La resistenza del Jolly
Bisogna sempre avere il coraggio delle proprie idee e non temere le conseguenze
perché l’uomo è libero solo quando può esprimere il proprio pensiero
senza piegarsi ai condizionamenti.
(Charlie Chaplin)
Oggi è il 25
aprile. Si festeggia una ricorrenza storica importantissima per l’Italia. Ma il
popolo dei social la banalizza. Come sempre. Si vedono foto di pugni alzati,
falci e martelli, immagini del duce appeso per i piedi. E poi, si leggono
aforismi. Scritti da chiunque. Anche da
persone che con la Resistenza non c’entrano una benemerita perché sono nate
secoli prima, o decenni dopo. In fondo in rete la lettura è sempre
superficiale, nessuno si accorge della pochezza dilagante. E ai suddetti
influencer importa ben poco del proprio messaggio: l’importante è mantenere il
culo ben saldo nella vetrina dei social.
Io sono una mina
vagante. Come sempre, me ne lavo le mani di frasi fatte e pensieri politically
correct. Oggi non è un giorno come gli altri, ne sono consapevole. Ma invece di
disperdere i neuroni tra le nebbie del passato, preferisco interrogarmi sul
presente. Cos’ha rappresentato ieri la liberazione ormai si sa. Ma oggi in
quale modo noi italiani rivendichiamo la nostra autonomia? Cosa stiamo facendo
per dare un senso alle azioni dei nostri nonni, che si sono fatti ammazzare per
spingere l’invasore fuori dai confini? Ma soprattutto: chi è il nemico? Siamo
ancora in grado di riconoscerlo, oppure mandiamo al patibolo un capro
espiatorio a caso, mentre chi ci opprime sghignazza sotto i denti e continua a
fotterci?
Nel 1945 era
chiarissimo chi fossero gli invasori. Quelli venuti da fuori con la svastica
sulla giubba. E quelli cresciuti tra le spire di un paese che, vent’anni prima,
aveva intravisto il cambiamento nello sguardo di un uomo carismatico, un
narcisista patologico che ha finito per distruggere l’Italia. Oggi però la
questione è molto più subdola, pelosa. Non ci sono guerre (o meglio: sono così
lontane che, alla maggior parte delle persone, strappano solo qualche “amen”
sui social) e non ci sono avversari dichiarati. Il popolo ha la pancia piena,
un tetto sulla testa e il diritto di votare. Le donne hanno conquistato una
presunta parità e non sono più confinate tra le pareti domestiche. Si può divorziare.
Si può abortire. Hanno legalizzato pure le unioni civili, quindi di cosa ci
lamentiamo? Siamo liberi. Liberissimi. Di vestirci come vogliamo. Di ascoltare musica,
guardare film, accendere la televisione. Di andare in chiesa oppure no. il
nemico è stato sconfitto per sempre. La democrazia ha trionfato. Quindi,
possiamo svaccarci sul divano, finalmente in pace.
Ne siamo davvero
sicuri?
Io no. Per
nulla. Non è vero che siamo liberi. Lo saremo solo quando buona parte degli
esseri umani (perché dire tutti sarebbe utopia) riuscirà il proprio diritto di
essere Jolly senza subire ripercussioni. Ovvero, quando la diversità non sarà
più considerata un problema. Quando il contesto sociale premierà la creatività
e non l’obbedienza. Quando nessuno riderà più di un vestito fuori moda o una cresta
da punk. Quando spariranno i manuali che ti insegnano come scrivere un
best-seller in tre settimane o a dipingere un capolavoro con dieci pennellate,
e l’arte tornerà a essere frutto del genio individuale. Quando. Ce ne sono
tantissimi, di quando. Sono sicura che ciascuno di voi, nei commenti, può
trovarne decine. E vi invito a farlo. Scrivete, amici. Parlate senza remore di tutto ciò che
separa l’essere umano dalla propria individualità. La vostra lista
ci servirà per comprendere che c’è ancora tanta strada da fare per riconquistare
la dignità. E sia chiaro: lungi da me parlare di anarchia. Non sono una
sovversiva. Non voglio esserlo. E non mi sento in lotta. Da tempo ormai ho
imparato a essere per e non contro, a darmi da fare per concretizzare valori
positivi anziché lottare per estirpare la negatività. E la libertà individuale è uno di questi
valori.
Cosa significa per
me essere libera?
Poiché non ho
più tredici anni, ho superato da un pezzo la convinzione (limitante all’ennesima
potenza) per cui libertà significa fare tutto ciò che si vuole. Ho dei valori e
delle regole che rispetto senza fatica, perché fanno parte della mia etica. Credo
che ogni essere umano contenga in sé le risorse per autoregolarsi. Quindi per
me essere libera significa difendere la mia identità nella consapevolezza che
non sto facendo del male a nessuno. Quando ho capito chi sono e ho iniziato a
disobbedire all’omologazione, ho scoperto di avere tante risorse, che ora cerco
di utilizzare per rendere questo posto un mondo migliore. Solo le persone che
hanno imparato a conoscersi e ad accettarsi possono essere serene. E solo le
persone serene possono essere utili alla società, perché molti degli sgarbi a
cui assistiamo nel quotidiano dipendono dalla frustrazione: a repressione del
proprio sé non può che generare invidia, divisione e competizione.
Esistono precise
strategie politiche e sociali finalizzate a far chinare la testa alle persone,
a renderle succubi del sistema e schiave delle aspettative, a indebolire i loro
corpi e le loro menti, a stressarle fino a farle ammalare, a renderle mansuete,
a convincerle che lo Stato può proteggerle dai nemici. Ma i nemici sono creati
ad hoc da una precisa volontà manipolatrice. La disinformazione è lo strumento
principale per generare paura. Del diverso, innanzi tutto. Della povertà. Della
disoccupazione. Della solitudine. E della morte. Ma, peggio ancora, del
rifiuto. Sì. L’italiano medio ha paura del rifiuto. Ha paura di non riuscire a
far parte della cerchia che conta. Quindi, svende la sua anima al miglior
offerente, che sia un prete farneticante o un dirigente con la cravatta blu e
la forfora sulla giacca. Si affida alle sue mani, e addirittura si sente in
debito per l’attenzione e i favori ricevuti, come se ciò che ha fosse frutto
della magnanimità dei padroni e non delle sue capacità. Del resto, saper fare
qualcosa ormai conta ben poco. Ci sono aziende che ancora assumono solo i figli
di chi va in pensione, così la sudditanza è garantita, e tutto rimane nelle
mani dei soliti.
Quindi, amici
miei, la domanda è questo: vogliamo davvero dare un senso a questa giornata?
Allora interroghiamoci su tutti i compromessi che siamo costretti ad accettare
per sopravvivere alle contraddizioni di questo paese. Domandiamoci cosa ci
manchi per essere veramente liberi, e poi inauguriamo una nuova resistenza. La resistenza del
Jolly. Non c’è bisogno di fucili e baionette, per portare avanti
questa battaglia. A volte bastano piccole azioni quotidiane. Anzi, contano
soprattutto quelle. Un gesto di solidarietà è più importante di qualunque
battaglia, perché dà un cazzotto nei denti a un sistema che ci vuole divisi.
Dividi et
impera, si dice. Dividi, e comanda.
La separazione crea tanti spazi vuoti dove il
potere può inserirsi per ingannare e manipolare. In molti uffici, per esempio,
chi comanda cerca di scoraggiare le amicizie tra colleghi. Ci sono capi che si
divertono a diffondere zizzania. Parlano di competizione costruttiva: cazzate! Non
c’è nulla di positivo nella lotta. Invece la coesione e la cooperazione
potrebbero creare quella rivoluzione che stiamo aspettando da secoli. Ci vuole
coraggio, però. Il coraggio di isolare i seminatori di discordie, anziché
seguirli a testa bassa. E di ignorare chi sparge odio tramite i social. Rifiutare
l’insulto anziché sdoganarlo. Sorridere di più. Tendere la mano al prossimo. Aiutare
un amico. Ecco. Questo sarebbe sufficiente per innalzare il nostro livello di energia.
Un importante punto di partenza verso l’emancipazione psicologica. Ma purtroppo
più mi guardo intorno più mi accorgo che le persone non sono pronte. Perché la
schiavitù, a volte, è anche sicurezza. E noi italiani non siamo mai stati bravi
a cambiare. Perché in fondo non lo vogliamo. Per trasformare il mondo dovremmo
innanzi tutto rivoluzionare la nostra mente. il che è terribilmente faticoso.
Il lancio della patata bollente.
Quando…
Devo dire che mi trovo molto in sintonia con quanto hai scritto
RispondiEliminaCara Chiara, molto bella e condivisibile questa tua riflessione, ma anche difficile e coraggiosa. In un mondo che parla di qualunque cosa eccetto del proprio presente e del ruolo che assume nella storia, beh ragionare intorno a temi come la libertà, l'autonomia, la coscienza è appunto coraggioso.
RispondiEliminaCredo fortemente nel potere rivoluzionario delle piccole cose, per due ragioni. In primo luogo perché esse sono accessibili, a ciascuno di noi, e nessuno può trincerarsi dietro a non ce la faccio, non posso, è troppo per me, perché tutti, ma proprio tutti possiamo compiere gesti rivoluzionari, come sorridere a chi ci offre per l'ennesima volta una rosa e magari acquistarla, come semplice gesto di solidarietà senza alcuna filosofia. Che a volte dietro il filosofeggiare si nasconde la bieca indifferenza.
E l'altra ragione è perché le piccole cose sono spesso le più difficili da realizzare (dunque ci vuole coraggio) ma anche le più durature. Sono quelle di cui possiamo seguire i contorni, dunque le tracce.
Seguiamole, perché indietro non voglio tornarci, mai più. Viva il 25 aprile!
Bellissime parole, Elena. Sto cercando qualcosa da aggiungere, ma hai detto tutto tu. :)
EliminaPreciso di parlare per me e non per te :D, ma oggi sono in crisi di pensiero: e se affermare l'individualismo fosse un errore? Il valore della persona emerge se non è prigioniero delle catene di regole imposte (non ovviamente quelle regole fondamentali per evitare l'anarchia e per avere la legalità), ma vale per tutti? Temo di no.
RispondiEliminaMi piace però l'idea di vivere per affermare valori positivi, non per contrastare, di vivere per e non di vivere contro...questo si può fare!
Io non ho mai affermato l'individualismo, Riccardo. Al contrario ho parlato di solidarietà e rispetto. :)
EliminaL'individualità di cui parlo non è un ripiegamento egoista su se stessi ma la tutela del proprio modo di essere, nel pieno rispetto degli altri. Secondo me è una prerogativa fondamentale per mantenere l'armonia sia con se stessi sia con gli altri. Ti faccio un esempio: io e il mio compagno abbiamo due caratteri molto diversi, eppure il nostro rapporto dura da dieci anni. I primi tempi non erano facili, perché ciascuno di noi cercava di uniformarsi al modo di essere dell'altro, pensando che fosse una cosa buona. Il risultato era una profonda frustrazione. Con il tempo abbiamo trovato un equilibrio. A lui piace andare in bici (cosa che odio) a me scrivere: si possono fare entrambe le cose, senza scazzi e imposizioni. Questa è individualità. Individualismo sarebbe: a me non piace andare in bici, quindi non ci vai nemmeno tu. Conformismo sarebbe: mi faccio piacere la bici perché piace a te. Invece, lui va in bici quando scrivo. Ogni tanto, stringo i denti e lo accompagno. Però poi, la sera, il film lo scelgo io. 😀 Questa secondo me è individualità. :)
Concordo con quello che affermi, purtroppo finché manteniamo le nostre piccole sicurezze, chi più chi meno, è difficile trovare la determinazione per fare la rivoluzione.
RispondiEliminaQuesto avviene perché ognuno guarda il proprio orticello senza preoccuparsi della collettività. Purtroppo.
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