Lo scrittore e la solitudine - una maestra illuminante


La solitudine può essere una tremenda condanna o una meravigliosa conquista.
(Bernardo Bertolucci) 

Signori e signore, è ufficiale. Come ogni anno, le invasioni barbariche hanno avuto inizio. Carlo Conti e il suo staff sono già in città da qualche settimana. I cantanti hanno fatto avanti e indietro per le prove ma fra ieri e oggi sono arrivati tutti, ciascuno con il proprio entourage di parenti, agenti, discografici, amanti ed eventuali pusher. Sanremo si è riempita di strani personaggi, cambiando target rispetto alle ferie estive. Non i soliti tedeschi semi ustionati in bermuda e ciabatte, ma parvenu in cerca di notorietà, turisti curiosi e, soprattutto, loro: i napoletani, da sempre assidui frequentatori del Festival.
Se c’è qualche lettore partenopeo, magari potrà spiegarmi perché siano così affezionati alla nostra kermesse. Sarà per la lunga tradizione nel campo della musica leggera? Siamo fortunati perché quest’anno non compaiono nel cast i vari Gigi D’Alessio e Nino D’Angelo, quindi il richiamo è stato più blando del solito. Ma gli amici del sud sono comunque tanti, più dei milanesi e dei torinesi.    
Premetto che a me non dà fastidio il caos in senso generico, perché mi sono sempre sentita a mio agio in mezzo alla gente. La mia ostilità è circoscritta e provinciale: mi dà fastidio che la mia vita quotidiana subisca delle interferenze a causa di intrusi che entrano in casa mia senza bussare. E, considerando che nostra amministrazione ha avuto la brillante idea – proprio nella settimana più trafficata dell’anno – di mettersi ad asfaltare strade in pieno giorno, capirete che scendere in centro è un vero e proprio suicidio.
Questa frenesia, però, ha innescato una reazione a catena che mi ha spinto a riflettere su come la scrittura abbia cambiato il mio rapporto con la solitudine. Oggi vi parlerò proprio di questo.


Flashback sul mio weekend.
Dal momento che il mio compagno si trovava a Milano per lavoro, avevo deciso di dedicare due giorni alla scrittura. Domani arriverà, quindi il tempo a mia disposizione sarà molto meno.
Sabato sono stata in compagnia dei miei protagonisti per tutta la mattina e metà del pomeriggio, poi mi sono lasciata accarezzare dall’idea di fare un giro in Via Matteotti. La tentazione è durata il tempo di una parolaccia. Quando una mia amica mi ha comunicato di aver impiegato circa mezz’ora per fare tre chilometri e di aver rischiato di parcheggiare sopra una delle palme che ci sono sul lungomare, ho fatto un bel sorriso e sono tornata al pc.
 Alla sera sono uscita a cena in un ristorante che mi piace molto: buttafuori in giacca e cravatta, musica rilassante, luce soffusa. Ho trascorso una serata piacevole in compagnia di persone a cui voglio bene,  ma alle 23:00 è comparso una specie di deejay che mi ha fatto venire l’orticaria. Ho resistito ancora un po’, poi ho salutato tutti per tornare nel mio loculo. Non volevo essere lì quando avrebbe cominciato a suonare.
Il proposito di svegliarmi presto per dedicarmi al romanzo è stato mantenuto. Le mie mani hanno picchiettato sulla tastiera per ore.  Ho messo il naso fuori casa solo per stendere la biancheria sul balcone, ma non mi sono sentita né soffocata né alienata. Al contrario, ero una nerd immersa in un indescrivibile stato di pace interiore. Mi sentivo ad un passo dall’illuminazione.
Considerando che trascorro fuori casa dodici ore al giorno, l’idea di avere un po’ di tempo da dedicare a ciò che amo mi ha mandato in brodo di giuggiole. Forse per uno scrittore è normale cercare la solitudine, ma non per me: si tratta di una situazione completamente nuova, che voglio vivere fino in fondo.

La paura della solitudine.
Fino a non molto tempo fa, consideravo il fatto di stare da sola come una vera propria punizione divina. Credo che questo sia stato uno dei motivi per cui, anni fa, ho smesso di scrivere. Ne avevo già parlato qui.
Tutto iniziò in un periodo particolarmente complicato, fa il 2007 e il 2008. Forse il problema era già latente dentro di me, ma la vita non mi aveva mai imposto la necessità di prenderne consapevolezza. Solo quando alcuni episodi hanno risvegliato il mostro, ho dovuto affrontare le mie ferite.
È successo nel periodo successivo alla mia Laurea. Avevo deciso di cercare lavoro a Milano, perché ci vivevo già da tanti anni e mi ci trovavo bene. Ma la situazione, in quel periodo, puzzava di angoscia: stage, contratti a termine, sfruttamento legalizzato e così via. Molti dei miei amici stavano affrontando i medesimi problemi. Altri lavoravano già, quindi non riuscivamo a frequentarci con la stessa assiduità di un tempo. Inoltre, mi ero lasciata da poco con il mio compagno (lo stesso con cui convivo tutt’ora) e affogavo nella nostalgia. Trascorrevo ore chiusa dentro il mio bilocale, a spedire curriculum con una sigaretta in mano e i Negramaro nel lettore CD.  A farmi compagnia, solo il dolore per una storia finita male e la paura per un futuro incerto e cupo.
Mi mancavano i miei genitori. Mi mancavano i miei amici. Mi mancava il mio fidanzato. La mia solitudine non era una scelta ma un’imposizione esterna, un diktat subito da un destino crudele, da chi non voleva il mio ingresso nel mondo del lavoro, dalla persona che amavo e odiavo, da una città nella quale non riuscivo più a sentirmi a casa.
Vorrei poter descrivere la situazione che provavo ai tempi ma non ci riesco. Forse l’ho rimossa, perché è stato il periodo più brutto di tutta la mia vita, fra crisi di pianto e attacchi di panico.
La scrittura, ovviamente, è andata a farsi friggere. In fondo per poter fare questo mestiere occorre stringere un rapporto molto profondo con se stessi, accettare tutte le ombre, conoscersi a fondo. Se il contatto con la propria anima fa paura, il meccanismo si inceppa e le corde vocali si spezzano.

La paura è passata perché ho ripreso a scrivere, oppure ho ripreso a scrivere perché la paura è passata?
È una domanda che mi pongo spesso e alla quale non so dare risposta. Forse è un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina.
Negli ultimi anni, ho fatto un lavoro di auto-analisi molto profondo, con il supporto del mio master-reiki e di altre persone esperte della mente ma molto distanti dai metodi della psicanalisi tradizionale. Sono riuscita a comprendere la mia paura di essere lasciata sola e ho scoperto che la causa non aveva nulla a che vedere con quanto successo a Milano, ma aveva origini molto più lontane.
Forse è stata la mia progressiva “guarigione” a far rinascere in me il desiderio di raccontare storie. E la scrittura, a sua volta, ha accelerato il processo di crescita. Si è innescato un circolo virtuoso che mi ha portato fino a questo punto.
Senza questa passione ad infiammarmi il cuore, forse avrei molta più difficoltà ad accettare il silenzio. Ma grazie alla scrittura mi sono avvicinata a me stessa, seppur in punta di piedi. Ho cercato di comprendermi, analizzando le mie storie. Da dove nascevano certe situazioni? Quale seme aveva generato i miei personaggi? È tutto frutto della mia fantasia, ma non può essere tanto distante dal mio sentire. Quelle idee non sono state create dal nulla. Erano delle piccole larve, che riposavano nel mio inconscio e chiedevano solo di essere trasformate in realtà. In ogni singola parola c’è qualcosa di me, e io voglio trovarne il significato. Voglio coglierne il senso. Voglio essere il dottore della mia anima.
Se il mio compagno avesse dovuto recarsi a Milano un anno fa, probabilmente sarei impazzita. Ora invece riesco a godermi la distanza, nella consapevolezza che i miei momenti di isolamento non rappresentano una separazione netta dalla mia realtà, dalle persone che amo. Basta allungare una mano fuori dal guscio e loro sono lì. Ci sono i miei genitori (o almeno uno di loro) c’è Beppe, ci sono le mie amiche, i miei colleghi di lavoro. La loro presenza è una mia scelta, non più un bisogno. Quindi ogni rapporto risulta valorizzato. I momenti trascorsi insieme, acquistano un nuovo sapore.

La solitudine è una maestra illuminante.
Ecco: questo è il punto.

Quando c’è silenzio, la nostra anima più pura si manifesta. Riusciamo a creare un contatto con la nostra coscienza superiore, a superare i limiti imposti dalla mente. La frenesia del quotidiano ci separa dalle cose veramente importanti. Il continuo chiacchiericcio della mente ci rincoglionisce. Solo quando riusciamo a placarlo, la nostra creatività può esprimersi liberamente.
Questo è forse il regalo più bello che la scrittura mi abbia fatto nell’ultimo anno, o in tutta la mia vita.

Voi cosa avete ricevuto da lei? Quale miglioramento caratteriale ha portato
Quali ferite ha sanato?

E cosa mi dite a proposito della solitudine? Avete mai avuto difficoltà ad accettarla

Postilla.  Dopo aver scritto l'articolo ed averlo caricato su blogger, sono andata su google a cercare un'immagine di apertura. Se scrivo "solitudine" escono solo foto tristissime. Ho dovuto digitare "stare bene con se stessi". Questo mi fa pensare che intorno alla solitudine ci sia una sorta di fobia sociale. In un mondo dominato dall'interconnessione, è vista come qualcosa di negativo. Fa quasi più paura della morte. Cosa ne pensate? 

Commenti

  1. amo la solitudine! Non mi ha mai fatto paura e credo che sia una fonte di risorse che non pensavo di avere. Libertà.
    Annamaria

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    1. È una bella cosa. È indice di grande autonomia. Io però non rinnego il mio passato. Rispetto le difficoltà che ho avuto perché mi hanno portato fino a qui. Anche le tappe apparentemente negative sono importanti :)

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    2. ah, di sicuro. I miei 18 mesi col cancro sono stati i peggiori e i migliori della mia vita
      Annamaria

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  2. Dagli 8 ai 16 anni sono stata piuttosto sola. Avevo delle amiche (che lo sono tutt'ora), ma non abitavano nelle vicinanze. Mi sono adattata alla solitudine fino al punto di averne bisogno. E ho scoperto che la cosa ha indubbi vantaggi. Dopo i 16 anni ho sempre avuto una vita sociale normale, amiche, amici, fidanzati, ma ormai avevo capito che l'essere sola non mi avrebbe mai fermato. Ho studiato fuori sede e per lunghi periodi non ho avuto coinquilini, ho viaggiato da sola e in generale se voglio fare qualcosa il non avere accompagnatori mi ferma solo fino a un certo punto.
    Fintanto che so che le persone a cui voglio bene ci sono, non considero lo stare da sola "solitudine". Se non cammino o non corro da sola, anzi, non riesco proprio a pensare.

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    1. Prima del crollo del 2007, anche io avevo una vita simile. Senza l'amore per la solitudine probabilmente non sarei stata in grado di scrivere. Quando ero piccola i miei lavoravano entrambi e da adolescente avevo una vita sociale abbastanza stabile ma non eccessiva. Anche io ho studiato fuori sede e abitato sola... forse è anche per questo che il crollo mi ha spaventato tanto. Non ero abituata ad aver paura della solitudine.
      Forse è stato un bene conoscere anche l'altro lato falla medaglia : ho modo di apprezzare maggiormente il mio nuovo modo di essere :)

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  3. Anche io sono tendenzialmente solitario. Quando scrivo o leggo mi piacerebbe essere su di un'isola deserta; a volte, cercando di non farmi "beccare" ho anche provato a scrivere in ufficio, solo nel mio cubicolo. Niente da fare... altro che panico da pagina bianca. A me serve proprio la solitudine e il silenzio.

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    1. Io sono abbastanza brava ad isolarmi mentalmente, quindi riesco a scrivere anche in mezzo al caos, tranne che in ufficio... non ci ho neanche mai provato.
      Il fatto è che senza silenzio non si può scrivere. Forse è per questo che non ci riuscivo più. :)

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  4. Nessun problema con la solitudine. Io mi stupisco di quanti riescono a scrivere in un bar, in mezzo alla folla insomma, ma si tratta di eccezioni, credo. Oppure, quelli che ascoltano musica e scrivono: non capisco come ci riescano. Nel silenzio mi pare di vedere le cose in modo più nitido, o meglio, di essere nella condizione di coglierle con più precisione.

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    1. Io riesco a scrivere in un bar (l'ho fatto di recente in quello della stazione centrale di Milano) ma non riesco a scrivere con la musica, per il semplice fatto che su di essa ti devi concentrare, mentre sulle parole di chi passeggia intorno a te no. :)

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  5. Io invece cerco la solitudine più profonda, non sento la mancanza degli esseri umani, senza offesa per nessuno.
    Non ho avuto difficoltà ad accettare qualcosa che ha sempre fatto parte della mia vita.

    Ma non so dirti cosa abbia ricevuto dalla scrittura, perché non ne ho idea. Il mio carattere peggiora con l'età, ma non certo per colpa della scrittura :)

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    1. Quasi ti invidio. :)

      Io credo però che debba esserci un equilibrio fra socialità e solitudine, perché entrambi gli estremi sono dannosi per l'essere umano. Il contatto arricchisce e la solitudine favorisce l'introspezione e la creatività. Senza uno di questi due aspetti, l'identità rischia di essere mutilata.

      Tuttavia trovo improbabile che al giorno d'oggi e nella società occidentale possa esistere una persona completamente sola.

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  6. Sono stata single a lungo e mi è pesato molto. Ho sempre vissuto con i miei: avevo paura di rincasare in un appartamento vuoto. Ora che sono felicemente sposata sono comunque spesso sola, mio marito lavora molto, ma è un'altra faccenda. Nel tempo ho imparato ad apprezzare la solitudine, tipo andare in vacanza da sola è una figata, adoro il tempo tutto mio fuori e dentro casa. In quanto alla scrittura ha curato molte ferite, prima fra tutte la mancata genitorialità e lo fa ancora. Un bacione Sandra
    ps. sono stata solo una volta a Sanremo, ma la Chiesa russa mi è rimasta nel cuore, e anche il quartiere della Pigna, insomma lontano dai clamori del festival.

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    1. Bello usare la scrittura come una forma di autoguarigione. Anche io lo faccio. Mi sta aiutando soprattutto a focalizzare e comprendere il rapporto con mio padre.

      Quanto a Sanremo, è una città ibrida che risente di influssi culturali diversi. A me piace, ci si vive bene... però in questo periodo è uno sclero!!!

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  7. Con la solitudine ho un rapporto speciale, essendo un sociopatico per eccellenza.
    In passato però mi è capitato di avere una lunghissima crisi molto simile a quella che è capitata a te, anche se credo che in quel caso non fosse solo la solitudine sentimentale a incidere quanto il generale senso di incertezza per il mio futuro e un crollo della mia autostima "grazie" al comportamento di certe persone che ancora oggi, quando mi capita di incontrarle per strada, evito accuratamente di salutare anche se mi passano proprio davanti e accennano qualche gesto con la mano.
    C'era anche l'inesperienza emotiva: cumulare esperienze materiali sul lavoro, nei rapporti con gli altri, nel ricevere le varie ferite e gioie che la vita ti riserva, è qualcosa che avviene col passare degli anni. Certe situazioni che all'epoca mi tenevano sveglio la notte per l'ansia oggi le considererei delle idiozie e non ci rimetterei neppure un minuto di sonno o di serenità.
    Ecco, la percezione della solitudine anche si modifica in questo modo col passare degli anni. Fa meno paura semplicemente perché capisci che i casi della vita ti ci possono comunque condurre anche se ti eri "attrezzato" per evitarla, fa meno paura perché se intanto hai messo insieme dei risultati e guardi al passato con una certa soddisfazione, puoi addirittura iniziare ad avere pensieri "da vecchio" tipo "Il mio l'ho fatto. Quel che sarà sarà, e chi se ne frega di tutto il resto!" In fondo temo che la maturità sia - appunto - diventare un po' più vecchi non solo nel corpo ma anche nella mente. Non dico cinici o disillusi, semplicemente più levigati, più vissuti, più preparati alle emergenze e alle situazioni spiacevoli.
    Da questo punto di vista credo che la risposta alla tua domanda: "La paura è passata perché ho ripreso a scrivere, oppure ho ripreso a scrivere perché la paura è passata?" sia che in realtà il desiderio di scrivere sia rinato con la tua maggiore propensione ad accettare ciò che la vita ti riserva, solitudine o no che sia. E quando si ha quando spirito la solitudine stessa fa meno paura e diventa talvolta - come dicevi - "stare bene con se stessi".

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    1. Non so quanti anni abbia tu, ma io ne ho 33 e non riesco ad entrare nell'ottica della serie "il mio l'ho fatto, perché so di non aver ancora fatto proprio niente. La vita mi si spalanca davanti. Ho ancora tanta strada da percorrere prima di potermi considerare realizzata e arrivata.
      Ciò che cambia, forse, è la consapevolezza di avere una scelta. Nel periodo nero che ho passato (anche io prima di viverlo stavo benissimo) non ce l'avevo, e questo ha risvegliato una ferita da abbandono legata al rapporto con mio padre. Ora sono io che decido di ritagliarmi i miei spazi in nome di una ritrovata e meravigliosa autonomia. Se ci pensi, è una cosa completamente differente rispetto a prima. La si vive anche meglio. :)

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  8. La solitudine è la mia migliore amica e ci sono abituata, praticamente da sempre. Ho un carattere...frastagliato, e assorbo il mondo circostante come una spugna, per cui spesso una semplice interazione sociale per me diventa molto faticosa, anche insostenibile. Mi piace scrivere con il rumore di sottofondo delle ragazze del mio convitto, che corrono e parlano per i corridoi.

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    1. Non so quanti anni tu abbia, ma mi ricordi molto me una decina di anni fa. Anche io assorbo molto le energie, come ho evidenziato anche nel mio ultimo post, ma con il tempo sono riuscita a crearmi una sorta di schermo.
      P.s. ho visto, dalla pagina dei blog che seguo, che hai scritto il post sul mutaforma. Spero di avere il tempo per leggerlo perché finora non sono riuscita :(

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  9. La solitudine intesa come ricerca di uno spazio da autodedicarmi è la migliore delle mie risorse. Quando ero più giovane (parlo dei tempi del liceo) io mi chiudevo nella mia "stanza blu" ( la chiamavo così perché aveva una carta da parati di quel colore) e lì vivevo appieno la mia personalità: scrivevo, ascoltavo musica, suonavo il pianoforte e mi sentivo libera e soprattutto me stessa. Non ho mai perso la voglia di "chiudermi" fra le mie cose e oggi, pur essendo socievole fra la gente, pur apprezzando la compagnia delle persone, ho ancora bisogno come il pane di quella solitudine "creativa" che ormai cerco come l'oro, presa e persa dietro il mestiere di madre e moglie in una città nuova per noi (ci siamo da un anno e mezzo trasferiti a Roma) dove non c'è proprio nessuno che possa venire incontro alle mie esigenze!

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    1. I ruoli sociali spesso impongono alle persone di mettere in secondo piano le proprie esigenze immediate. La solitudine secondo me serve anche a questo, perché consente di creare una sospensione del reale. Si abbandona il controllo e si entra nel retroscena :)

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  10. Io sono sempre stata bene sia con gli altri che da sola. Sono figlia unica, quindi da piccola ero abituata a giocare spesso per conto mia, inventando storie fantasiose.

    Per quanto riguarda la solitudine, la amo molto proprio perché in genere la abbino al silenzio, che per me è un toccasana. Avere degli spazi di solitudine e di silenzio in casa, ad esempio, è tanto più prezioso in quanto raramente sono da sola avendo una famiglia.

    La solitudine è imprescindibile per la mia scrittura, se c'è qualcuno in casa lavoro in studio, e chiudo la porta. Invece per la lettura non ho problemi e leggo ovunque, anche in luoghi affollati!

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    1. Paradossalmente mi distrae di più il rumore in casa che non nei luoghi affollati. Potrei scrivere al bar ma non riesco a scrivere in salotto con la TV accesa e mio marito che parla :)

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    2. Ah, ma con il marito che parla nemmeno io riesco a leggere! Cioè, se fa dei commenti tra sé e sé, passi, mi convinco che è un'eco lontana. Ma se continua a farmi domande e a dire "guarda questo e guarda quello"...

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  11. Coltivo l'idea forse romantica che uno scrittore debba avere un buon rapporto con la solitudine. Come hai detto tu, la frenesia della vita quotidiana e il chiacchiericcio della gente ci allontana da noi stessi e dalla creatività. O almeno per me è così. Penso alla scrittura come un'attività solitaria e personalmente stare sola non mi fa nessuna paura, in questo sono molto simile a W.F... ;)

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    1. Fortunatamente però tu non sei sociopatica come WF...almeno credo ... spero! :D
      P.s. a proposito : sei riuscita a finire di vederlo?

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    2. Sì, poi ti scrivo le mie impressioni.
      No, non sono sociopatica, per quanto ne so :D

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  12. Sper stare bene con se stessi è fondamentale. Chi sa stare bene con se stesso è facilitato anche nel rapporto con gli altri; può anche fare a meno delle altre persone, all'occorrenza. Stare bene da soli rende più forti e meno influenzabili. Bisogna a volte ricercare proprio lo stare per conto proprio, che non significa annoiarsi. Io sto benissimo con me stessa: non mi manca proprio nulla. :)

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    1. Esatto! Hai centrato il punto. Ad avere difficoltà con la solitudine sono proprio le persone che hanno un difetto di autostima e cercano negli altri una sorta di consolazione per le proprie mancanze. In questo caso la presenza di amici e parenti risponde a un bisogno, non a un piacere. ci sono molte relazioni malate che si basano sulla paura di rimanere soli...

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  13. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  14. Io ho cominciato a scrivere proprio in coincidenza dei miei primi momenti di solitudine. Prima dei ventitré anni avevo sempre vissuto circondato di gente. Poi un incidente mi ha costretto a un'immobilità forzata di sei mesi e da quel momento il mio sguardo ha cominciato a privilegiare la visione interiore rispetto a quella esteriore. Oggi, dopo trentanni, è ancora così. Senza quell'intervento 'dall'alto' probabilmente non avrei mai scritto.

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    1. Anche i momenti dolorosi, come può esserlo un grave incidente, possono rivelarsi salvifici. Io ho imparato molto dallo stop forzato causato dalla depressione. Ed ora quasi benedico che ci sia stata, perché mi ha portato maggiore consapevolezza dei miei obiettivi creativi.

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  15. Come in molti altri ambiti, penso che si riesca a apprezzare di più ciò che si raggiunge piuttosto di ciò che si subisce e si è costretti a accettare. Fatico moltissimo a scrivere se non sono solo, ma sono riuscito a scrivere anche in un treno affollato quindi probabilmente quello di cui ho davvero bisogno non è il silenzio o l'assenza di persone, quanto la sensazione di essere inosservato e l'impossibilità di distinguere un sono o una voce precisi (e quindi sconcentrandomi) in mezzo al rumore di sottofondo.
    In questo periodo vivo un buon rapporto con la scrittura ma mi sento spesso accerchiato da persone che hanno bisogno della mia presenza e non capiscono il mio bisogno di privacy. Questo però invece di scoraggiarmi mi fa escogitare nuovi modi per occupare il mio tempo in modo proficuo, cercando di non toglierne a nessuno e a ritagliarmi anche lo spazio di cui necessito.

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    1. Credo che tu abbia centrato il punto: il rumore che mi disturba è quello che richiede concentrazione. Per il resto, ho imparato piuttosto bene ad isolare la mia mente. Tanti anni di meditazione sono serviti a qualcosa.
      Anche io non gradisco le interferenze. A volte mi domando se i miei cari disturbino senza accorgersene o sottovalutino il mio lavoro. :)

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  16. La solitudine è inutilmente demonizzata. In realtà è una risorsa, ovviamente quando non le permettiamo di diventare cronica. Io dico che non potrei vivere sola e non mi attira l'idea di farlo. Può incuriosirmi pensare come sarei se vivessi sola, se non avessi nessuno accanto. Probabilmente farei diventare questa cosa una importante possibilità per gestire il mio tempo e riempirlo di creatività. Ciò detto, detesto il solo pensiero di non parlare, non confrontarmi, non comunicare con qualcuno. Una volta vidi la mostra di Tamara De Lempicka a Roma, al Vittoriano, da sola, e mi sentii angosciata nel non potermi confrontare su quelle mirabili opere.
    La solitudine ha quindi per me un aspetto duplice, uno oscuro, l'altro come risorsa. Amo la solitudine in casa quando riesco a scrivere in santa pace, concentrarmi sulle letture, gustarmi qualche divertente programma televisivo. Ma la relego a questi momenti di assoluto bisogno, necessari perchè occasionali.

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    1. Credo che tu abbia trovato il giusto equilibrio, e in questo ci somigliamo. Anche io riesco a godermi la solitudine perché non è eccessiva né imposta dall'esterno. è una mia libera scelta, perché se voglio incontrare gli amici o chiacchierare con mio marito sono libera di farlo. Ci sono momenti in cui ho voglia di stare con gli altri e momenti in cui preferisco rimanere sola. Poter scegliere è un lusso, una conquista ed una risorsa.

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    2. Concordo. Il cuore del problema sta tutto nella scelta.
      Credo anche che la solitudine sia il prodotto di una serie di scelte. Oggi io posso scegliere proprio perchè, forse, ho compiuto una serie di azioni giuste.

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  17. La solitudine è il mio elemento naturale, e ho dovuto combattere per abituarmi alla compagnia come tu hai dovuto abituarti a star sola. Per me è un'imposizione l'aver gente intorno, ne ho bisogno e adoro uscire, conoscere gente e vedere amici, ma per dodici anni ho viaggiato da sola e fatico moltissimo a condividere il mio "nido" interiore e lasciare entrare gli altri. Adoro vivere da sola, mi manca spesso quella libertà che si prova quando chiudi la porta a chiave alla sera dopo il lavoro, e sai che nessuno ti romperà. Adesso che mi trovo in un posto dimenticato-da-dio, ho spesso nostalgia della mia famiglia e amici, ma non invidio chi è costretto a vivere nel caos e nello smog. Per quanto riguarda il Festival, per carità, stai in casa e mettiti i tappi nelle orecchie! In realtà, mia madre non tace più su Romina e Albano, almeno lei l'han fatta contenta! :)

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  18. La solitudine è sempre stata parte integrante della mia vita. La differenza è che, nel tempo, ho imparato da un lato a conviverci, dall'altro entrare in contatto con gli altri. E' il mio modo di viverla, e al tempo stesso mi sembra giusto così, perché siamo sempre soli e mai soli. Senza solitudine, senza silenzio (adoro il silenzio naturale!) non potrei esistere così come sono, e tantomeno scrivere. Credo che abbiano ragione quelli che dicono che la fantasia nasce anche dalla noia. Ora non mi annoio mai, ma da piccola mi annoiavo parecchio.

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    1. Sono d'accordo con te. Viaggiare con la fantasia é un modo per gestire costruttivamente la noia. :)

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