L'eroe e il suo nemico - tre livelli di rivalità.




Dal tuo vero avversario ti viene un coraggio illimitato.
(Franz Kafka)


Fra le grandi manovre che sto facendo in questo periodo per aggiustare un po’ il tiro del romanzo in corso d’opera, c’è anche il tentativo di ottimizzare il cast e rimpiazzare soggetti inutili con altri un po’ più stimolanti, sia a livello puramente empatico sia per quanto riguarda la loro funzionalità narrativa.
In particolare, sto lavorando su due figure che, entrate nella storia in punta di piedi, hanno tutte le carte in regola per ambire al ruolo di antagonista. Mi servono come l’aria, perché senza un conflitto narrativo adeguato non si riesce a mandare avanti la storia.
Il problema è che, quando la vicenda narrata vuole essere realista, non sempre ci si può basare su archetipi classici. Se i nostri protagonisti sono post-moderni, devono esserlo anche i loro nemici. L’eroe non deve combattere un duello, a mezzanotte dietro la chiesa. E la cattiveria del rivale non si contrappone alla bontà dell’eroe nell’eterna dicotomia fra bene e male, a meno che il romanzo non appartenga ad un genere particolare quale il giallo, il thriller o il noir.
Nel mondo post-moderno, la realtà è filtrata da un punto di vista soggettivo. Le opinioni personali hanno la meglio sulle convinzioni universale rendendo difficile, se non impossibile, riconoscere la verità. Quando ascoltate due persone che litigano sapete sempre dire con certezza chi abbia ragione?
Tutto è relativo, è questo il punto. Il nostro universo sociale è formato da individui che interagiscono mettendo in gioco le proprie luci e le proprie ombre. Sono persone normali, che hanno vite simili ma  obiettivi diversi. O forse l’obiettivo è lo stesso, ma può essere raggiunto soltanto da uno di loro.
La guerra si combatte su un terreno comune; la base del conflitto si fonda su una situazione di sostanziale parità. Ebbene sì, amici miei: buoni e cattivi sono uguali. E questo certamente non facilita la nostra missione: raccontare una storia bella e fare in modo che il lettore parteggi per il protagonista.
Dunque: quali sono i conflitti più diffusi nella nostra epoca?


Il post di Francesca Lia Sidoti dal titolo “Creare il conflitto – da dove nasce il concetto di male”, ha fatto scaturire una riflessione molto interessante, che voglio utilizzare come punto di partenza.
L’autrice spiegava come, al giorno d’oggi, il nemico sia colui che si oppone alle regole dominanti in un determinato contesto o gruppo sociale, generalmente quello a cui il protagonista appartiene.
Immaginate, ad esempio, una versione post-moderna del film “Indovina chi viene a cena”: la protagonista Adele Brambilla porta a casa del padre leghista il fidanzato Ahmed, senegalese. Una situazione affine era presente anche nella prima pellicola di Checco Zalone (“Cado dalle nubi”) e, per quanto banale, può aiutarvi a capire di cosa sto parlando.
Nei commenti all’articolo evidenziavo come il mio protagonista sia in controtendenza, in quanto è proprio lui che si oppone a tutto ciò che gli è stato insegnato, perché ha bisogno di nuovi valori e di nuove risorse. Il suo nemico, però, era più una forma mentis che non un antagonista vero e proprio con due braccia, due gambe, e degli obiettivi da portare avanti. Mi serviva qualcuno che diventasse portavoce di questo modo di pensare, mettendo in evidenza l’opposizione.
Ho quindi deciso di approfondire e valorizzare una comparsa, di cui sto curando la scheda, ma non credo che questo nuovo personaggio sia sufficiente. L’arco di tempo della narrazione è molto lungo e gli obiettivi del protagonista cambiano, evolvono. Un solo disturbatore non basta: me ne servono di più. Anche se le loro gesta non sempre scaturiranno nell’inimicizia vera e propria, potranno generare degli ostacoli molto interessanti sia per me sia per il lettore.
Per portare avanti questa ricerca, ho scavato nella mia realtà quotidiana e nel mio passato. Ho cercato di richiamare alla mente (seppur con scazzo) tutte le persone che hanno cercato di mettermi i bastoni fra le ruote. Mi sono inoltre consultata con alcuni amici, ho ascoltato le loro storie, ho fatto domande e preso appunti, per arrivare a questa conclusione: le dinamiche che alimentano le inimicizie sono sempre le stesse, in tutti i luoghi e in tutti i tempi (stavo per scrivere “in tutti i laghi”, scusate!). A noi postmoderni spetta il compito di attualizzare il concetto, adattandolo alla nostra realtà.
In particolare, ritengo che l’antagonismo si articoli in tre livelli.

Livello dell’essere.
In questo caso il problema è identitario. L’ eroe lotta per affermare se stesso ma non si sente adeguatamente riconosciuto dall’ambiente in cui vive.
Questo ambiente può essere inteso sia a livello micro sia a livello macro. Tutto dipende dal messaggio che vogliamo trasmettere e dalle dinamiche che intendiamo mettere in luce.
Immaginiamo che il nostro protagonista, Marco, sia omosessuale. Ovviamente si sentirà distante da un sistema abituato a concepire il rapporto fra maschio e femmina come l’unico socialmente accettabile.
Se decidiamo di focalizzarci sul livello micro, possiamo indirizzare la nostra attenzione sulla sua famiglia e contrapporlo, per esempio, a un padre militare, sostenitore di un machismo becero e qualunquista.  Oppure possiamo creargli problemi all’interno della squadra di calcetto in cui gioca, nell’ambiente di lavoro o con la fidanzata da cui si sta allontanando.
Se invece ci interessa la dimensione macro, dobbiamo essere in grado di affrontare temi complessi, quali l’omofobia e la discriminazione. Chi di voi si sente pronto? Io sinceramente non lo sono ancora.
In entrambi i casi, l’ avversario sarà una persona che rifiuterà l’identità di Marco e gli negherà il diritto di affermarsi come individuo. In poche parole, avremo a che fare con un antagonismo identitario, ci muoveremo nell’ambito di un conflitto valoriale che avrà, come posta in gioco, il diritto di esistere e di esprimere se stessi senza cadere nella rete di inutili pregiudizi.  

Livello del fare.
La società di oggi si basa sulla prestazione. Lo dice anche la Costituzione: l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Il fatto che poi certi principi non siano applicati è un altro discorso.
 L’antagonismo che si attiva in questo frangente, pertanto, è di tipo competitivo. Fin dai tempi della scuola, il bambino impara che i più bravi sono premiati a discapito degli altri. La logica della gara, inizialmente riservata solo a querelle sportive, successivamente tende a infettare come un virus ogni settore della vita. Che si tratti di primeggiare del lavoro o di avere il corpo più bello (anche dieta e ginnastica rientrano nella sfera dell’azione) ciò che conta, per molte persone, non è semplicemente svolgere bene il proprio compito, ma svolgerlo meglio degli altri.
Ipotizziamo che il nostro protagonista disponga di una buona posizione lavorativa oppure ambisca a ottenerla: non sarà difficile per noi tirare fuori dal cilindro un collega invidioso, un capo attaccato alla propria poltrona o una moglie che si lamenta perché antepone la carriera ai propri doveri famigliari e quindi lo accusa di non fare ciò che dovrebbe, o di non farlo nel modo giusto.
La narrativa offre molteplici possibilità: spetta a noi decidere come gestirle e trovare soluzioni migliori rispetto agli esempi un po’ banali che vi ho proposto per semplicità. Se ci pensate bene, anche l’antagonismo descritto nei “Promessi Sposi” si esternava sul piano del fare, per non parlare delle storie a tema sportivo e di quelle on the road.

Livello dell’avere.
Spesso l’eroe combatte per raggiungere l’oggetto del desiderio, che si tratti di un anello o di un forziere pieno di diamanti. So che dovrei parlare di letteratura, ma in questo momento mi viene in mente il famoso almanacco che Marty Mc Fly cerca di rubare a Biff in “Ritorno al futuro II”.
Nella narrativa post-moderna è molto difficile raccontare questo tipo di antagonismo per due motivi.
Innanzi tutto, i bisogni dominanti nell’era contemporanea sono di tipo post-materialista. L’individuo non vuole ottenere beni tangibili perché li possiede già: desidera realizzarsi, avere una vita gratificante, relazioni sociali solide e stabili, un lavoro creativo. Cosucce da poco, insomma!
In secondo luogo, proprio per il motivo di cui sopra, la sola finalità di ottenere un oggetto risulterebbe limitante per il lettore e renderebbe difficile generare empatia. Immaginate un protagonista che ha, come scopo, quello di comprare una macchina sportiva o, come nel caso del romanzo “Marina Bellezza” di Silvia Avallone, vincere un talent-show… Sinceramente, io cercherei di gufargli contro.
Pertanto, l’ antagonismo possessivo spesso viene trasferito dai beni effimeri alle persone e ai sentimenti. Sarebbe noiosa una storia in cui due donne si accapigliano per un vestito, ma se si accapigliassero per un uomo potrebbe diventare molto stimolante, per un certo genere di lettrici.
Questo tipo di rivalità è molto diffusa nel mondo contemporaneo, come dimostrano molti episodi di cronaca nera, i così detti delitti passionali. Parlando di libri, mi viene in mente “Un giorno perfetto” di Melania Mazzucco: un padre uccide se stesso e i figli perché l’ex moglie non vuole tornare con lui. “Se io non posso avere te, tu non avrai loro”. Complimenti vivissimi, signor Antonio!

Il lancio della patata bollente.

Questo argomento sarà approfondito in uno dei prossimi post, in cui parlerò della differenza fra obiettivi intangibili e tangibili. Ma, prima di redigere l’articolo, voglio compilare la lista di cui Maria Teresa Steri parla qui, perché potrebbe donarmi ulteriori spunti. Considerando i miei ritmi, potrebbe volerci un po’ di tempo. Intanto ditemi: su quale di questi piani agiscono gli antagonisti dei vostri personaggi? E voi avete qualche antagonista? Su quale campo di battaglia scatena le sue mosse? 

Commenti

  1. Il romanzo che sto scrivendo si basa tutto sui conflitti, una serie di conflitti da risolvere per più personaggi, se ne risolve uno e già un altro si affaccia. Ma molto sul quotidiano ecco. Rogne lavorative: la nuova collega perfida (ma sarà davvero perfida?) fidanzata da mollare (sì, no, boh) fidanzata che ritorna, ASL che appioppa una multa per un bagno non a norma in un locale (ricorso, multa ingiusta ecc) discussioni casalinghe di varia natura: moglie/marito lei vuole un cane, lui no. E via di sto passo. Bacio Sandra

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    1. I conflitti quotidiani sono importanti per alimentare una situazione di familiarità, che generi empatia nel lettore. Anche io faccio leva su queste piccole rogne, sebbene mi piaccia anche affrontare argomenti un po' più complessi ... :)

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  2. Bel post, che pone domande complicate.
    Se parliamo dei lavori editi, Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico si gioca sul livello dell'avere, raggiungere per primi un determinato oggetto, di riflesso su quello del fare, dimostrando di essere superiori intellettualmente agli avversari e, in sottotesto quello dell'essere, rimarcare un'alterità di pensiero rispetto alla società per Holmes, riprendere possesso della propria vita per Watson.
    Nella storia a cui ho lavorato l'estate scorsa e che mi appresto a riscrivere, il piano dell'essere è dominante. Entrambi i protagonisti sono dei diversi, a gradi differenti di accettazione e di affermazione della propria diversità. Trattandosi di un giallo il livello dell'avere, in questo caso una verità, è pur sempre importante, mentre è in secondo piano quello del fare.

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    1. Grazie, sono contenta che il post ti sia piaciuto!
      Per il mio personaggio, i conflitti investono tutti e tre i piani. L'essere in quanto non sa chi sia suo padre e quindi vive un'esistenza mutilata, l'avere perché è cresciuto in una situazione di mancanza (economica ed emotiva) da cui cerca di riscattarsi, e il fare perché per ottenere ciò che desidera deve essere libero di agire senza interferenze ... cosa difficile, visto che si sente controllato un po' da tutti. :)

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  3. Ci sarebbe poi un altro "male": quello di persone che trattano la vita degli altri come fossero pedine, provocandone la rovina. Se ne fossi capace, potrei inventarmi una storia del genere, o meglio: sulla vendetta che una "pedina" architetta e porta a compimento.

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    1. interessante. Come chiameresti questo livello? Non lo faresti piuttosto rientrare in quello del fare? :)

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    2. Non credo. Non ci vedo l'antagonismo, ma la volontà di compiere il male e basta, perché si è scelto di fare il male, perché è bello, affascinante...

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    3. Mi piace questo approccio perché io ho sempre ragionato diversamente. Il bene e il male non sono contrapposti, ma due lati della stessa medaglia! :)
      è un discorso che secondo me meriterebbe di essere approfondito.

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  4. Il livello dell'avere non fa per me, però il primo libro che ho scritto era proprio un confronto per vincere e donare l'amore. in quello che sto editando, invece, ci sono diversi personaggi, antagonisti tra di loro in diverse maniere, che si scontrano su tutti i piani :)
    in generale preferisco scrivere di sensazioni ed emozioni: quindi vendette, confronti psicologici su chi sia il più intelligente e cose così :)

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    1. I confronti psicologici per verificare chi è più intelligente non rientrano forse nella sfera della performance ? Secondo me è un tipico esempio di antagonismo competitivo. E anche la vendetta di solito avviene per qualche azione passata, quindi rientra nella sfera del fare :)

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    2. infatti: i livelli del fare e dell'essere sono quelli in cui mi sembra di trovarmi meglio :)
      interessante questa tripartizione...

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    3. Scusa avevo inteso male. Credevo che volessi mettere i tuoi antagonismi in una categoria a parte. :)
      Sono comunque contenta che la tripartizione ti sia piaciuta, anche perché l'ho inventata io. I concetti di antagonismo competitivo e possessivo sono stati esaminati dalla psicologia sociale e io li ho riciclati a scopo narrativo. :)

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  5. I miei protagonisti in gerene sono anche gli antagonisti di se stessi... L'autodistruzione mi stuzzica parecchio.

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    1. Per un racconto può funzionare. Per il romanzo ho cercato di fare una cosa del genere ma poi mi sono stufata perché stava diventando troppo autoreferenziale. Forse dipende anche dal genere.

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  6. Molto interessante questo post perchè parla in maniera molto chiara di una figura narrativa che io adoro tanto ed è l'antagonista. E' vero terribilmente che buoni e cattivi sono uguali ma in passato ho letto alcuni romanzi nei quali all'antagonista veniva dato un ruolo talmente misero da rendere ridicola anche la sua controparte. Ho amato da sempre dare consistenza al "conflitto" di qualsiasi genere si trattasse. Forse perchè in passato ho scritto un fantasy e lì l'antagonismo era per me l'aspetto principale da curare. Quindi ho sempre cercato di sviluppare l'antagonismo su tutti e tre i livelli, anche se mi piace molto creare personaggi che si rivelano i peggiori nemici di se stessi. Insomma questo argomento è uno dei miei preferiti. Bellissima anche la frase di Kafka, quasi a dire onore e rispetto al tuo avversario! O almeno io l'antagonista l'ho sempre vissuto così. :)

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    1. Più l'antagonista é forte più il conflitto é stimolante. :) anche a me piace creare personaggi che si complicano la vita da soli ma in questo momento sento di avere il bisogno di alleggerire determinate situazioni psicologiche accentuando il ruolo dei rivali esterni. Forse sono solo fasi creative :)

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  7. I miei personaggi non hanno quasi mai (tranne rare eccezioni) un singolo antagonista, ma si trovano piuttosto di fronte a un sistema di situazioni consolidate, connivenze e reticenze che diventano una specie di ostacolo generale. Che poi, è anche il mio modo di rapportarmi alla società italiana ;-)

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    1. Anche io all'inizio ero partita in questo modo, però poi mi sono accorta che i disvalori presenti nella società dovevano essere rappresentati in qualche modo. Ci voleva un soggetto in grado di incarnarli per renderli più concreti.

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  8. In generale i miei antagonisti agiscono sul piano dell'essere. Non sono mai il Cattivo della storia, ma sono indotti dai propri problemi e squilibri a "disturbare" il protagonista nel suo percorso. Mi piacerebbe, però, scrivere un meraviglioso fantasy con un potente antagonista, non di quelli di cartone con la risata satanica. E' il mio sogno nel cassetto! ;)

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    1. Mi sembra un bel sogno nel cassetto. E sai cosa mi è venuto in mente? Che non ho ancora scaricato il tuo PDF sui cattivi. Rimedierò!

      P.S.La risata satanica tipo "buahahahahahahahah"? :D

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  9. Interessante questa divisione! In genere mi piace mescolare le acque e sovrapporre i diversi livelli di antagonismo: "X vuole ottenere qualcosa da Y, ma è un becero pretesto per impedirgli di vivere" o cose simili :D
    Il mio antagonista attuale agisce, direi, sul livello del fare. Non gareggia con il protagonista, vuole "semplicemente" impedirgli di fare quello che vuol fare, anche se il motivo di questo comportamento ha le sue radici, direi, nel livello dell'essere, perchè vuole in questo modo rinnegare e spazzare via (dal mondo e dalla propria testa) tutto quello che il protagonista rappresenta.

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    1. Anche io descrivo un tipo di antagonismo che mescola più piani. Il personaggio che sto curando ce l'ha con il protagonista perché si sente rinnegato da lui, quindi non sopporta l'idea che, dallo stesso punto di partenza, riesca ad arrivare molto più lontano. :)

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    2. Stiamo scrivendo lo stesso romanzo XD?

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  10. Non avevo mai pensato a questi livelli d'azione dell'antagonista, anzi in generale l'antagonista per qualche motivo non vuole proprio entrare a far parte della mia memoria a lungo termine.
    Nel mio romanzo l'antagonista sono le regole, quindi in senso lato rientra nel livello dell'essere, anche se il mio eroe non lotta per affermarsi, anzi crede fermamente nelle regole, anche troppo.
    Bello questo post, molto interessante, mi ha fatto riflettere un sacco.

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    1. Grazie Lisa! Mi fa piacere che il post ti sia piaciuto! Anche il mio eroe è nemico delle regole, ma per il tipo di storia che sto raccontando mi rendo conto che la dimensione astratta non è sufficiente. Occorrono personaggi in grado di incarnarle anche a livello fisico. Sto facendo un lavoro di backstage che non ti immagini! :)

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  11. In ciò che ho scritto finora rilevo una regola implicita (non decisa a priori) secondo la quale l'antagonismo tra i protagonisti è sempre la versione microcosmica di un antagonismo che opera a livelli macrocosmici.
    In altre parole, dietro i conflitti fisici e psichici tra i protagonisti si celano conflitti archetipici, di forze che trascendono il livello della nostra realtà.
    Sento quindi necessaria nella mia scrittura una certa contrapposizione tra "bene" e "male" che mi auguro comunque non risulti mai scontata e/o banale.

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    1. La scrittura che usa il particolare per raggiungere l'universale mi piace moltissimo. Bravo Ivano! :)

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  12. Allora, forse, riflettendoci un po' su, sono arrivata alla conclusione che nel mio romanzo (quello pubblicato) il protagonista subisce il condizionamento negativo del pregiudizio: lui è consapevole di avere commesso degli errori che altri non sono stati capaci di perdonargli. Dunque gli antagonisti (sono più di uno) vogliono schiacciarlo sotto il peso di tali pregiudizi e lui prova a venirne a capo per affermare la sua nuova identità. Però è pur vero che il livello del fare non è da sottovalutare: c'è un personaggio che inscena delle finte verità per mettere in difficoltà il protagonista solo perché gli invidia il legame con una donna che vorrebbe per sé.
    Sul campo di battaglia non ho scatenato le forze dell'avere, ma nel nuovo romanzo in corso d'opera... qualcosa bolle in pentola!

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    1. Le finte verità... mi piacciono! L'inganno ha sempre un impatto narrativo molto forte! :)
      Quanto al nuovo romanzo sono proprio curiosa!

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  13. L'antagonista non deve per forza essere un archetipo, la realtà ciu insegna che ogni persona è diversa dall'altra, non rientra perfettamente in un modello.
    Nel mio romanzo l'antagonista ha sete di potere, quindi dovrebbe rientrare nel livello dell'avere. Ma la storia non è ambientata nella nostra realtà.

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    1. Qualunque figura narrativa, secondo me, è a suo modo un archetipo (concetto ben diverso da quello di stereotipo) altrimenti non potrebbe essere riconosciuto e accettato dal lettore. :)

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    2. Sì, ho confuso archetipo con stereotipo :D

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