Scrivere con il cuore: tu chiamale se vuoi emozioni.


 La parola comunica il pensiero, il tono comunica le emozioni.
(Ezra Pound)

 Ieri, Grazia Gironella, sul suo blog Scrivere è Vivere, ha posto una domanda molto interessante: da dove viene il vostro scrivere? Qui sotto, un pezzettino della mia risposta.

“[…]Se mi chiedi qual è la parte del mio corpo che scrive mi viene da dire il cuore. [...] Senza amore, le mie parole risulterebbero solo inutili simboli spiaccicati a caso sulla carta. Amo i miei personaggi, amo la mia storia, amo la sensazione che la scrittura mi da e, quando scrivo, riesco ad amare anche me stessa […]”

Già. Io scrivo con il cuore. Quarto chakra, associato al colore verde. Regola la sensibilità. L’emotività. La capacità di provare compassione ed empatia per il prossimo. Sono qualità che mi appartengono da sempre e che ho fatto rinascere grazie alla scrittura ritrovando una sensazione di completezza che credevo di aver perduto.

L’anima di uno scrittore trasuda di amore. Nei momenti di massima creatività, ci si sente in pace con l’universo intero. Sarebbe bellissimo riuscire a vivere sempre così. Purtroppo, però, siamo cresciuti nell’epoca del cinismo e della finzione. L’ipocrisia è venduta come un valore. La persona forte è quella che si trincera dentro un guscio di riservatezza e di silenzio. Una come me, che ha la lacrima facile ed ama esprimere ciò che prova, non vive un’esistenza sempre serena. C’è chi ha cercato di demonizzare questa mia caratteristica e di farmene vergognare. Ci sono quasi riusciti. C’è stato un periodo in cui mi sono separata completamente dalle miei emozioni, mutilando la parte più autentica della mia personalità. Quando c’è separazione, c’è sempre dolore. E io ne provavo tantissimo. Perdendo il legame con il mio cuore, anche la voce si affievoliva pian piano.  

Il momento in cui ho ricominciato ad occuparmi di narrativa, dopo tanti anni, ha rappresentato il mio risveglio. Mi sono riconnessa. Ho ritrovato una parvenza di pace interiore. Ed ho riscontrato miglioramenti in tutti i settori della mia vita.  E il fatto di mostrarti così come sei, prima o poi paga. Le mie emozioni non mi fanno più paura. Posso lasciarle correre. Farle vivere. Espanderle. Ed esserne finalmente padrona. Imparare a gestirle.

Ogni volta che mi siedo davanti a questo computer, ho per le mani una massa informe a cui dare significato e valore, sia per me stessa, si per chi un giorno si troverà a leggere le mie pagine scalcagnate, e forse piangerà, o riderà, amerà i miei personaggi, farà il tifo per loro e, dopo aver chiuso il libro, proverà un pizzico di nostalgia. A me è successo tante volte. Ho singhiozzato in un treno affollato con “Voglio vivere prima di morire”, un romanzetto apparentemente soft ma incredibilmente profondo. Ho riso fino allo spasmo con i “Saltatempo” di Benni. Ho catturato assassini ed ucciso mostri. Ho viaggiato nel rinascimento e nell’epoca vittoriana, nella Jungla del Bengala e nella tundra lappone, sentendomi sempre al mio posto.

Questo è quello che vorrei fare, con la mia scrittura. Creare emozioni, sia nel romanzo, sia sul blog e sia (perché no?) con le stupidaggini che pubblico su Facebook. Noi scrittori siamo artigiani. Scultori. Pittori. Provocare una reazione è il nostro scopo principale. E ci riusciamo benissimo, anche prima che un editor allunghi le mani sulla nostra creatura e disegni, intorno alle nostre parole, arzigogoli artificiali, che le impoveriscono. Per quanta cura ci possa essere in un testo, le emozioni non sono commercializzabili. Impregnano il manoscritto prima ancora che diventi un libro. Nessun professionista del settore può costruirle ad hoc. È soltanto un’illusione.

Io non cerco di pilotare l’energia connessa con le mie parole. Certo, se una scena è un po’ fredda tendo ad intervenire, sempre consapevole del mio scopo comunicativo. Ma troppo cervello non aiuta il testo a diventare migliore. Forse per gli altri “colleghi” è diverso: conosco scrittori bravissimi, che hanno fatto della razionalità il proprio vessillo. Per me non funziona così: se inserisco troppo mentale in una scena, partorisco un risultato mediocre. Il mio scritto perde autenticità ed io stessa finisco per contaminarmi. Dopo tutto, la parte più pura di me è legata alle mie emozioni. Se mi privo della connessione con esse, rimane soltanto il deserto.

Per qualche giorno, mi sono arrovellata su una scena che non mi piace. C’è un messaggero (vedi archetipi) che dà una comunicazione importante ad uno dei miei tre protagonisti, inducendolo a porsi un importante obiettivo da raggiungere nel giro di sei mesi. Ho riflettuto, prima di mettermi a scrivere, sul tipo di informazioni, relative al personaggio, che avrei desiderato veicolare, attraverso questo dialogo. Dopo tutto, siamo nelle prime pagine del romanzo ed il lettore sta ancora facendo le presentazioni. La parola non è evidenziata a caso: ho parlato di informazioni. Testa, dunque. Dettagli freddi ed un po’ subdoli. Una specie di lista della spesa.

Dopo la prima stesura del paragrafo (durante la quale, come già ho raccontato qui mi impongo di non cancellare, non tornare indietro e non fermare la mano) mi sono incartata come una mummia. La prima volta, il personaggio mi sembrava troppo zitto e passivo: incoerenza abnorme, dal momento che lui è il re della foga e dell’impulsività. Inoltre, il lettore non sarebbe riuscito ad entrare nella sua testa, nonostante il punto di vista interno. Ho deciso, quindi, di focalizzarmi meglio sul suo pensiero. Però il brodo si è allungato. È venuta fuori una roba lunghissima e pallosa quanto una conferenza sui meccanismi riproduttivi degli ortotteri. Al terzo tentativo, ho creato un collage fra tutto ciò che avevo scritto, dando origine ad un pezzo confuso, singhiozzante e montato male.

Infine, ho fatto una bella centratura. Ho chiuso gli occhi e visualizzato il personaggio. Ho ricordato la sua storia. Il suo passato. Le sue motivazioni. Ho cercato di entrare nella sua testa. E di pensare a quando io, in passato, mi sono trovata in situazioni simili. Com’ero? Cosa avevo provato? Come mi ero sentita? Ho provato a creare sensazioni che, da me, potessero essere trasferite a lui. Una volta scavato dentro il calderone dei ricordi, sono riuscita a vomitare fuori la scena tanto agognata che, finalmente, trasmetteva qualcosa.

Non so se ciò che ho sperimentato possa avere portata universale, ma per me è una sorta di prova del nove per testare la validità dei miei scritti: quando mi emoziono, il pezzo nasce quasi perfetto. Le stesure successive portano soltanto piccoli ritocchi. Ciò che provo è materia. Rimane impregnato sulla pagina. Traspira e muta. Può volare ovunque.E raggiunge il lettore. Diversamente, finisco solo per creare distanza.

Qualunque difficoltà possa incontrare, lungo il mio percorso, voglio essere sempre collegata al mio cuore. È il presupposto fondamentale per riuscire a creare qualcosa di interessante. Cerco di ricordarmene sempre, soprattutto nei momenti di black-out. Una volta, la mia scrittura è stata definita "libera e sincera". Penso sia stato il complimento più bello che abbia mai ricevuto.

Adesso giro a voi la domanda posta da Grazia, che mi ha offerto lo spunto per questo post: con cosa scrivete? Ma soprattutto, qual è il peso del cuore, nei brani che decidete di sfornare?

Commenti

  1. Con cosa.. col pc, col cel.
    Eppure scrissi molto a mano, le lettere d'amore al mio primo amore.. una corrispondenza lunga quasi quattro anni. Dettata dal cuore.

    Ora scrivo post, qua e su fb: dettati da? L'emozione del momento. Rappresenta il più delle volte il tirare lo sciacquone su certi miei momenti di vita.

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    1. Io riempivo pagine e pagine di quaderni e me li scambiavo con le amiche. Bella metafora, quella dello sciaquone: io ho sempre detto che scrivere è come farsi una doccia, in quanto alimenta in me una sensazione di pulizia... mi purifica l'anima

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  2. Oddio, non saprei rispondere in modo preciso.
    So solo che io ho sempre scritto (ma non per forza storie: ho scritto di tutto, anche giochi!), e che sono spinto unicamente dal divertimento.Voglio divertirmi e, se riesco, far divertire :)

    Moz-

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  3. L'emozione è anche al centro della mia scrittura, ma un genere di emozione che scende nel profondo più che non esplodere all'esterno; o almeno così la sento io. Ed è vero che le scene che ci emozionano come autori di solito regalano un'esperienza intensa a chi legge; non sempre, ma molto spesso è così.
    (Credo che sia davvero importante perseguire il proprio sviluppo personale senza tarparsi le ali. Qualcuno lo apprezzerà, anche se non sempre sono le persone che avremmo scelto.)

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    1. Dalla tua frase, potrebbe sorgere un'interessante riflessione. In fondo è vero che l'emozione spesso è un'energia che si muove dentro di noi, e che trasforma ciò che siamo. Però nel corso degli anni mi sono domandata a cosa mi servisse reprimere. Noi esseri umani, siamo fatti per comunicare. Ed io ero stufa di sentirmi come una pentola in ebollizione. Ricominciare a scrivere mi ha purificata e riequilibrata, è un'arte che lavora con me, su di me e per me, per la mia evoluzione :)

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  4. La mia risposta all'articolo originale è stata abbastanza evasiva.
    Qui ti dirò: quanto conta il cuore in quello che scrivo? Quanto conta l'emozione?
    Uno dei pezzi che ebbero più successo in quello che diffusi in Creative Commons riguardava mio nonno. La sola parvenza di famiglia che ho avuta. E' un testo commerciale? Per nulla. Era corretto? Avrebbero trovato diecimila incongruenze. E' piaciuto? Tanto. Il che dimostra che forse forse tutto questo "scrivere sullo scrivere", i manuali, i corsi, le ricerche di stile sono secondari, quando si apre un canale di comunicazione. E' comunque mettersi a nudo, crea e genera quel tipo di paura ("Oddio, ho dei sentimenti, sono debole!"), si ha una gran voglia di vincere restando distaccati. Il che rende la cosa difficile. Sto facendo un vero giro pesca. Partenza emotiva, viaggio lungo nella pische, ritorno al cuore della cosa.
    Grazie per questo bel post, sei una tipa davvero in gamba!

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    1. E' psiche, non pische (notte insonne, scusami XD)

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    2. Grazie a te, per aver letto il post e per i complimenti che mi hai fatto: è sempre bello rendersi conto che la scrittura può comunicare qualcosa. è vero che l'emozione a volte fa paura: nel post sulla consapevolezza ho indicato come mio punto debole l'avere "il freno a mano tirato" sulle scene ad alta intensità. è passato un mese, da quando ho pubbicato quell'articolo, e devo dire che ho notato qualche miglioramento. Progressivamente sto imparando a mettermi in gioco.
      Quanto ai corsi, i manuali e le ricerche, io penso siano utilissimi per avere in mano un numero maggiore di strumenti da utilizzare secondo coscienza, al servizio della nostra scrittura. Però non sono tutto. A scrivere, non si impara sui libri. Si impara con tanto, tanto esercizio, nel corso degli anni, e con la capacità di coinvolgersi profondamente nelle proprie opere.
      Buon weekend :)

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  5. Sono sempre "accusata" un po' da tutti di essere una scrittrice emotiva.
    Fin troppo. Le mie parole scorrono sui tasti prendendo un ritmo davvero imprevedibile, nella maggior parte dei casi.
    Come se fossero loro la mia anima e non io la loro.
    Non so. So solo che non potrei farne e a meno.
    E che amo soprattutto con le parole.
    Mi entusiasmano, mi innervosiscono, mi fanno gioire, godere e piangere.
    Non ne potrei fare a meno.
    E sono state loro a bussare così forte, quattro anni fa, da costringermi a non scrivere più solo per me, ma per il mondo.
    E il mondo, a volte, ritiene sia buona cosa affacciarsi da me.
    Grazie per questa piccola meditazione sulle parole che mi scappano e sullo scrivere.
    A presto.

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    1. Anche per me è così. C'entra con la mia idea di libertà. La vita porta già abbastanza per consentirle di ingabbiarci ulteriormente.
      Io ho deciso di scrivere per il mondo perchè sento la necessità di essere così come sono, ed aprirmi agli altri. Ho passato anni a limitarmi ad esistere, con il freno a mano tirato.

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  6. Anche io come te, purtroppo e dico purtroppo sono una persona molto sensibile ai problemi degli altri, con la lacrima facilotta soprattutto quando si parla di amore. Quindi anche io scrivo con il cuore, penso si intuisca nei miei racconti !

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    1. Non ho mai letto un tuo racconto, ma sul blog si intuisce. Anche il tuo lavoro (se non sbaglio fai il fotografo) ha a che fare con le emozioni.

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  7. Io credo di essere cuore e cervello. Da un lato cerco di portare all'estremo questa immersione nei personaggi, fino al punto in cui mi rendo conto che i pensieri dei personaggi iniziano a modificare i miei (e lì mi fermo, se non sfocio nella psicopatia). Cerco di essere completamente loro, con esiti spesso strazianti (le loro sofferenze sono mie al 100%). Dall'altro cerco di affidare al cervello la trama. Il cuore vorrebbe sempre il lieto fine per i miei "figlioletti di carta"...

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    1. Quella è una cosa che capita anche a me: se ad un mio personaggio deve accadere qualcosa di brutto mi sento quasi in colpa. Vorrei avere il coraggio per buttarli sotto un treno, se necessario.
      A me non è mai capitato che i pensieri dei personaggi modificassero i miei, non mi sono mai ridotta come quegli attori che recitano un ruolo per molti anni (ad esempio nelle fiction) e poi finiscono in terapia perchè assumono i comportamenti dei loro personaggi... Però, quando scrivo, l'immedesimazione è importante per far si che il brano non risulti artificioso e fasullo.

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  8. Beh, hai letto il mio post e sai come la penso :)
    Scrivo col cervello, perché per me emozioni e sensazioni sono tutte lì e non altrove.

    Il cuore è solo un concetto romantico, ma non vero nella realtà.

    Penso che per catturare meglio il lettore uno scrittore non deve temere la sua scrittura, ma dare libero sfogo a ciò che prova.

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    1. Io non sono d'accordo sul fatto che il cuore sia solo un concetto romantico.
      Sarà che studio i centri energetici del corpo ormai da anni: l'emotività risiede nel chakra del cuore ed io, quando scrivo, sento una vibrazione molto forte proprio in quel punto. Per molti, questa mia concezione può sembrare fantascientifica, me ne rendo conto però, se seguo la mia intuizione, non posso fare a meno di rispondere in quel modo...
      Forse facciamo appello a due diverse regioni del corpo, ma scriviamo per lo stesso motivo. Lo spirito che ci muove è il medesimo. Non importa da dove arrivi ;)

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  9. Non vado alla smodata ricerca di aforismi o detti famosi per farne sfoggio e pavoneggiarmi. Ma a volte racchiudono un concetto in modo ammirevole; e io li uso che male c'è, no? L'importante è mantenere una certa distanza. Proprio oggi leggevo un articolo (da ilromanzo.it) su un argomento che può rispondere alla tua domanda (e rinsaldare le mie credenze). E secondo me, non è un caso aver pescato questo post datato proprio oggi dopo aver letto quel post. Racchiude il mio pensiero in modo mirabile.
    Francis Scott Fitzgerald diceva «devi vendere il tuo cuore» (Letters of Note).
    È una delle poche armi che un esordiente (e non solo, direi) ha a disposizione.

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    1. P.S. A me gli aforismi, invece, piacciono molto. Non li cerco per pavoneggiarmi, ma li uso spesso in apertura di capitolo o di articolo, per inquadrare l'argomento

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