Scrivo dunque sono - quanto vale la mia libertà di espressione



Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere.
(Voltaire)

A trentatré anni suonati credo che mi farò un tatuaggio. Se vinco la paura del dolore, ovviamente. Come soggetto, ho scelto il sottotitolo del mio blog.

Tutto ciò che ho per difendermi è l’alfabeto.
È quanto mi hanno dato al posto di un fucile.

Questa pseudo-decisione è nata stamattina, mentre riflettevo su alcuni episodi accaduti negli ultimi giorni. Non voglio fare riassunti perché servirebbe solo a farmi incazzare ancora di più. Dico soltanto che, alla base del crollo psico-fisico che lunedì mi ha fatto saltare il post, c’è il concetto che ultimamente campeggia sulla bocca di tutti: la tanto decantata libertà di espressione.

Vi rendete conto di quanta ipocrisia ruoti intorno a questo termine?

Dopo i fatti di Parigi, sono diventati tutti Charlie Hebdo. Tutti. Tutti quanti. Storcono il naso davanti ai soprusi, puntano il dito contro gli estremismi religiosi, citano Voltaire sventolando una filantropia che potrebbe risultare amabile, se non fosse completamente fasulla.
Il diritto ad esprimere se stessi è la bufala più grande che ci sia mai stata venduta dai media e dai potenti. La gente si illude di essere libera di scegliere, perché raccoglie le briciole che piovono dal cielo, gli avanzi di chi davvero ha o ha avuto la possibilità di scegliere il proprio destino.   

Viviamo in un microcosmo provinciale e retrogrado.
I vari Charlie Hebdo tentano continuamente di chiuderti la bocca.
“Io non ho tempo per starti a sentire. Ho la riunione con il presidente. Ho un sacco di lavoro da smaltire. Ho mio padre che mi aspetta di sotto. Ho il gatto con l’influenza”
Qual è il messaggio implicito che si cela dietro scuse di questo tipo?
TU NON MERITI IL MIO ASCOLTO.
Ecco. Questa è la verità. Non ci ritengono degni della loro preziosissima (e costosissima) attenzione, forse perché siamo giovani, o perché siamo donne. O forse semplicemente perché hanno arrotolato i tentacoli intorno alla poltrona su cui sono seduti e temono che tu, possa compromettere la loro posizione con le tue assurde pretese, con le tue nozioni ancora fresche di studi.
Esiste una burocrazia lentissima e pachidermica finalizzata a centralizzare il lavoro nelle mani di pochissimi eletti. E non è la solita retorica sulla casta. È un dato di fatto impossibile da ignorare in un paese in cui il 95% della popolazione cammina a testa bassa, marcia come un soldatino ed esegue gli ordini di chi poi si prenderà tutti i meriti. L’unica possibilità che l’italiano medio ha per condurre una vita serena è accordarsi al gregge, rinunciare ad esprimersi perché intanto non troverà nessuno disposto ad ascoltarlo. Il tempo è denaro e il popolino fa guadagnare poco.

Viviamo in un microcosmo che giudica tutto e tutti.
Giudica come sei vestito. Giudica il numero dei tuoi tatuaggi. Giudica le persone che frequenti e, sulla base di esse, cerca di stilare il tuo profilo psicologico. Giudica le tue scelte. Giudica le tue azioni. E guai a non essere conforme agli standard sociali dominanti, perché cercheranno di metterti in un angolo.

Viviamo in un microcosmo in cui vince solo chi sta zitto.
Per fare carriera, in determinati ambienti, devi essere molto ambizioso o estremamente servile: solo in questo modo puoi mandare giù tutta la merda che ti arriva addosso dai piani alti. Ed io, purtroppo, penso di non essere né l’una né l’altra cosa.
Sono stata punita, per questo.
Quando ho iniziato a lavorare nell’ufficio in cui arranco da due anni e mezzo, alcuni colleghi pensavano fossi stupida perché ero così terrorizzata da certi modi di fare che mi chiudevo dentro un guscio di silenzi e balbettii, mi rendevo completamente invisibile.
C’è chi ha avuto il coraggio di dirmelo in faccia. Si è scusato con me e si è giustificato dicendomi “La pensavo così perché stavi sempre sulle tue.”
Mi volete spiegare, per favore, che cosa vuol dire?
Io stavo sulle mie perché ero l’ultima arrivata e perché avevo capito che aria tirava. E il tempo non mi ha smentita. Ricordate gli orsetti della Duracell che andavano di moda negli anni ottanta? Ecco. Io mi sento così. Posso muovermi solo se dai piani alti decidono di mettermi le pile.

E come si colloca la scrittura in tutto questo?
L’ho scritto nel post di martedì scorso. La scrittura è il mio spazio di libertà. È l’unico luogo in cui posso essere me stessa. Quando scrivo, mi ricordo di avere una voce e smetto di sentirmi soffocata da un sistema che cerca continuamente di imbavagliarmi.
La mia intolleranza nei confronti di chi vuole reprimere la mia libertà sta diventando pesante come un macigno. Sono nauseata dalla perseveranza con cui gli altri cercano di mettermi a tacere.
Questa allergia per il silenzio imposto mi accompagna fin da quando ero ragazzina. Avevo accettato le pretese altrui e mi ero rintanata nell’ombra. Ma ora sono adulta. E ho bisogno di occupare a pieno titolo il posto che mi spetta in questo mondo, anche se la mia presenza non è gradita a molti.  

In poche parole, voglio dare agli altri la possibilità di conoscermi ed apprezzarmi.
Continuerò a parlare di scrittura sul blog, ma mi aprirò un po’ di più e vi racconterò chi sono. La mia visione del mondo si inserirà fra le righe dei miei post, li renderà più vivi e completi.
Non voglio fare strategie di marketing. Non voglio programmare i post dei prossimi tre mesi. Voglio prendere nota di ogni potenziale articolo e seguire l’onda del momento, sperando che anche voi possiate inserirvi nel flusso.
 Nel redigere il mio romanzo, terrò a bada revisore e censore per tutta la durata della prima stesura. Lascerò i personaggi liberi di agire e, tramite i loro movimenti, la mia coscienza prenderà vita sulla pagina. Se una parola preme per uscire, dobbiamo lasciarla andare. I silenzi imposti generano blocchi molto difficili da rimuovere.
Chi lo sa, magari potrei anche decidere di auto-pubblicarmi. In questa fase della vita non mi sento per niente politically-correct: rischierei di litigare furiosamente con qualunque editore. Questo, però, si vedrà in futuro. Ora devo preoccuparmi solo di scrivere.

Daniele, nel post “I tabùdella mia scrittura”, dice che non gli piace raccontare la realtà di oggi perché se ne sente distante. Per me, invece, vale il contrario. Se una cosa mi disturba, ho il diritto di esprimere il mio disappunto. Implicitamente, ogni storia può portare con sé una denuncia o una lode, può trasmettere un messaggio di speranza e risvegliare le coscienze.
Per me, scrivere è una missione. È lo strumento che il karma mi ha offerto per far sentire la mia voce. E, almeno sulla pagina, voglio gridare così forte da farmi tremare le corde vocali. Chi lo sa: magari prima o poi riuscirò a dire la mia anche in altri contesti.


 E voi.. quanto siete liberi?

Commenti

  1. Credo che la libertà totale sia un'utopia. Quante volte avremmo voglia di dire a qualcuno che è un cretino? Ma oltre che poco saggio questo sarebbe un bene? Forse, ma sarebbe quello che veramente pensiamo di lui o è quello che pensiamo in quel momento in cui forse non siamo nemmeno così lucidi? Si tratta di un piccolo esempio, certamente, ma credo sia replicabile anche su scale più ampie.
    Ovviamente il problema cambia aspetto se qualcuno mi impedisce di dire che tizio è un incompetente (cambio termine perché c'è il reato di ingiuria) o che sta mentendo.
    Ecco, in quel momento senti la tua libertà compressa.

    Si tratta di una questione molto complessa naturalmente...

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    1. Aspetta,forse sono stata fraintesa.
      Ovviamente la libertà DEVE avere dei limiti, altrimenti saremmo in uno stato di totale anarchia. Il limite fondamentale è, come tu fai notare, quello dell'educazione e del rispetto.
      Il mio discorso voleva essere più ampio anche se - proprio per evitare casini - ho dovuto eliminare una parte del post, nella quale descrivevo abbastanza dettagliatamente alcune limitazioni che subisco quotidianamente sul lavoro. E qui credimi non è questione di rispetto, di decoro e di educazione: queste restrizioni dipendono dall'arroganza di alcuni soggetti che difendono il loro presunto territorio in modo quasi morboso, ed usano i privilegi che hanno a disposizione per danneggiarti professionalmente.
      Ecco: in questo modo la libertà è violata, perché ciascun individuo deve poter essere gratificato dal proprio lavoro, e non essere costretto a mansioni infime solo a causa di inutili ripicche...
      Per me la libertà è semplicemente esprimere se stessi sviluppando appieno le proprie potenzialità. è un concetto molto diverso dal classico "io faccio quello che voglio": c'è il rispetto degli altri, che si configura come un vivi e lascia vivere.

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    2. Tranquilla, avevo capito.
      Il momento in cui qualcuno usa il suo potere per importi limiti e costrizioni è quello in cui senti la tua libertà violata. Lì senti la violenza. Certo la questione è estrememente soggettiva e varia anche molto in base al contesto.
      Un grande tema, comunque e credo arriveranno molti commenti interessanti! :)

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    3. Sono contenta che il post ti sia piaciuto! :)

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  2. Libero di pensare, un po' meno di confrontarmi con gli altri.
    Nel mio ultimo romanzo (quante volte l'avrò citato, ho perso il conto ;-) c'è proprio questo aspetto: uno dei protagonisti - di fatto tutti e tre - sono costretti a tenere nascoste certe abitudini a causa del biasimo morale che ne riceverebbero.
    Il personaggio principale stabilisce che vivere segretamente questa sua abitudine non è una forma di ipocrisia ma solo un'autodifesa, e sin qui ci siamo. Ma sicuramente è una mancanza di libertà il non poter fare apertamente, e di conseguenza dire apertamente.
    Da questo punto di vista credo che siamo tutti poco liberi nel senso che si tende a parlare in pubblico solo di ciò che non crea (o almeno non dovrebbe) causare reazioni di condanna o di disapprovazione da parte degli altri. In questo mondo basato sui "likes" di facebook e i "followers" su twitter, temo che ogni comportamento sia innaturale (quindi non libero) e si basi sulla volontà di essere approvati dagli altri, a costo di snaturarsi.
    Da questo punto di vista quando scrivo sono sicuramente più libero che nella vita di tutti i giorni (scrivo con uno pseudonimo, e NON è un vezzo ma una ricerca volontaria di anonimato: l'anonimato rende liberi ;-)

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    1. I tuoi protagonisti sono omosessuali?
      Perché questo secondo me è l'esempio classico di limitazione della libertà di espressione. Sinceramente trovo assurdo che un qualunque individuo debba reprimere la propria essenza per paura del giudizio.
      A parte questo, come evidenziavo prima, un conto è rispettare le norme del buon gusto e dell'educazione (questa non è una limitazione della libertà, è solo rispetto per il prossimo) e un conto vivere una vita interamente costruita su presupposti falsi che fanno riferimento a ciò che "può pensare la gente" e non agli effettivi desideri del singolo.

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    2. Peggio, sono frequentatori abituali di prostitute. Un'abitudine passibile di rimostranze morali oggettivamente fondate, tuttavia un'abitudine alla quale non riescono a rinunciare per varie ragioni.

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    3. Sarà molto interessante allora leggerlo. Già mi incuriosisce! :)

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  3. Non sono d'accordo con te, sono assolutamente d'accordo con te. :) Credo come te che la libertà di espressione non esista, e credo che esista invece un giudizio supremo del quale tutti si arrogano il diritto. A cominciare da quello che dici, come lo dici e se lo dici. Sai che anche io ho avuto la tua stessa esperienza lavorativa? Venni definita stupida perchè non parlavo. In realtà cercavo solo di stare tranquilla e di fare il mio lavoro, anche perchè come carattere sono introversa. E dunque, io facevo velocemente e bene il mio lavoro e alla fine ho scoperto che non andava bene. Perchè? Stavo troppo sulle mie! Concordo con te con il desiderio, la necessità di occupare il proprio posto in questo mondo e di parlare per quello che siamo. Personalmente posso dirti che la maggior parte delle volte per me non vale neanche la pena parlare. Io dico poco e quanto basta.
    Però sono contenta che in futuro ci parlerai un po' più di te, anche perchè i tuoi post sono sempre ben realizzati ma tecnici. E' quello che cerco di fare anche io nelle mie recensioni, metterci anche il mio, attraverso ciò che ho sentito del libro in questione.

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    1. Sì, ho deciso di inserire più dettagli biografici nei post tecnici perché dietro lo schermo, in fondo, c'è una persona. è un modo per personalizzare il blog.
      Tornando all'esempio del lavoro, a me è successa la stessa identica cosa. Avevo sempre un'aria un po' assente perché pensavo ai cavoli miei, a ciò che volevo scrivere tornata a casa, alle mie cose...inoltre ero sotto la lente di ingrandimento, mi sentivo profondamente a disagio (c'erano i colleghi che passavano davanti al mio ufficio solo per vedere chi fossi) e questo mi portava una profonda difficoltà a relazionarmi con la gente. Ora mi trovo molto bene con quasi tutti, quindi il problema è risolto. Non mi sono nemmeno offesa per quello che mi è stato detto: è la verità! :-D
      Io so di sembrare svampita perché vivo nel mio mondo e ci sto benissimo. ;)

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  4. Mi sembra che tu stia creando il varco giusto attraverso il quale esprimerti. La scrittura non sta sull'Olimpo, si mescola alla vita, perciò parlare solo di scrittura fa sentire un po' limitati.

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    1. Esatto! Inoltre credo che ogni blog debba avere il marchio personale del proprio autore se non vuole essere un clone di mille pagine che si trovano in rete. :)

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  5. "Voglio dare agli altri la possibilità di conoscermi ed apprezzarmi." Che bella frase!
    Hai ragione a volerti esprimere: solo mostrandoci per quello che siamo possiamo provare ad essere felici. E spesso la paura del giudizio degli altri è una prigione in cui ci rinchiudiamo da soli. Sbagliando, perché comunque ci sono persone a cui non piaceremmo comunque... quindi ne vale davvero la pena?
    Non che io sia bravissima ad ignorare il giudizio altrui, anzi a volte mi faccio tante paranoie per niente, però ci sto lavorando :)

    P.S. Approvo il tuo tatuaggio! Fallo anche per me che sono un'attrice e non posso, anche se mi sarebbe piaciuto...

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    1. Quando avevo la tua età anche io ero molto inibita dal giudizio degli altri. Adesso me ne frego abbastanza. Io sono io, sono così. Essere adulti significa anche saper accettare se stessi e volersi bene incondizionatamente. :)

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  6. Be', io mi sento parecchio libero. Sia nella vita, sia in ufficio. E non tutti sono Charlie Hebdo... le risposte al mio post su questo argomento sono state esplicite. A volte è una questione di atteggiamento... non saprei. Quello che so è che se vuoi essere libero, prima devi sentirti libero.

    Io viaggio per tutta Italia, incontro gente che sta molto in alto nella scala sociale. Gente che compra la Ferrari per fare il giro in paese la domenica mattina. Gente che gestisce multinazionali. Sono stato anche in Ferrari e, tra le aziende che gestisco, è la più piccola. In questi dieci anni, a parte forse i primi tempi, non ho mai avuto timori reverenziali. Ho detto sempre quello che pensavo, con educazione, e non ho mai ricevuto reazioni negative. Alla fine mi sono sempre sentito a mio agio ovunque.

    Detto questo, da grandi sofferenze nascono grandi narratori. Quindi il tuo disagio potrebbe non essere poi così negativo, almeno sotto questo aspetto. Fai bene a usare la scrittura come veicolo di sfogo creativo. La usi bene, quindi a maggior ragione. ;)

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    1. Anche io sono nata e cresciuta in un contesto benestante e, nel corso della mia vita, ho avuto modo di conoscere persone appartenenti a qualunque gruppo sociale, dal più alto dirigente all’ultimo degli immigrati. Ho fatto anni fa uno stage a mediaset, ed ho conosciuto – qui a Sanremo – tantissimi cantanti e artisti, durante la settimana del Festival, alcuni anche molte celebri.
      Questo mi ha consentito di avere un’opinione bel precisa sul problema dell’umiltà: l’arroganza è generata da un’insicurezza caratteriale di fondo. Le persone che hanno subito torti e insicurezze nel corso della loro vita, sul piano sociale o professionale, tendono a scaricare la propria frustrazione sugli altri. Una volta che raggiungono il successo, maturano un senso di superiorità molto difficile da gestire. Anche i parvenu si montano la testa con una certa facilità.
      Quando ero al Liceo e facevo volontariato nella mensa dei poveri, c’era un italiano residente a Montecarlo che lavorava con noi. Era ricchissimo, possedeva tre boutique di lusso e girava in Ferrari, ma non aveva alcun problema ad inginocchiarsi per terra per pulire il pavimento, lavare i piatti e servire i tavoli.
      Anche nella palazzina di fronte alla mia c’è un anziano milanese che viene a “svernare” da queste parti e che gira per il quartiere con il testarossa. Ma quando lo incontro dal verduriere o dal macellaio saluta cordialmente, sorride, una volta mi ha portato i sacchetti. Se lo vedi lontano dalla sua macchina sembra un qualunque pensionato del ceto medio.
      Queste secondo me sono le persone che sanno convivere con il successo, che vivono e lasciano vivere, non coloro che si sentono potenti solo perché prevaricano sugli altri.
      Io se voglio prendermi un caffè in ufficio mi alzo e me lo faccio, non chiedo a qualcuno di farmelo portare, come certe colleghe che pure ricoprono la mia stessa mansione ed hanno il medesimo livello aziendale.
      E non avrei nemmeno problemi a portarlo a qualcun altro, il caffè, se me lo chiedesse con gentilezza. Anche a casa mia, dopo tutto, se arriva un ospite sarà servito e riverito. Ma se vengono pretese in modo arrogante azioni che non sono pertinenti con il mio ruolo, sono liberissima di dissentire e, se necessario, di impugnare il contratto.
      La libertà di espressione è anche la garanzia di veder riconosciuto chi sei. E di far sì che tutti lo accettino.

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    2. Io invece sono cresciuto in un contesto proletario, a maggior ragione quindi avrei potuto sentirmi intimidito da certi contesti. Non è stato così. A me l'umanità piace osservarla, ma anche relazionarmici. Alla fine tendo a impormi, nel senso buono del termine, esprimendo le mie idee e facendole piacere. Non sempre è così, ma abbastanza spesso. Altrimenti non potrei fare il lavoro che faccio, anche se quello del "commerciale" è un ruolo che proprio non mi piace.

      Anch'io ho conosciuto personaggi famosi, i così detti VIP, ad esempio a Roma molti anni fa ho incontrato per strada Fabrizio Frizzi. All’epoca era sulla breccia dell’onda. Gli chiesi se conosceva una pizzeria nei paraggi. Lui passeggiava con la sua ex moglie, Rita Dalla Chiesa, e mi rispose con gentilezza e tranquillità come se fossimo passanti qualsiasi. Anzi, di più, perché i passanti “qualsiasi” in genere ti ignorano. A Torino ho incontrato Enrico Beruschi, quando facevo servizio in un circolo da ragazzo, e gli chiesi se mi faceva il verso. Troppo simpatico!

      Insomma, alla fine siamo tutti persone estremamente comuni, pur nella propria peculiarità.

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    3. Io una volta , quando c'era il festival, mi sono aggregata ad una tavolata di conoscenti, e lì era seduto anche il cantante dei Moda'... che non ho riconosciuto! Ci ho parlato due ore prima che qualcuno mi dicesse chi fosse XD
      Io vedo ogni anno artisti che si mescolano con le persone, si fermano a chiacchierare, non li riconosci quasi perché girano vestiti in modo semplicissimo. Mi hanno parlato stra - bene di paolo Bonolis, di Gianni Morandi, di gente che ha alle spalle un carrierone...
      Quelli che se la tirano ed hanno la fama di cafoni in realtà non sono nessuno. Vedi Solange, che credo sia una delle persone più maleducate che abbia mai incontrato, oppure Corona, con cui ho avuto una discussione furiosa per un parcheggio l'anno che presentava Belen!

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    4. P.S. E lo stesso discorso può valere in qualunque ambiente di lavoro mi sia mai trovata.

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    5. Whuahaha ti ci vedo a litigare con Corona per un parcheggio!!! :D

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  7. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  8. Nel tuo post rivedo la situazione lavorativa di mio marito. Lui si è trovato in un ufficio che definir disfunzionale è poco. Senza entrare nei dettagli basti dire che in una memorabile giornata metà ufficio era in tribunale a testimoniare a favore della capa e l'altra metà a testimoniare a favore dell'ex marito di lei (dipendente nella stessa azienda) in un processo penale.
    Per riuscire a vivere con un minimo di distacco il tutto ha fatto un bel percorso con una psicologa e ne è uscito molto più forte. Quindi giro a te le considerazione che è riuscito a fare lui. Il lavoro e le opinioni di colleghi/capi non ti definiscono. Tu sei molto più di questo. Semplicemente non vale la pena di cercare di far valere le proprie opinioni con persone meschine (meschine è un eufemismo bello e buono). Si lavora perché si deve, perché è giusto farlo, perché lo stipendio è una bella cosa e poi ci sono mille mila cose per esprimere le proprie idee/il proprio modo di essere in ambienti più costruttivi.
    La Chiara del blog è una persona che tutti noi stimiamo e apprezziamo. Vuol dire che qui riesci ad esprimerti e che quello che vuoi dire passa. In poco tempo ha costruito un blog autorevole. Non è cosa da poco.
    E al diavolo i colleghi.

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    1. Ti ringrazio di cuore per le tue belle parole. È bello sentirsi apprezzati. Quando ho aperto il blog non avrei mai pensato di poter avere un tale seguito e questo invece di darmi accettare di più certe dinamiche me le ha rese ancora più insopportabili.
      Ma è un discorso di cui ti parlerò in privato. Questo commento mi ha fatto venire voglia di confidarti ciò che sto vivendo ma ritengo sia meglio evitare di lavare i panni sporchi in piazza :)

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  9. Vai così, bella carica! Tira fuori gli artigli!
    Secondo me la libertà d'espressione è importante, così come lo è il giusto mezzo.
    Per fare un esempio tratto da questo post, ma non da intendersi come diretto a Chiara:
    fatti un tatuaggio, fai bene. Ma non c'è bisogno di fartelo in faccia! Accetta i limiti del contesto in cui vivi e parla un linguaggio che l'uomo comune possa capire e accettare. Questo è un consiglio che vorrei riuscire a seguire sempre, vorrei che la mia scrittura fosse un pugno di ferro in un guanto di velluto. Purtroppo tendo spesso a pensare che tutti dovrebbero pensarla come me :)

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    1. Lisa, non posso che essere d'accordo con te.
      Come ho scritto anche in altri commenti, il limite alla libertà è il buon senso, il rispetto degli altri e di valori etici che non dovrebbero essere socialmente imposti, ma presenti nella coscienza di ognuno di noi.
      Il problema è che molti si agganciano alle proprie convinzioni limitanti, e cercano di imporle agli altri.

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  10. Sono libera, parecchio. La libertà è strettamente collegata alla responsabilità. Spesso si parla a vanvera non considerando minimamente la responsabilità della parola. Essere liberi significa non essere influenzati e in questo mondo ci si può riuscire con fatica, ma quando una persona ci riesce è segno che è capace realmente (e non a parole, vuote) di gestire (perché la libertà va gestita) grande libertà e che è qualcuno di grande qualità. Risulta facile, infatti, aggregarsi ma se non si è liberi e forti da soli, semplicemente non si è né liberi né forti... Un caro saluto! :)

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    1. Quello che tu evidenzi è un problema di molti: si tende ad agganciarsi al potente di turno, per veder garantite le proprie presunte libertà. Ma questa, se ci pensi bene, è la più orribile e pericolosa forma di schiavitù. Dovremmo avere la possibilità di vivere in un mondo libero da qualunque forma di clientelarismo, dovremmo veder garantito il nostro diritto di essere ciò che siamo e ciò che vogliamo.

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  11. Concordo in pieno con ciò che dici, ma, diciamocelo, chi non concorderebbe? In questo paese siamo arrivati ad un punto in cui l'unica soluzione per noi giovani, freschi di laurea, è scappare il più lontano possibile. Mia zia, la scorsa settimana ha detto: "Questi ragazzi per fortuna sono ottimisti! Dicono che se andranno all'Estero, finiti gli studi!". Beh, se questo è ottimismo, allora non so quale sia il significato di questa parola! La veritá? Siamo disperati. Pur di lavorare e fare ciò per cui abbiamo studiato, siamo disposti a prendere tutto e andarcene. Siamo frustrati, perchè ogni tentativo di combattere contro l'ordine costituito ci si ritorce contro. Io la mia frustrazione la sfogo scrivendo. Scrivo del mondo sporco e logoro che ci circonda. Scrivo, anche se nessuno mi legge. Scrivo perchè è il mio modo di essere libera! Grazie per questo tuo articolo, mi ha dato la conferma di non essere sola in questo mondo!

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    1. Ciao Ramona, benvenuta su questo blog! :)
      Avere un lavoro è fondamentale, ed io sono grata al mio perché è ben retribuito e mi consente di avere una certa tranquillità materiale. Però questo stato di mancanza porta molte persone ad accontentarsi di ciò che ha, e i potenti a giustificarsi: "se non ti va bene quello che fai sei libera di andartene, intanto fuori c'è la fila..."
      Anche io uso la scrittura come una forma di ribellione. Il mio blog è il modo per trasmettere agli altri non solo il mio disappunto ma anche il mio amore per le cose belle e buone che ancora esistono, e sulle quali vorrei rimanere focalizzata.
      Spero di rivederti presto su queste pagine. :)

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    2. Ti seguo da qualche mese, mi sono iscritta alla newsletter in modo da essere informata sui nuovi post (per inciso, mi piace molto il modo in cui scrivi e apprezzo il fatto che tratti argomenti sempre molto interessanti e utili!), ma per un motivo o per l'altro non ho mai commentato. Questo argomento, però, mi ha toccata da vicino! Anche io ho un blog, aperto da poco, piccolino e poco seguito, ma non importa, io vado avanti! E andrò avanti, finché curarlo mi farà stare bene! Almeno in questo posso dire di essere libera ;)

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    3. Sono molto contenta che il blog ti piaccia! É bello anche sapere di avere tanti follower silenziosi che mi apprezzano. Grazie per i complimenti e non smettere mai di scrivere! Leggerò volentieri il tuo blog :)

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  12. Bello, sembriamo tutti seduti a cerchio in una di quelle riunioni tipo alcolisti anonimi! Apriamo squarci di vita vissuta e ci conforta verificare che non siamo gli unici a pensarla in certi modi. Brava Chiara, sei delusa, qualcosa ti amareggia e hai detto ciò che pensi in modo molto efficace. Anche questa è "narrativa"!
    Io, dal canto mio, posso dire che non mi conquistano i nomi né le posizioni sociali, apprezzo la sincerità purché vada a braccetto con la diplomazia. Faccio il mio e cerco di farlo sempre bene.
    E poi, non è forse vero che scrivere è catartico?

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    1. Ogni forma d'arte è in un certo senso catartica, per questo non ho mai creduto che un eccesso di tecnica possa giovare all'artista. Esistono fasi del processo creativo che non possono essere pilotate... e questa, forse, è una metafora della vita. Perché se una persona è imbavagliata dal sistema è condannata a vivere un'esistenza limitata. Io credo che non sia un caso che i più "esauriti", secondo le statistiche, siano proprio gli impiegati delle grandi aziende.

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  13. Per quanto mi riguarda, posso dirti che il censore l'ho tenuto alla larga anche durante la fase di revisione del mio romanzo, non solo durante la prima stesura.
    Il censore, in fin dei conti, è un figuro esterno a noi, creato dalla società, che abbiamo introiettato.

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