chi ha personalizzato l’iniziativa riportando gli appunti per un racconto (Barbara) o chi si è umilmente tirato indietro, perché non si sentiva pronto. Non dico queste cose per fare la maestrina. Io da questa iniziativa non guadagno nulla. Continuo a portarla avanti da sola, perché mi fa bene, e amen. Però pensavo potesse aiutarci a togliere la maschera. Credevo che dalla verità non potesse venir fuori che qualcosa di buono. E lo credo ancora: adesso che ho parlato di autenticità, si potrebbe riprovare: cosa ne dite? Forse dovremmo ricordarci che siamo persone, e non solo numeri all’interno della rete. Che non siamo qui per giudicarci, ma per conoscerci e interagire.
Io vi voglio bene, ragazzi miei, sappiatelo. Con me non avete bisogno di fingere.  

La prossima puntata
1600 parole: meglio chiuderla qui: avrei voluto concludere qui l’argomento autenticità, ma preferisco affrontare il tema della voce autoriale la prossima volta. Questo perché voglio darvi la possibilità di assimilare bene questi concetti, per rendervi pronti ad affrontare l’esercizio proposto da Julia Mc Cutchen. Intanto, non abbiamo fretta.

Il lancio della patata bollente

Non ho domande. Libere osservazioni sul tema

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Commenti

  1. I miei primi pensieri lo ricordo molto bene, era inverno e lo associo a giornate piene ma luminose, anzi adesso vado a ricercarlo nel mio blog! Non ho capito che senso abbia revisionarlo. Mah. Io in questo periodo mi sto rendendo conto di avere grossi limiti come autrice e sto in qualche modo facendo pace con l'idea di non essere così brava come credevo, hai ragione, fa male, ma sono operazioni necessarie. Un bacio

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    1. L'esercizio dei miei primi pensieri è sempre molto utile, ogni tanto si potrebbe continuare a pubblicare post del genere. Anche io mi metto quotidianamente in discussione. è fondamentale, secondo me, se si vuole migliorare. Un bacio a te

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  2. Grazie per la citazione ^_^

    Sull'argomento in realtà non ho molto da dire. Anche io cerco di essere onesto, sia durante la scrittura sia durante la revisione. E di solito riesco a non auto-censurarmi, anche se forse qualcuno preferirebbe di sì: dopotutto parlare di omicidi e stupri in maniera esplicita non sempre è piacevole per chi legge :D .

    Comunque anche io non sopporto la questione del "do ut des" nei commenti. Anche io purtroppo in questo periodo ho pochissimo tempo, per questo commento molto meno. Ma se qualcuno non mi segue più per questo motivo, meglio così: preferisco avere solo gente davvero interessata al mio blog che persone il cui unico interesse è attirarmi sul loro blog. E io del resto seguo solo i blog che mi interessano, a prescindere che il proprietario mi commenti o no :) .

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    1. Ciao Mattia, non c'è di che. :)

      Io sono un po' talebana per quanto riguarda la questione dell'autenticità, perché penso che si è veramente se stessi solo quando la prima stesura avviene di getto e si revisiona in un secondo momento, con atteggiamento sereno. Questo perché rileggere e correggersi immediatamente porta l'autore a spezzare il discorso e a mettere del mentale in quella che dovrebbe essere una fase puramente creativa. Inoltre la scrittura di getto ci fa dire ciò che davvero desideriamo, senza interferenze esterne. Prendi ieri: ti ho scritto un messaggio per chiederti se potessi scrivere una determinata cosa. Nel tempo che tu hai impiegato a rispondermi, io ho iniziato a scrivere il post, e la scrittura di getto mi ha portato a concentrarmi su un aspetto che mi stava maggiormente a cuore, ovvero #imieiprimipensieri, invece che su sterili polemiche che sarebbero state frutto solo di un malumore momentaneo, e non della "vera me".

      Il commento di un lettore a volte mi serve da promemoria. Nei momenti di caos, non vado spontaneamente sui blog altrui, non per cattiveria ma perché magari mi dimentico. Invece se vedo che tal persona mi ha scritto dico: "oh, guarda, è un po' che non vado a trovarlo". Non lo faccio per una logica di scambio, ma perché mi fa piacere. :)

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  3. Di fatto si tratta di andare oltre i nostri limiti, non tanto personali, quanto proprio di esseri umani. Voglio dire, i punti che hai citato sono giustissimi, ma anche estremamente difficili, proprio perché l'essere umano è pieno di contraddizioni e spesso si propone una cosa e fa l'opposto. Ciò nonostante, dovremmo davvero tendere all'autenticità il più possibile. Anzi, ti dico che queste parole le ho sentite molto mie, a livello di propositi interiori di questo periodo.
    Vorrei anche tornare sull'esperimento #imieiprimipensieri molto presto, di certo merita di essere portato avanti come sfida a se stessi.
    L'ipocrisia nelle relazioni? Terrificante. Condivido in pieno anche il discorso sui commenti di scambio o dinamiche affini nel mondo virtuale.

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    1. Il tuo commento mi ha fatto tornare in mente un discorso fatto ieri con Marina su Whatsapp. Il senso, più o meno, è questo: siccome la scrittura riflette la nostra personalità, a volte per modificare qualcosa nella nostra scrittura siamo costretti a fare un passo indietro, e modificare qualcosa nella nostra vita, cosa assolutamente non facile. Per esempio, una scrittura insicura può riflettere una personalità insicura, quindi l'individuo è chiamato prima a rafforzare sé stesso, poi a mettere questa forza nella scrittura.

      Quando vuoi riprovare #imieiprimipensieri sei la benvenuta. :)

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  4. A me dispiace essere poco presente, ma per vicissitudini che vanno a sommarsi con impegni vari mi riduco ad avere sempre meno tempo. Quindi ti leggo, ti seguo ma mi paleso meno. Condivido molto di quanto hai scritto, per me scrivere di getto è liberatorio e molto più facile che costruire a tavolino nella speranza di ottenere riconoscimenti e risultati. Diciamo che mi è più affine e sto sperimentando che aiuta anche nella vita vera. Perché scrivere è solo il primo passo, poi quanto scritto lo devi anche veicolare con le parole e lì davanti a persone reali non puoi stare a pensare a ogni singola parola, soppesandola, andandola a cambiare con silenzi alla Celentano. Lì devi connettere il pensiero fluente e trasformare ciò che hai dentro con ciò che deve arrivare a chi ti ascolta. Se non sei sincero da subito, se non sei coerente con te stesso prima o poi cade la maschera. Si tratta di mostrare coraggio, coraggio di essere fragili, imperfetti e umani, non per essere esempi ma semplicemente simili.

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    1. Anch'io ultimamente sono poco presente, perché paradossalmente da quando sono in part-time ho molto meno tempo di prima. Quando lavoravo a tempo pieno (anche se non è molto carino dirlo) usavo molto i tempi morti in ufficio, che erano spesso più di quelli "vivi".

      Per quanto riguarda la seconda parte del post, sono pienamente d'accordo con te. Io mi accorgo quando la persona davanti a me porta una maschera, quindi cerco di non indossarne mai. :)

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  5. Io ho trovato intrigante buttarmi sui miei primi pensieri, però molto difficile. Mi sono infatti misurata con una metodologia opposta alla mia, più orientata verso il secondo punto che hai trattato qui. Scrivo, correggo, vado avanti, torno indietro, è un tiramolla continuo che dà i suoi frutti però strema non poco e, in termini di quantità di lavoro, non garantisce grandi passi in avanti. Non mi sento a mio agio, tuttavia, a "sbagliare" e a insistere nello sbaglio per non fermare il flusso creativo. Paradossalmente il flusso si blocca proprio quando rileggo tutta una serie di stonature che spengono la mia ispirazione. Poi, alla fine, sì fanno prove finché non si trova l'abito adatto da indossare quando si scrive, perché scrivere è un fatto personale, che dipende da tanti fattori: è giusto capire che strade siamo portati a prendere, cercare quella consapevolezza che ci eviti la confusione.

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    1. Io ho provato a lavorare con il tuo metodo, e ricordo che per me era un po'stressante. :-)
      Scrivere non mi divertiva più. Poi ho deciso di tornare alle origini, e qualcosa è cambiato. Con il romanzo "vecchio" avevo trovato un buon compromesso: rileggevo il testo alla fine del capitolo aggiustando qualcosina qui e lì, ma senza perdere troppo tempo. Ora invece sto scrivendo e basta. La tentazione di tornare indietro è forte (poi ti manderò un audio in cui ti spiegherò bene) però il flusso creativo non si è ancora bloccato, quindi continuo. Ebbene sì: a volte anche a me capita di essere bloccata dalla consapevolezza di non aver fatto le cose per bene, però grazie a dio non accade mai mentre sto scrivendo, ma solo dopo: alla fine di un capitolo, o di una sezione. Se dovessi fermarmi nel pieno di un paragrafo o di una sezione diventerei matta.

      Non capisco invece cosa significhi l'espressione "sbagliare e insistere nello sbaglio". La scrittura non è matematica. Secondo me potrebbe essere questo giudizio a bloccarti, non la scrittura di getto, perché procedere non significa insistere nello sbaglio, ma aggiustare il tiro man mano, senza perdere la connessione con se stessi. :)

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    2. Sì, ho messo il verbo fra le virgolette apposta: non volevo alludere a presunti errori nella scrittura, ma a tutto quello che non suona bene e che dovrà essere sistemato in un secondo momento. Ecco, è il "secondo momento" a mettere in crisi la mia creatività: non riesco ad andare avanti se quella cosa non mi suona subito bene. Che poi il bello è che, magari, proprio quella cosa sarà ritoccata in revisione, però, intanto, nel momento in cui la scrivo, mi piace e questo senso di appagamento mi dà la spinta per camminare tutta contenta.
      È un meccanismo mentale del caspio, lo so, ma proprio non riesco a liberarmene. Non ho gettato ancora del tutto la spugna, eh. 🙂

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    3. Esatto. È proprio il dover toccare parti che magari in futuro non ci saranno più a farmi abbandonare un metodo che a mio avviso non ha nulla di creativo. Quando scrivo per lavoro io cancello e torno indietro, ma vivere la scrittura in modo tanto mentale non fa per me. Tornerei indietro solo se dovessi bloccarmi per ragioni legate al contenuto della storia. :)

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    4. Forse sono inopportunamente arrivato, spero in tempo massimo, ma l'argomento mi ingrifava -molto scurrile lo ammetto ma mi ci piace, ci passa. Infatti volevo dire che quando scrivo vado sempre avanti senza rileggere, mi verrebbe la nausea se lo facessi e smetterei, oltre a perdere il filo o l'ispirazione come dice qualcuno.
      Naturalmente c'è il momento in cui ti accorgi che devi rivedere quel che hai scritto, il cosiddetto momento della riflessione. Allora in breve ti carichi di pazienza e riparti dall'inizio, proprio dalla prima sillaba e senza fare pause arrivi al punto dove ti sei fermato.
      Generalmente ne ricevo una spinta a continuare. Il lavoro di limatura lo faccio alla fine, quando non ho più altro da aggiungere alla mia storia.
      A questo punto vengono a galla i dubbi. Si rilegga una due tre vole, poi si decida. Se c'è qualcosa che veramente stona, la cui presenza nulla aggiunge e si sente che l'eventuale cancellatura nulla toglierebbe al senso della storia, senza mezzi termini si depenni ed amen.
      Ma se qualcosa che sembra di troppo o troppo abbondante fose invece determinante al progetto che si è iniziato e portato a termine meglio lasciare due parole in più che togliere cose che invece ci stanno bene.
      E non dare ascolto ai vari Beppe Severgnini e alla sua teoria "infallibile" del P.O.R.C.O. che io ritengo un solazzo dello spirito. Non ci devono essere teorie: o il testo è buono oppure non lo è. Chi decide? A casa mia decido io. Ognuno si prenda le sue responsabilità. Ciao ragazze, siete entrambe strepitose.
      Per esempio io questo commento non lo riguardo. Se c'è qualche strafalcione godetevelo e fatevici due risate.

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    5. Anch'io ho un metodo simile al tuo, e devo dire che le riletture "a freddo" aiutano a migliorare il testo senza mettere troppo mentale, c'è un clima emotivo completamente diverso. Io mi trovo bene con questo metodo, anche se è necessario mettere ben chiaro con i beta che la prima stesura non può avere valore letterario, è poco più che una bozza.

      P.S. Tu non sei mai inopportuno, e i post non hanno data di scadenza. :)

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  6. Il punto per me più interessante di questa discussione è la riflessione che fai intorno all'autenticità dell'autore, argomento a me molto caro. Non esiste a mio avviso autore auténtico che non abbia vissuto questa caratteristica nella sua vita quotidiana e che non la stia vivendo nel momento esatto in cui scrive. Noi scriviamo quello che siamo.
    Investire sulla consapevolezza di sé è investire sulla forza della propria scrittura... Brava Chiara, un bellissimo articolo

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    1. Grazie per i complimenti. Hai ragione, è proprio come dici tu: noi portiamo nella scrittura ciò che siamo nella vita, quindi se uno finge nel quotidiano potrebbe avere difficoltà a togliersi la maschera quando scrive.

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  7. I miei primi pensieri è stato un esperimento interessante che ho fatto solo una volta, mi piacerebbe ripeterlo, magari lo farò, ma deve nascere in me in modo spontaneo. Concordo con il tuo punto di vista in merito alla coerenza della scrittura, mi piace rendere i miei personaggi veri. Spero di riuscirci, ma per fare questo evito termini "rispettabili", nel mio giallo mi sono accorta che ho usato spesso il termine "cazzo", del resto di fronte a un uomo morto ammazzato, ridotto molto male nessuno di noi esclamerebbe "perbacco"...

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    1. Mi hai fatto venire in mente un romanzo di un'autrice che "si vantava" di non aver scritto nemmeno una parolaccia. Secondo me questa cosa non merita menzione di lode. Anche perché il romanzo parlava di un poliziotto quarantacinquenne alla caccia di un serial killer. E sul finale gli ammazzano la fidanzata incinta.

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  8. Uno dei pezzi più 'duri' che ho letto qui :)

    Già è abbastanza ostico l'esame di coscienza, perché quei 4 punti non sono facilissimi da ottemperare al 100%. Anche perché io in realtà sono della scuola per cui ha volte è 'meglio una dolce bugia che una cruda verità'.

    Relativamente ai giudizi: sono connotati alla natura dell'uomo, analizziamo e valutiamo persone, cose, azioni. E' la mentalità con cui si fa tutto ciò che fa la differenza, in particolare se il giudizio è fatto 'per condannare o assolvere' una persona. Ovviamente sto parlando in termini generali, non legati alla valutazione se il testo di uno scrittore sia valido o meno. Per quel che riguarda lo scrittore, è normale doversi confrontare con il giudizio (in primis quello degli editori...no?). Interessante la distinzione tra 'scribacchino' e 'scrittore'. Direi che lo 'scribacchino' non è personaggio necessariamente negativo: magari può essere interessato a far leggere i propri scritti a chi lo conosce; 'leggete e guardate questo aspetto di me o questa cosa che non conoscete'. Ovviamente mi riferisco ad esempio al contesto di blog, perché in un altro contesto assume carattere negativo. Credo che il riferimento, in questo caso, sia il vip di turno che scrive un libro di stronzate perché sa che comunque venderà perché la gente lo conosce come personaggio. Dico bene?

    L'incoerenza: credo che sia il nocciolo dell'autenticità, giusto? Diciamo che il 'censurare' qualcosa, può essere anche un valido compromesso, anche se ovviamente manda a puttane il concetto di autenticità. Poi gli esempi che riporti tu mi sembrano quasi 'casi limite', ma se tu li riporti, deduco non siano casi limite.

    L'ipocrisia nelle relazioni: sono fortemente d'accordo sul fatto che anche sul web siamo persone e dobbiamo esserlo, autentiche al 150%. Non a caso io e te usiamo nome e cognome e foto, altri magari usano nickname, ma non nascondono nome e cognome. Sono nella rete dei blogger da poco tempo, rispetto alla maggior parte di voi, però ho avuto modo di incontrare una bella community e mi fa piacere quando interagisco con persone che prima non conoscevo. Poi se ogni tanto c'è un piccolo compromesso per me non è affatto un peccato grave :)

    Chiudo con un pensiero che esula dall'argomento principale, ma per coloro che cercano di aumentare le visite ai blog..non vorrei sembrare brutale, ma tanto siamo in tema autenticità: ciò che sul web attira tantissimo è il sesso. Non a caso, il post più letto nella storia del mio blog è la recensione di un film horror che è indicizzata in alto quando l'internauta digita su google per la ricerca "(nome attrice) nuda"

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    1. Caro Riccardo, tu scrivi sempre commenti di grande qualità: grazie! :)

      Per quel che riguarda il giudizio, ne esistono diverse tipologie, alcune utili, altre dannose. Anche il puro e semplice discernimento è una forma di giudizio, fondamentale per sopravvivere. Calcolare il rischio di un'azione, mettersi al riparo da una situazione di pericolo, decidere di fare una determinata cosa oppure no, pianificare una sessione di lavoro: sono tutte forme di giudizio, necessarie affinché la nostra vita non sia in balia del caos. Esiste poi però anche un giudizio paralizzante, che non è utile a nessuno, ed è quello che ci porta a categorizzare e a etichettare il mondo. Si tratta di una modalità interpretativa della realtà profondamente limitante, di cui tutti noi siamo al contempo vittime e carnefici. Ed è quello da cui secondo me un artista dovrebbe staccarsi.

      Per quanto riguarda la censura, torniamo qui al discorso sul Jolly e sulle regole. Ciascuno di noi ha la capacità di autoregolarsi e di rendersi conto se un contenuto rischia di oltrepassare le regole del "moralmente consentito". Quello è l'unico caso in cui valga la pena di fare un passo indietro, ma se una persona è integra non si pone nemmeno il problema, ovvero non contempla proprio l'idea di scrivere certe cose. L'autocensura di cui parlo qui è qualcosa di diverso, nasce dalla necessità di essere politically correct e ha dato vita, negli ultimi anni, a una serie di testi che si somigliano un po' tutti. :)

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    2. grazie, troppo buona :). Hai proprio centrato il concetto di giudizio che odio, 'quello paralizzante' : in casa ne ho uno che fa così, mio padre, è veramente una cosa stancante.

      Sulla censura ovviamente tieni conto che non essendo uno scrittore o aspirante tale, non posso certo cogliere in pieno le sfumature su cui (giustamente) ti soffermi.

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    3. *sulle quali ti soffermi

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  9. È strano come a volte la virtualità ci renda più falsi, invece che più veri. Insomma dal vivo presto o tardi la maschera di incrina, invece immaginiamo che tramite il computer, protetti da uno schermo sia più facile far vedere ciò che vorremmo essere e non chi siamo. Io per prima, sopratutto ora che so di essere seguita via blog da dirigente, colleghi e alunni, mi trovo a volte a dosare le parole, anche se sogno una totale aderenza alla mia personalità

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    1. Noi siamo dietro uno schermo, ma ci siamo comunque con nome e cognome. è quindi fisiologico che ci sia un po' di pudore. Io ricordo i primi tempi, quando volevo sparare a zero sulle dinamiche del mio ufficio: volente o nolente ho dovuto tacere, e questo mi ha portato l'implosione. Ora ho capito che tra dirne di tutti i colori e stare zitti esistono tante sfumature. :)

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  10. Ah ah, quindi occhio, ché siamo misurati e pesati! Non vorrei mai che fossimo trovati mancanti, come si dice. ;) Quando scorro velocemente un post e poi dico la mia, non mi sento affatto in colpa. Significa che quel post mi piaceva/interessava fino a un certo punto, ma ugualmente volevo far sapere all'autore che ci sono. A parte questo, secondo me l'autenticità corrisponde a un avvicinarsi progressivo al proprio essere profondo (o superiore, a seconda della direzione che si preferisce). Per la via seguiamo anche mille altri spunti, che comunque contribuiscono alla nostra crescita. Non considero terribili i comportamenti che hai citato. Siamo esseri umani imperfetti, e ci sono tante motivazioni dietro le nostre azioni.

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    1. Io ho parlato di persone che non leggono i post, non di persone che scorrono il post velocemente, ma riescono comunque a comprendere il significato di ciò che si è scritto. è capitato anche a me di farlo, specialmente se si tratta di un argomento che già conosco. In tre anni che ci conosciamo, non ho mai letto un commento fuori luogo scritto da te, né ho mai pensato che volessi far presenza, perché comunque sapevi inquadrare l'argomento, e creare interazione. Inoltre, ho sempre apprezzato il fatto che tornassi a leggere la risposta, magari aggiungendo qualcosa, cosa che non tutti fanno. C'è invece che si limita a scrivere "bel post", e magari dopo mi mette il link al suo blog: ecco, questa è una cosa che a me non piace. è solo sensibilità individuale, forse.

      D'accordo invece per quanto scrivi sull'autenticità. :)

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    2. Mmmh... è difficile considerare commento "bel post"... è dove ti appioppano il link che si svela l'arcano. ;)

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    3. Ma infatti parlo di casi estremi, come l'assurda tattica del follow/defollow. :)

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  11. Le persone sono autentiche sul web tanto quanto lo sono nella vita. Se una persona mente in rete, lo fa abitualmente anche fuori. Anche i cosiddetti leoni da tastiera sono abituati a sbraitare col più debole tutti i giorni, appena gliene viene occasione. Semplicemente in rete l'occasione gli si presenta facilmente.
    Mi fa un po' tristezza quello che è andato a cambiare/revisionare l'articolo per #imieiprimipensieri, tanto la rete ha buona memoria e come l'hai sgamato tu chissà quanti altri. Personalmente mi è piaciuto parteciparvi, ma non riesco a farlo diventare un appuntamento fisso, primo perché ho già una linea editoriale sul mio blog da seguire e ho talmente poco tempo che devo pure fare una cernita su cosa scrivere (se scrivessi tutto, mi servirebbe il tempo del lavoro e al momento non posso).
    Sul calo dei commenti: non sei la sola ad avere poco tempo per commentare. A volte preferisco leggere e non commentare, per avere più tempo per leggere tutti. Poi ci sono argomenti che si prestano al commento ed altri no, quello è fisiologico.

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    1. Io dico sempre che i "leoni da tastiera" sono gli stessi che ti insultano ai semafori. :-D

      Capisco molto bene l'avere troppi argomenti. Anch'io ho tante iniziative da portare avanti e tanti argomenti da affrontare. Cerco di alternarli come posso ma non sempre è facile. Paradossalmente a me ha aiutato abolire il calendario editoriale: sono una persona che scrive molto di più quando è libera di farlo. Ho la mente che funziona al contrario rispetto alle persone "normali": paradossalmente sono più organizzata quando improvviso che quando faccio scalette.

      Idem con patate per la questione dei commenti.

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  12. Penso che questo sia uno dei post più "sinceri" che hai scritto. Forse un po' duro in alcuni passaggi, ma molto vero.

    CONFUSIONE E INCOERENZA
    Sulla scrittura non mi sento mai confuso. So quello che mi piace in uno scritto, sia che sia mio sia che sia di un altro. Se devo lodare lodo, se devo criticare critico. E vale per me come per un altro. Poi è vero che spesso siamo troppo buoni o troppo severi con noi stessi, però ritengo di avere una certa obiettività, anche con me stesso. Sono attento ai giudizi e alle critiche e ne faccio tesoro, anche se non è detto che poi le faccia mie: ciò che scrivo deve piacere in primis a me, altrimenti perderebbe di autenticità. Scrivo ciò che mi pare e ambiento i miei racconti quando e dove mi pare.

    IPOCRISIA NELLE RELAZIONI
    SEO, backlink, indicizzazione... Sai che a grandi linee so cosa siano, ma nella pratica assolutamente no? Ho sempre scritto i miei post senza pormi problemi di questo tipo.

    Sul mio blog è capitato di ricevere commenti un po' così, però io li ascrivo al fatto che non sempre è semplice commentare un mio post. Specie se poi conosco la persona, e so che è schietta. Però capisco cosa intendi: a volte hai l'impressione che si sia data solo un'occhiata al post per farsi un'idea e poi si sia commentato.

    Sul commentare i blog altrui, credo sia anche un modo per dare un saluto e aver cura di un'amicizia. E' un po' come se di due amici fosse sempre solo uno a telefonare all'altro; il secondo a un certo punto potrebbe dire: "però ogni tanto potresti farmi uno squillo tu, no?"

    Mi sento di criticare quanto dici circa il calo di commenti. "Siccome ho meno tempo, commento di meno sugli altri blog, quindi quelli che commentano solo come do ut des sono spariti." Se fai questo ragionamento rischi di commettere lo stesso errore: cioè dai per scontato che la ragione sia quella: magari loro in questo periodo, proprio come te, non hanno tempo o hanno altri casini per la testa. Poi magari invece è proprio quella la ragione, ma non lo puoi sapere e come dicevi non siamo qui per giudicare.

    A imieiprimipensieri non ho partecipato perché non è nelle mie corde e non fa parte dello stile che avevo dato al blog.

    Per il resto vengo sempre a leggere e commentare qui da te, anche quando non mi trovi d'accordo, sia quando avevo un blog sia ora che non ce l'ho più.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Marco, io sono sempre sincera, però non aggressiva, questo non fa parte del mio carattere. Molti associano la sincerità alla brutalità, ma non è così. Se si usano modi gentili, si può dire ciò che si pensa senza turbare e offendere l'altra persona. Un mio amico scherzando dice sempre che io mando a fanculo la gente con il sorriso. :-D

      Per quel che riguarda l'auto-giudizio, io tendo a essere dura con me stessa nei miei momenti bui, e mai troppo indulgente, però credo con il tempo di aver maturato una buona capacità di autoanalisi, che mi porta ad accettare le critiche costruttive con serenità, e a ignorare quelle ingiuste senza rabbia. Parliamoci chiaro: non sempre chi ci critica ha "ragione". Spesso si tratta di un'interpretazione soggettiva, può non aver compreso ciò che volevamo dire o, semplicemente, scaricano sugli altri le proprie mancanze.

      Hai ragione quando scrivi che i tuoi post sono difficili da commentare. Io stessa tante volte ho letto senza scrivere nulla. Vero anche che a volte il commento è un modo per salutare, per farsi sentire con un vecchio amico. Che dire? L'importante è che ci sia onestà. Io ho sempre apprezzato i tuoi commenti perché, per quanto duri, dimostrano il tuo approfondimento dei contenuti. :)

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    2. "Duro" non corrisponde ad "aggressivo" e nessuno dei due sono aggettivi che ti ascriverei. Anzi, potrei dire che alle volte sei persino troppo "morbida" (l'italiano, qui come in chimica, non ci aiuta... meglio i termini inglesi hard e soft... ma preferisco evitare, se posso, gli inglesismi! :) )
      Critiche e giudizi spesso sono un'arma a doppio taglio. Nel senso che criticando e giudicando l'altro in realtà si critica e si giudica se stessi, perchè manca il coraggio o l'obiettività per farlo. Come dicevi a volte la critica (espressa o meno) nasce da un'incomprensione, ma alle volte è fatta a prescindere: non mi piaci tu (per qualsivoglia motivo) di conseguenza anche quanto scrivi non mi piace o non mi interessa.

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    3. Noto inoltre che molto spesso le persone mediocri provano una sorta di gusto perverso a demolire gli altri. Lo fanno per elevarsi. Quindi insistono del dire che "scrivi male" perché così si sentono in pace con la propria coscienza, si convincono che tu non vali niente e si sentono un po' più "fighi" loro. :)

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    4. Esattamente. Ma questo è un qualcosa che va al di là della scrittura. Ci sono persone, che facendo il paragone con la propria situazione, vedono che c'è chi sta peggio e di conseguenza si sentono meglio. Questa cosa di per sè non è male, ma può evolversi in qualcosa di perverso: c'è infatti chi gode nel vedere gli altri che soffrono perché così si sente meglio; in alcuni casi arriva appunto a sminuire gli altri per sentirsi migliore.
      In tedesco c'è un termine che descrive questa cosa: è la "schadenfreude", traducibile come "gioia perversa".

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    5. Fin da bambini ci insegnano a competere. Si fa la gara per il voto più alto, si guardano le scarpe dell'amica, le coccole ricevute dal fratello, ecc. In poche parole, ci insegnano a nutrire invidia. Questo sentimento invece di essere utilizzato come stimolo per migliorare se stessi la maggior parte delle volte giustifica le azioni più becere e meschine. Il primo passo compiuto dagli invidiosi, è la diffamazione. Da lì tutto è in discesa.

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